REP. CECA: Tutti i malcontenti a un anno dalle elezioni

di Gabriele Merlini

I principali parametri di analisi politica applicati alla ex Europa dell’Est (adesso Europa centrale, Europa centro-orientale o Mitteleuropa 2.0) sono la corruzione e le spinte nazionalistiche. Pratico elemento dal quale partire e sul quale formulare un numero apparentemente infinito di teorie, salvo poi constatare come corruzione e spinte nazionalistiche esistano in misura del tutto paritaria anche nei principali paesi della Europa occidentale, nelle Americhe e in Oceania, e tutto il castello tenda a sgretolarsi (a tale proposito segnalo una mappa dell’Europa riportata qualche giorno fa da Repubblica nella quale si illustra la «nuova onda nera» di estrema destra calata in EU sia a Ovest che a Est, per quanto alla voce «destra austriaca» venga, sulla cartina, segnalata la Repubblica Ceca: sarà l’abitudine.)

Ad ogni modo, oltre l’avanzare del nazionalismo e la non velatissima tendenza alla corruzione, c’è un ulteriore aspetto unificante per i due spicchi del continente che furono, ossia fenomeni piuttosto frequenti di lune di miele brevissime con i neo-eletti esecutivi. Sintomatici i casi della sopraccitata Repubblica Ceca e della Slovacchia ad un anno circa dal voto.

Certo si tratta di mal di pancia rigettato in sondaggi più o meno credibili e che porterà a poco o niente (a Praga come ovunque non basta un sentore contrario dell’elettorato per fare cadere un governo) però vale una brevissima analisi. Elemento intrigante i motivi non tanto dissimili tra Bratislava e la capitale vltavina: difficoltà a tenere unita una coalizione con moti interni sensibilmente divergenti su argomenti anche sostanziali (nel caso ceco, Věci veřejné e Ods e Top09), scivoloni di alcuni ministri in territori sospetti (vedi il caso Věci veřejné e ABL* in Repubblica Ceca o le accuse alla signora Radičová di soprassedere su strani giri di denaro tra società slovacche e membri del governo) più malcontenti rubricabili come fisiologici dato il periodo e consequenziali a manovre economiche basate su tagli o contenimento della spesa.

Senza contare inoltre i campanellini di allarme rappresentati per Praga da una tornata amministrativa non propriamente favorevole alla banda di Nečas** e un referendum a Bratislava*** appoggiato con maggiore veemenza da membri della SMER dunque del governo, poi rivelatosi un fiasco. Inoltre riguardo al caso ceco circolano da ieri numeri non propriamente gradevoli per il primo ministro, per Schwarzenberg e Radek John: solo il ventuno percento dei cittadini continuerebbe infatti a dare credito al governo, e sette su cento sono quelli che si ritengono soddisfatti della attuale situazione politica.

Dunque elemento curioso numero uno: di questi tempi l’anno scorso era altissimo il gradimento per l’esecutivo di Jan Fischer, primo ministro «tecnico» chiamato a sostituire il premier Topolánek nel momento in cui vide bene di franare durante il semestre ceco di Presidenza europea. Tecnica vs. urne 1-0?
Elemento curioso (e conclusivo) numero due: in Repubblica Ceca, come più o meno ovunque, a discapito di bordate sul governo regge la fiducia nel capo dello stato ovvero quel Václav Klaus che del principale partito di governo risulta essere padre e sponsor. Tutti autorizzati ad analizzare il fenomeno.

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