Varanasi, il cuore spirituale dell'India

Ogni mattina all’alba, da secoli, migliaia di pellegrini compiono il loro cammino di discesa dei ghat di Varanasi, le scalinate che portano al fiume, per immergersi nelle sacre acque del Gange.

Si rivolgono verso il sole nascente e compiono, assorti nelle loro preghiere, una complessa serie di rituali indù: gettano nel fiume ghirlande di fiori e piccole candele; prendono l’acqua facendola gocciolare attraverso le dita per farla ricongiungere con “La Grande Madre”, in offerta alle divinità e ai propri antenati; la bevono, alla faccia dei germi, dei batteri e dell’inquinamento dei nostri giorni; la raccolgono nelle mani per versarsela sul capo o all’interno di un contenitore di ottone che, terminata l’abluzione, viene portato al tempio; intonano sacri mantra e si immergono, per liberare il corpo dalla contaminazione dei peccati.

Ciascun fedele esegue i diversi rituali previsti dalla propria casta di appartenenza. Tutti offrono il loro tributo alla “Grande Madre”, il fiume Gange, considerato una divinità vivente.

Ogni induista, almeno una volta nella vita, deve recarsi a Varanasi e immergersi nelle sue acque: secondo l’induismo l’unico posto al mondo in cui gli dei permettono all’uomo di sfuggire al samsara, l’eterno ciclo di morte e rinascita, è la riva occidentale del Gange, nel tratto in cui sorge la città di Varanasi.

E’ questo il motivo per cui, nel corso della sua millenaria storia, centinaia di milioni di persone hanno compiuto un pellegrinaggio in questa città, capitale spirituale del paese, un tempo conosciuta come Benares.

Morire a Varanasi, la più sacra tra le città sante dell’India, è il sogno di ogni devoto.

Il suggestivo rito della cremazione, eseguito pubblicamente sulle sponde del Gange, è ricco di spiritualità: i corpi dei defunti vengono trasportati, avvolti da un lenzuolo, su una lettiga di bambù, deposti su pire funerarie, per essere bruciati in riva al Gange. Alla fine della cerimonia funebre, le ceneri vengono disperse nel fiume.

Una morte ideale per tutti i fedeli che possono permettersi di morire qui, purchè abbiano la disponibilità economica per pagare la legna sufficiente per la durata della cremazione e il lavoro delle persone addette al rito. Chi non ha soldi, deve accontentarsi di forni crematori elettrici assai più economici, anche se meno sacri e rituali. I corpi dei bambini, delle donne incinte, dei lebbrosi, dei sadhu e delle persone morte perché morse dai serpenti, secondo i precetti della religione, non possono esser cremati, e vengono semplicemente gettati nel fiume.

Varanasi, abitata da ben 4.000 anni, è una delle più antiche città dell’umanità.

Il celebre scrittore americano Mark Twain scrisse: “ Benares è più vecchia della storia, più vecchia della tradizione, più della leggenda e sembra due volte più antica di tutto questo messo insieme”.

Ancora oggi, seppur divenuta una celebre meta turistica, la città non ha perso il suo carattere, ed è pervasa da questo spirito. L’antico è vivo e il presente odora di passato, la storia millenaria è palpabile nell’aria, trasuda da ogni pietra, riflettendosi nel carattere e nei visi dei sui abitanti.

Antichi riti, costumi e tradizioni si tramandano da secoli.

La città vanta una storica tradizione nell’arte della tessitura della seta. I sari in seta, tessuti a mano, e il broccato di Varanasi sono da sempre considerati pezzi pregiati in tutto il mondo, anche se oggi il settore è in grave crisi e gli artigiani tessili, una volta agiati e venerati come grandi artisti, si trovano sull’orlo della disperazione. Il mercato globale e la concorrenza cinese, con i suoi prodotti di scarsa qualità ma dai prezzi bassissimi, hanno avuto effetti devastanti per il mercato indiano del tessile. A Varanasi negli ultimi anni oltre centomila indiani musulmani hanno perso il lavoro e numerosi sono stati i casi di suicidio, atto estremo di persone private di ogni speranza.

Varanasi fu la mia prima tappa indiana. Arrivai in India nel luglio 2010, in piena stagione di pioggie monsoniche, certamente non la stagione ideale.

Fui letteralmente folgorato dall’energia che si respira in città, dalle atmosfere magiche sulle rive del Gange, dai riti dei pellegrini, dalle albe e i tramonti sul fiume, dai vivaci mercati, dal labirinto di strette vie della città vecchia, pullulanti di vita e di colori.

Fin dal primo istante ogni angolo, ogni scorcio colpì la mia attenzione e i miei sensi: odori, colori, brulichio di vita, personaggi singolari, episodi curiosi.

A Varanasi ci si puo’ spostare, si può camminare in cerca di curiosità, come di norma nei viaggi, oppure scegliere di stare fermi, e far sì che siano le stesse curiosità a venirti incontro. Non è difficile, è sufficiente sedersi sui gradini dei ghat, rimanendo immobili ad osservare lo straordinario spettacolo della vita. Se ci si distrae un attimo, e si rialza lo sguardo, come per magia ci si trova di fronte una nuova incredibile scena. Si puo’ passare una intera giornata nella stessa posizione. Non ci si annoierà di certo, e non sarà una giornata persa. Credetemi.

Rimasi affascinato dal forte contrasto tra le due anime della città: quella maggioritaria indù, per cui la città è conosciuta nel mondo, e quella minoritaria seppur cospicua, più nascosta e sconosciuta, dei quartieri musulmani.
Due mondi totalmente contrastanti per usi, costumi e atmosfere: colori sgargianti dei sari delle donne, pellegrini intenti nei loro riti, continui richiami all’incredibile mitologia indù, vacche sacre a spasso per le strette vie della città, carattere esuberante delle persone, forte presenza di turisti, nel lato indù. Atmosfere calme, strade poco affollate, uomini vestiti di bianco, sfuggenti sagome di donne dai lunghi veli neri, capre al posto delle vacche, carattere schivo e riservato delle persone, totale assenza di turismo, in quello musulmano.

I minareti delle moschee si ergono a ridosso delle cupole dorate dei templi indù.

Due anime con filosofie e stili di vita diversissimi, che convivono grazie a un fragile equilibrioUna tensione latente, sempre viva in città, che a volte sfocia in scontri più o meno gravi. La crisi del settore tessile, e la crescente povertà tra gli artigiani, su cui soffiano a fini politico-religiosi gli estremisti di entrambe le fazioni, certamente non ha favorito, negli ultimi anni, la pacifica convivenza tra le due comunità.

Uno stacco così netto tra i due ambienti, entrambi affascinanti, da farmi persino cambiare approccio fotografico, con un inevitabile utilizzo del colore per gli scatti negli ambienti hindu, in cui ero solito passare le mattine, e l’uso diretto del bianco e nero, a mio parere più indicato per carpire l’anima del “mondo musulmano”, per le foto scattate nelle mie passeggiate pomeridiane nel quartiere di Madanpura.

Benvenuti a Varanasi, la culla dell’umanità, il cuore spirituale dell’India… qui il reportage fotografico

Chi è Luca Vasconi

Nato a Torino il 24 marzo 1973, fotografo freelance dal 2012. Laureato in Scienze Politiche all’Università di Torino, dopo alcuni anni di vita d’ufficio piuttosto deprimenti decide di mettersi in gioco e abbandonare lavoro. Negli anni successivi viaggerà per il mondo alla ricerca dell'umanità variopinta che lo compone.

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Un commento

  1. grazie, grazie…tutto quanto riguarda l’India è sempre molto gradito 😀

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