Nato contro Russia. Corsa agli armamenti dal Baltico alla Crimea

Si chiamerà Atlantic Resolve la missione che dall’inizio del 2015 invierà un contingente militare Nato in Europa orientale. Si tratta di 150 carri armati da dislocare tra Polonia e paesi baltici, senza dimenticare Bulgaria e Romania. Paesi che, all’indomani della crisi nell’Ucraina orientale, hanno chiesto a gran voce alla Nato di proteggerli da quella che ritengono una possibile minaccia alla loro sicurezza ed integrità territoriale: la Russia di Vladimir Putin.

Non è la prima volta che lungo il limes orientale le due potenze si guardano in cagnesco, né sorprende la richiesta dei paesi confinanti con la sfera di influenza russa. Già nel 2010 la Romania chiese a Washington di entrare nel progetto di scudo missilistico che l’alleanza atlantica stava portando avanti in Europa orientale. Un progetto promosso dall’amministrazione Bush, amante del corpo a corpo con Mosca, e proseguito da Obama fino al 2011 quando, dopo un viaggio in Europa orientale dell’allora Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, gli americani decisero di lasciar perdere. Ma furono mesi di tensione, alla Romania fece subito seguito la Bulgaria mentre la Polonia, all’epoca guidata dal nazionalista Lech Kaczynski (poi morto in un misterioso incidente aereo mentre era diretto in Russia) spingeva per piazzare i missili americani in faccia a Mosca e costruire una base americana in territorio polacco. La versione ufficiale di Washington fu che quei missili erano rivolti a Teheran ma la Russia, con buone ragione, non vi credette. La reazione del Cremlino non si fece attendere nell’enclave di Kaliningrad furono piazzati i missili Iskender diretti verso Varsavia. Dal 2012 la situazione si normalizzò e la cooperazione con gli Stati Uniti  permise alla Russia di entrare nel WTO.

In quegli anni a spaventare i paesi dell’Europa orientale fu quel che accadde alla Georgia nel 2008, spezzata dall’esercito russo in pochi giorni, e lasciata sola dall’alleato americano che non aveva nessuna voglia di inimicarsi Mosca per quel piccolo – anche se strategico – pezzo di terra. Oggi è la crisi ucraina a riaccendere i timori, per certi versi secolari, dei paesi dell’est anche se è pur vero che nel riposizionamento delle sfere di influenza, la Russia intende non uscire perdente.

La Nato ha infatti espresso la propria preoccupazione per la crescente militarizzazione della Crimea, annessa alla Russia nel marzo scorso. L’alto ufficiale statunitense, parlando da Kiev, in Ucraina, ha detto di temere che la penisola possa essere usata come base per una offensiva che punti al controllo della intera regione. La guerra nel Donbass, in cui i separatisti filorussi vengono armati e finanziati da Mosca, ridesta paure e isterismi. Di nuovo sentiamo parlare di blocchi, di nuovo sentiamo parlare di “occidente” e “oriente” come se oggi anche la Russia, paese capitalista ed espansionista, non fosse l’esatta immagine dell’antagonista americano e di un mondo fatto di potenze regionali in violenta competizione per espandere sfere di influenza (e quindi il proprio controllo su altri paesi). In questo nuovo (e vecchissimo) risiko mondiale la libertà di alcuni gruppi nazionali (come gli ucraini) è sacrificabile. A costoro resta solo la scelta di abbracciare il cannone di chi ritengono gli garantisca almeno un simulacro di libertà.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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Un commento

  1. La Russia non mi sembra prorpio “l’esatta immagine dell’antagonista americano”: a Mosca decide lo Stato, a Washington il capitale. In Russia il capitalismo, inteso in senso occidentale, non è mai arrivato. Lì decide solo il Cremlino chi può fare affari e chi no. Vedasi Khodarkovskij e compagnia. Due sistemi completamente diversi, al di là delle definizioni.

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