MONTENEGRO: Torbido Adriatico, l'elettrodotto che sa di mafia

Era il 2007 quando il secondo governo Prodi gettò le basi per una collaborazione economica con il Montenegro, e già Djukanovic era noto alla giustizia italiana: del 2003 infatti le inchieste della procura di Napoli che vedevano il primo ministro montenegrino coinvolto in un traffico internazionale di sigarette, con pericolose connivenze con la criminalità organizzata. Eppure ciò non impedì all’allora ministro per lo Sviluppo Economico, Pier Luigi Bersani, oggi segretario del Partito democratico, di firmare il primo accordo per l’elettrodotto Villanova-Tivat. Gli accordi chiave, però, vennero firmati dal ministro Scajola prima e il ministro Romani adesso. Nel mezzo la visita a Podgorica di Berlusconi, accolto come un idolo, che ha pubblicamente espresso la sua amicizia e la sua stima per Djukanovic. Adesso il pubblico ministero Gennaro Varone, della Procura di Pescara, ha aperto un’inchiesta per vederci chiaro sull’affare del cavo che porterà energia elettrica dal Montenegro in Italia. Le acque dell’Adriatico non sono mai state così torbide.

Il 1 dicembre scorso il ministro dello Sviluppo Economico, Paolo Romani, ha firmato l’ultimo atto dell’accordo energetico tra Podgorica e Roma. Il piano prevede la costruzione di un elettrodotto che porterà – a partire dal 2015 – fino a mille megawatt di elettricità in Italia, garantendo alle casse dello Stato un risparmio sulla bolletta nazionale fino a 225 milioni di euro all’anno. La parte italiana del consorzio è rappresentata da Terna, che investirà 760 milioni di euro, mentre quella montenegrina da CrnoGorski Elektroprenisni Sistem Ad (Cges) con cento milioni di euro. I lavori partiranno nel 2011 e la lunghezza finale dell’elettrodotto sarà di 415 chilometri. Di questi, 390 saranno sottomarini e a impatto zero – secondo i costruttori – mentre i restanti 25 chilometri in superficie, quindici chilometri in Abruzzo, dieci in Montenegro.

Qui la questione si complica. L’amministratore delegato di Terna è Flavio Cattaneo, già direttore generale della Rai dal 2003 al 2005, molto vicino al premier Berlusconi. Cattaneo promette che il cantiere darà lavoro ad almeno sessanta imprese locali, mentre a regime creerà non meno di duecento posti di lavoro. Terna inoltre acquisirà il 22% della Cges, e una clausola dell’accordo le consentirà di realizzare opere infrastrutturali in Montenegro. Fin qui, nulla di illecito. Altre imprese italiane sono coinvolte nel quadro di accordi economici tra Roma e Podgorica. L’Italferr costruirà un collegamento ferroviario tra Belgrado e il porto montenegrino di Bar (con un investimento di un milione di euro), l’Enel realizzerà un impianto a carbone in collaborazione con la Duferco (che a sua volta provvederà alla costruzione di un termovalorizzatore), mentre la A2A, controllata dai comuni di Milano e Brescia, si è impegnata nel settore dello smaltimento di rifiuti montenegrino attraverso l’acquisizione del 43% della società energetica Elektroprivreda, per la quale sono stati necessari circa 450 milioni di euro.

Di questi 450 milioni, ben 300 sarebbero finiti dritti dritti nelle casse della Prva Banka, di proprietà di Aco Djukanovic, fratello del premier. La Prva Banka ha tra i suoi clienti anche Darko Saric, il superboss del narcotraffico balcanico. Il rapporto strettissimo tra Djukanovic e Darko Saric è stato provato da una serie di intercettazioni telefoniche svolte dalla Dea (la Drug Enforcement americana) dalle quali è emerso che il boss versa alle banche del premier montenegrino il 20% dei proventi derivanti dal narcotraffico. Non a caso Djukanovic si disse disponibile a concedere la cittadinanza a Saric, cittadino serbo, nato però nel paesino di Pljevlja, tra le montagne del Montenegro settentrionale, in modo da salvarlo dal mandato di cattura internazionale. La Costituzione montenegrina, infatti, impedisce che i suoi cittadini vengano estradati in qualsiasi altro Paese.

La Prva Banka, quindi, è tutt’altro che un istituto trasparente. Se i soldi di A2A sono finiti nelle sue casse non c’è da stare allegri, considerando che A2A è un’azienda quotata in Borsa, nata dalla fusione tra le municipalizzate dei comuni della Lombardia, ufficiosamente considerata uno dei forzieri della Lega Nord. Gli azionisti di controllo di A2A sono il Comune di Milano e il Comune di Brescia, rispettivamente con una partecipazione pari a 27,5%. I soldi di A2A sono quindi, in buona parte, soldi pubblici.

“E’ arrivata la mafia dell’energia“, così titolava il Dan, giornale d’opposizione montenegrino, salutando l’arrivo della delegazione italiana a Podgorica nel giugno 2009, quando Claudio Scajola (allora ministro dello Sviluppo economico, poi coinvolto in una questione di appartementi romani e per questo dimissionario), Valentino Valentini (fidato consigliere di Berlusconi per i rapporti internazionali) e Maria Vittoria Brambilla (ministro per il Turismo) si recarono in missione per conto del Presidente del Consiglio nella piccola repubblica balcanica, di fatto sancendo l’alleanza tra Podgorica e Roma o, meglio, tra Djukanovic e Roma. Già, poiché non solo i soldi degli investimenti italiani sono finiti nella sua banca, ma le imprese vendute agli italiani  (e quindi privatizzate) erano imprese pubbliche del Montenegro. E’ difficile vedere un guadagno per lo Stato montenegrino, è facile intuire quello del suo premier.

Le dimissioni di ieri di Djukanovic non cambiano nulla, il ministro delle Finanze, Igor Luksic, dovrebbe essere il suo successore “ma sarà il partito a prendere la decisione finale”, ha detto Djukanovic. Partito del quale, assicura, resterà alla guida. L’era Djukanovic è lungi dall’esser finita. L’inchiesta del pm Varone non ha, al momento, nessun iscritto al registro degli indagati ma è probabile che la vicenda si complichi nel prossimo futuro. Intanto in Abruzzo, dove dovrebbero passare i quindici chilometri dell’elettrodotto, divampano le polemiche e fioriscono comitati che si oppongono alla costruzione dell’infrastruttura il cui via libera non è passato dall’aula del consiglio comunale di Pescara, come previsto dalla legge, ma è stato approvato quasi in segreto. Almeno questo è quanto lamentano le opposizioni, democratici e finiani in testa. C’è da attendersi sviluppi.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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