"Preferisco debosciarmi alla russa". Dostojevski e la critica al capitalismo tedesco

Proponiamo un brano da “Il giocatore”, romanzo del 1866 di Fedor Dostojevski. Se qualcuno vorrà vederci analogie con il presente, avrà colto in pieno le nostre intenzioni. Buona lettura

Dopo aver sentito della mia perdita, il francese, in tono caustico e persino astioso, mi fece osservare che bisognava essere più giudiziosi. Non so perché abbia soggiunto che, sebbene i russi giochino molto, tuttavia secondo la sua opinione non sanno neanche giocare.

“Invece secondo me la roulette è fatta soltanto per i russi” ribattei io e, quando il francese sorrise sprezzantemente a questo mio giudizio, gli feci osservare che la verità era certo dalla mia parte poiché, parlando dei russi come di giocatori, li criticavo molto più di quanto non li lodassi e che, per conseguenza, mi si poteva credere.

“Su che cosa basate la vostra opinione?” mi chiese il francese.

“Sul fatto che nel catechismo delle virtù e dei meriti del civilissimo uomo occidentale è entrata storicamente e quasi sotto l’aspetto di caposaldo la capacità di procurarsi capitali. Invece il russo non solo non è capace di procurarsi dei capitali ma li sperpera a casaccio in maniera scandalosa. Nonostante ciò, aggiunsi, anche a noi russi il denaro è necessario e di conseguenza ci piace molto e ci sentiamo portati verso quei mezzi, come per esempio la roulette, che ci permettono di arricchire di colpo in due ore senza alcuna fatica! Questo ci attrae molto e poiché giochiamo senza riflettere e senza faticare, così perdiamo!” “Questo in parte è giusto!” osservò il francese soddisfatto.

“No, è ingiusto, e dovreste vergognarvi di esprimervi così sul conto della vostra patria” ribatté con aria severa e autorevole il generale tedesco.

“Ma scusate” gli risposi “non so davvero che cosa sia più disgustoso: se l’irregolatezza dei russi o il metodo tedesco di accumulare denaro con un onesto lavoro”. “Che idea assurda!” esclamò il generale.

“Che idea russa!” esclamò il francese. Io ridevo e avevo una voglia terribile di attaccar lite.

“Io preferirei trascorrere tutta la vita in una tenda kirghisa, esclamai, piuttosto che inchinarmi all’idolo tedesco.” “Quale idolo?” gridò il generale incominciando a infuriarsi sul serio.

“Il metodo tedesco di ammucchiare ricchezze. Non sono qui da molto tempo però quello che ho già avuto modo di vedere e di costatare rivolta il mio sangue tartaro. Giuro che non voglio virtù come queste! Ieri sono riuscito a fare nei dintorni un giro di forse dieci miglia. Ebbene è precisamente come si legge nei libriccini moralisti tedeschi illustrati; ovunque in ogni casa c’è il suo ‘Vater’ straordinariamente virtuoso ed eccezionalmente onesto. Così onesto che fa paura avvicinarglisi. Io non posso soffrire gli uomini onesti che fa paura avvicinare. Ognuno di questi ‘Vater’ ha la propria famiglia e la sera leggono tutti ad alta voce dei libri istruttivi. Sopra la casetta stormiscono olmi e castagni. Il sole tramonta, c’è la cicogna sul tetto e tutto è insolitamente poetico e commovente… Voi generale non irritatevi ma permettetemi di raccontare le cose in maniera un po’ patetica… Io stesso mi ricordo che mio padre buon’anima sotto i tigli del giardinetto leggeva anche lui alla sera a me e a mia madre libri di quel genere… Posso quindi giudicare di queste cose con cognizione di causa. Ebbene, ognuna di queste famiglie qui è completamente sottomessa e schiava del padre.

Tutti lavorano come bestie e tutti ammucchiano denaro come giudei. Mettiamo che il ‘Vater’ abbia già messo da parte una certa quantità di ‘gulden’ e punti sul figlio maggiore per trasmettergli il mestiere o il campicello; per questo non danno dote alla figlia e lei resta zitella. Sempre per questo vendono il figlio minore come servo o lo mandano a fare il soldato e aggiungono questo denaro al capitale di famiglia. Davvero, qui si fa così: mi sono informato. Tutto questo si fa unicamente per onestà, per un sentimento eccessivo di onestà, al punto che anche il figlio minore venduto crede di non essere stato venduto se non per onestà; e questo è proprio l’ideale quando la vittima stessa è contenta di essere portata al sacrificio.

E poi? Poi succede che neppure per il figlio maggiore le cose vanno bene: lui ha una certa Amalchen alla quale è unito con il cuore, ma che non può sposare perché non sono ancora stati ammucchiati ‘gulden’ sufficienti. E allora pure loro aspettano onestamente e si avviano anch’essi al sacrificio con il sorriso sulle labbra. E intanto le guance di Amalchen si sono incavate e sono avvizzite. Finalmente dopo quasi vent’anni il patrimonio si è accresciuto e i ‘gulden’ sono stati ammucchiati in modo leale e onesto. Il ‘Vater’ benedice l’ormai quarantenne figlio maggiore e la trentacinquenne Amalchen dal seno flaccido e dal naso rosso… E allora il ‘Vater’ piange, fa la morale e passa a miglior vita. Il figlio maggiore si trasforma a sua volta in un virtuoso ‘Vater’ e ricomincia la stessa storia.

Dopo una cinquantina o una sessantina di anni il nipote del primo ‘Vater’ realizza effettivamente un notevole capitale e lo trasmette al proprio figlio, questo al suo, quest’altro al suo e, dopo cinque o sei generazioni, viene fuori il barone Rotschild in persona oppure Hoppe e Co. o il diavolo sa chi. Ebbene signori, non è forse uno spettacolo meraviglioso? La fatica di un secolo o di due secoli di generazione in generazione: pazienza, ingegno, onestà, dirittura morale, carattere, fermezza, calcolo, cicogna sul tetto! Che volete di più? Niente è più sublime di questo, ed è proprio da questo punto di vista che costoro iniziano a giudicare il mondo intero e a condannare a morte i colpevoli, cioè quelli che appena appena non somigliano a loro. Ebbene, signori, ecco dunque di che si tratta: io preferisco debosciarmi alla russa o arricchirmi alla roulette.

Non voglio essere Hoppe e Co. tra cinque generazioni. A me il denaro è necessario per me stesso e non considero me stesso come un indispensabile accessorio al capitale. So di aver detto un mucchio di spropositi, ma è così. Queste sono le mie convinzioni.” “Non so se ci sia molto di vero in quello che avete detto” osservò pensieroso il generale, “ma so con certezza che cominciate a fare lo spiritoso in maniera insopportabile non appena vi si permette di uscire un pochino dai limiti…” Ma come sempre non completò la frase. Se il nostro generale cominciava a parlare di qualche cosa che fosse un tantino più serio dei soliti discorsi di ogni giorno non finiva mai di dire il suo pensiero. Il francese ascoltava con noncuranza, con gli occhi spalancati. Non aveva capito quasi niente di ciò che avevo detto.

Photo Credit: jasonsewell

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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