Zbigniew Herbert, una questione di gusto

Zbigniew Herbert è forse il più grande poeta polacco contemporaneo, accanto a lui solo Czeslaw Milosz, autore certamente meglio noto al pubblico occidentale. Interrogandosi se una nazione -in un determinato periodo storico- potesse avere «due più grandi poeti», Iosif Brodskij risponde che non poteva essere altrimenti per un paese «destinato dalla Storia a così dure prove». Il capolavoro di Herbert “Rapporto dalla città assediata” testimonia il coraggio dell’opposizione contro un nemico rozzo e brutale. Un coraggio che viene dal semplice “buon gusto”, dalla forza del “bello”. Un coraggio che la letteratura -ci dice Brodskij- contribuisce a temprare.

L’edizione italiana di Rapporto dalla città assediata, curata da Pietro Marchesani ed edita per i tipi di Adelphi nel 1993, presenta un’introduzione di Iosif Brodskij che si rivolge esplicitamente al lettore italiano. L’opera di Herbert viene presentata nel volume tramite una serie di poesie scelte, tratte dalle varie raccolte del poeta, fino a quella omonima del 1983 che viene proposta per intero, in tutti i suoi venticinque componimenti. Nell’introduzione intitolata Lettera al lettore italiano Brodskij mostra una forte e appassionata empatia col poeta polacco che intende presentare e, in effetti, ci sono alcuni tratti che li accomunano. Anzitutto la questione dell’esilio, condizione a cui Brodskij dedica un saggio, edito anch’esso per Adelphi, legato al tema dell’emigrazione e scritto nel 1987 in occasione di una conferenza sugli esuli tenutasi a Vienna sotto il patrocinio della Wheatland Foundation. Herbert però trasforma la sua condizione di “libertà vigilata” (dal 1965 al 1971 vive in Occidente, dal 1973 è a Berlino Ovest) in “esilio interno”, rientrando in Polonia nel 1981. In secondo luogo li unisce l’opposizione al potere totalitario, che Herbert porta fino in fondo proprio tornando in Polonia. Infine li unisce la poetica, lo stile asciutto e privo di retorica in cui non riecheggiano eroici furori né esortazioni, e l’idea che nella poesia come nella vita l’estetica venga prima dell’etica, che si tratti –insomma- di una questione di gusto.

Senza dubbio di Herbert va menzionato il mondo classico, dal quale attinge temi e motivi in funzione attualizzante, ma soprattutto egli è il poeta del coraggio, della resistenza all’oppressione. Nell’ora più cupa della Polonia le sue poesie restituirono dignità a quella nazione. Una dignità umana, propria degli uomini liberi, e non degli schiavi automizzati che il regime ha tentato -invano- di formare. Il rischio è però quello di cedere alla retorica celebrativa, alla mitografia romantica dell’uomo solo contro il mondo. Ma non è questo Zbigniew Herbert. Il vero nemico di Herbert non è il sistema totalitario sovietico ma l’animo umano, nella sua volgarità, nell’incapacità di giustizia, nella brama di vendetta che trasforma l’Utopia in un incubo. Le cause dunque (l’uomo) e non gli effetti (il comunismo) sono ciò contro cui si scagliano i suoi versi o, meglio, ciò a cui i suoi versi si oppongono. La cifra stilistica della sua ars poetica non è infatti l’aggressività ma la fermezza. Una fermezza testimoniata dai suoi versi levigati e solidi, incapaci di qualsiasi volo lirico e immaginifico: «Il Signor Cogito non si è mai fidato / dei trucchi dell’immaginazione, / il pianoforte sulla cima delle Alpi / suonava per lui concerti stonati / […] / le giungle delle immagini attorcigliate / non erano la sua patria[1]». Le sue poesie, semplicemente, mostrano quanto di cattivo gusto siano i comportamenti umani, le convenzioni sociali, le concezioni politiche e ideali «se non altro perché sono sempre coltivate a spese di qualcun altro[2]».

