MOLDAVIA: Manifestanti irrompono in parlamento, nasce un nuovo governo

Dopo quasi tre mesi senza un Esecutivo, e dopo che due tentativi di creare una maggioranza attorno al nome di un Primo Ministro sono falliti, il 20 gennaio il Presidente Nicolae Timofti ha chiamato a guidare il Governo Pavel Filip, vice presidente del partito di maggioranza relativa filo-europeo . Il Parlamento, riunitosi di gran fretta e quasi segretamente, ha votato la fiducia al nuovo esecutivo con 57 voti su 101, mentre i parlamentari che vorrebbero una sterzata più verso Mosca boicottavano la votazione e gridavano allo scandalo.

I tre mesi di tempo massimo concessi dalla Costituzione per la ricerca di una soluzione alla crisi sarebbero scaduti il 29 gennaio e le opposizioni puntavano proprio a ciò per andare ad elezioni anticipate.

Speranza condivisa delle diverse migliaia di protestanti riunitisi fuori dal Parlamento nella mattina di mercoledì al grido “elezioni, elezioni”. La protesta ha assunto sin da subito tratti violenti, sfociando dapprima in tentativi di sfondamento da parte dei manifestanti per proseguire con lancio di oggetti e fumogeni. La polizia ha cercato di contenere la protesta, ma verso sera diverse dozzine di persone sono riuscite a sfondare i cordoni ed entrare nell’emiciclo, provocando anche una decina di feriti, principalmente tra le forze dell’ordine e tra i parlamentari tra cui Mihail Ghimpu, ex Presidente ad interim.

La Moldova non è nuova a tali proteste. Sono ormai molti mesi che l’instabilità domina lo scenario politico anche a seguito dei numerosi scandali che hanno colpito, di volta in volta, i vertici dello Stato. Non è un caso che in meno di un anno si siano avvicendati quattro diversi primi ministri e che Vlad Filat, l’ex premier che per anni ha dominato la scena ed è stato il principale fautore dell’avvicinamento all’Europa, sia stato accusato di corruzione per oltre 250 milioni di dollari.
La corruzione e la malagestione dell’economia statale non sono una novità nella piccola Repubblica al confine orientale dell’Europa, ma la sparizione dalle casse di tre delle più grandi banche del paese, nel 2014, di circa un miliardo di dollari, pari ad un ottavo del PIL, ha sviluppato indignazione nella popolazione che si aspettava che la firma dell’Accordo di Associazione con l’Unione Europea ed una maggioranza più vicina a Bruxelles fossero una garanzia sufficiente per una gestione oculata delle risorse statali.

Chiaramente le opposizioni filorusse hanno cavalcato il malcontento tanto da essere date in vantaggio nei sondaggi, qualora si andasse al voto in questo momento. Ma non sono solo loro che protestano, tanto che tra le molte bandiere che sventolano durante le varie proteste non manca mai la bandiera europea: sono in molti, tra coloro che preferisco l’UE alla Russia, che ritengono la classe politica alla guida del paese incapace e corrotta.

Le proteste, che continuano ininterrottamente nel centro di Chisinau, non sembrano destinate a finire in fretta e anzi il rischio possibile è che sfocino in vera e propria violenza. Solo una forte ed immediata lotta alla corruzione, unita ad una riforma del sistema giudiziario potrebbero calmare gli animi e permettere il ritorno alla normalità.

Ovviamente il rischio è che si riproponga, come forse già in corso, uno scontro est-ovest, sulla falsa riga di quanto avvenuto in Ucraina: non è un segreto la speranza di Putin di riportare Chisinau sotto l’ombrello protettivo del Cremlino, a maggior ragione ora che la protesta, a differenza che in Ucraina, è contro una maggioranza amica di Bruxelles ed accusata di corruzione.

Chi è Pietro Rizzi

Dottorando in Relazioni Industriali presso l’Università degli Studi di Bergamo, collabora con l’OSCE/ODIHR come osservatore elettorale durante le missioni di monitoraggio in Est Europa. Redattore per East Journal, dove si occupa di Ucraina, Est Europa e Caucaso in generale. In passato è stato redattore ed art director del periodico LiberaMente, e si è a lungo occupato di politica come assistente parlamentare e consulente giuridico per comitati referendari. Ha risieduto, per lavoro e ricerca, a Kiev e Tbilisi.

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