Così in Potenza del gusto -testo compreso in Rapporto dalla città assediata, capolavoro del 1983, scritto nella notte del comunismo, allorché il generale Jaruszelski proclamò lo stato d’assedio, al fine di scongiurare un intervento militare sovietico, in seguito ai disordini sindacali alimentati da Solidarność- il poeta inizia dicendo: «Non c’è certo voluto un grande carattere / per il nostro rifiuto dissenso e opposizione / abbiamo avuto un pizzico del necessario coraggio / ma in fin dei conti è stata una questione di gusto / sì, di gusto».

Fin dalla prima strofe viene demolita la retorica eroica dell’opposizione all’invasore, al nemico, che in tanta parte di letteratura polacca, di stampo nazionalista, è presente fino a diventarne un tratto caratterizzante. Il popolo polacco ha avuto appena “un pizzico” di coraggio, il potere esercitato dall’occupante è troppo “rozzo” per essere sopportato; l’opposizione è necessaria e sussiste non tanto per meriti propri quanto per demeriti altrui.

Attraverso questa deminutio iniziale il poeta mostra la pochezza e la brutalità del regime comunista: «Chissà se ci avessero tentato meglio e con più grazia / mandato rosee donne piatte come un’ostia / o le creature fantastiche dei quadri di Hieronymus Bosch / ma l’inferno allora qual’era / […] una baracca chiamata palazzo di giustizia / un Mefistofele casereccio in giacca alla Lenin» e prosegue l’analisi persino con scherno: «Davvero la loro retorica era fin troppo grezza / (Marco Tullio si rivoltava nella tomba) / catene di tautologie e un paio di concetti come martelli / una dialettica di carnefici, nessuna finezza nell’argomentare / una sintassi priva della grazia del congiuntivo».

Quel che Herbert intende dire è che prima del “male” viene il “brutto”. Ad ogni categoria etica sottende una categoria estetica, “brutto” e “bello” agiscono nell’uomo prima di “male” e “bene” ed anzi li determinano: «In etica “non tutto è permesso” proprio perché “non tutto è permesso” in estetica, perché il numero dei colori nello spettro è limitato[3]».

Ed eccoci al punto centrale del componimento, Herbert infatti cambia tono, abbandona lo scherno, per affermare che: «Così dunque l’estetica può essere d’aiuto alla vita / non si deve trascurare la scienza del bello» perché attraverso il “bello” si viene a formare il gusto, quel gusto che, fin dall’inizio del componimento, il poeta ci mostra essere lo strumento più utile per opporsi, comprendere e valutare la realtà: «Prima di aderire bisogna esaminare attentamente / la forma dell’architettura il ritmo di tamburi e pifferi / i colori ufficiali il rituale meschino delle esequie». Il gusto dunque può già di per sé costituire un mezzo di difesa contro l’asservimento. E qui vengono in mente le parole che Brodskij pronunciò in occasione del conferimento del Nobel nel 1987: «Infatti un uomo che ha gusto, e in particolare gusto letterario, è più refrattario ai ritornelli e agli incantesimi ritmici propri della demagogia politica in tutte le sue versioni […] perché il male, e specialmente il male politico, è sempre un cattivo stilista. Quanto più ricca è l’esperienza estetica di un individuo, quanto più sicuro sarà il suo gusto, tanto più netta sarà la sua scelta morale e tanto più libero -anche se non necessariamente felice- sarà lui stesso[4]». E se Brodskij individuava nella letteratura il mezzo principale per accrescere la propria “esperienza estetica”, allora Herbert è senz’altro una delle più preziose di queste occasioni di crescita:

Non ci è voluto certo un grande carattere

abbiamo avuto un pizzico del necessario coraggio

ma in fin dei conti è stata una questione di gusto

Sì, di gusto

che ci impone di uscire storcere il viso sibilare lo scherno

dovesse pur cadere l’inestimabile capitello del corpo

la testa.

[1] Da Il Signor Cogito e l’immaginazione in Rapporto dalla città assediata, Adelphi, Milano 1993

[2] Iosif Brodskij, Lettera al lettore italiano in Zbigniew Herbert, Rapporto dalla città assediata, Adelphi, Milano 1993

[3] Iosif Brodskij, Dall’esilio, Adelphi, Milano 1988

[4] Iosif Brodskij, Un volto non comune. Discorso per il premio Nobel, Adelphi, Milano 1988

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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