UCRAINA: La protesta del "nazionalismo civico". Ma non tutto il paese scende in piazza

“Sta succedendo qualcosa di molto strano in una capitale d’Europa. La gente è scesa in strada a protestare per l’Unione Europea“, con queste parole Ian Traynor salutava, sulle colonne del Guardian, l’inizio delle manifestazioni a Kiev. Era il 22 novembre. Le proteste, inizialmente contenute, hanno presto coinvolto migliaia di persone che chiedevano al presidente Yanukovych di firmare l’accordo di associazione con l’Unione Europea, un accordo che avrebbe forse dato respiro all’economia di un paese sull’orlo della bancarotta. Ma quell’accordo non s’aveva da fare, almeno secondo il Cremlino che non intende perdere l’egemonia su un’area tanto strategica per la sua economia e sicurezza.

Le proteste scoppiano dunque a seguito della notizia del mancato accordo ma hanno radici più profonde. Anzitutto economiche: nel 2008 fu uno dei primi paesi visitati dal Fondo monetario internazionale ma le misure di aggiustamento non bastarono e pochi anni dopo, con il crollo della moneta locale, il paese si è trovato nel baratro, con uno dei Pil pro capite più bassi d’Europa.

Inoltre la controversa esperienza della rivoluzione arancione, che nel 2006 portò al potere la coalizione guidata da Viktor Yushchenko, poi presidente, e Yulia Tymoshenko, è un esempio di quel “nazionalismo civico” che oggi vediamo riproporsi a Kiev. Un “nazionalismo civico” che è la cifra di un paese capace di immaginarsi diverso. Oggi come allora i luoghi sono gli stessi e piazza Indipendenza, nota semplicemente come “Maidan” (la piazza) è la spianata simbolo della protesta che, come nel 2006, ha come obiettivo le dimissioni di Yanukovych e la fine del suo potere corrotto fondato sugli oligarchi del cosiddetto “clan di Donec’k”. Tuttavia la rivoluzione arancione ha lasciato molta disillusione e le analogie tra il 2006 e oggi finiscono qui: la vicenda di Yulia Tymoshenko, già zarina del gas, oligarca arrestata per corruzione, a sua volta espressione del potere clientelare ucraino, ha fatto capire a molti che l’intera classe politico-padronale è inadeguata a guidare il paese. Ma a chi rivolgersi?

Non manca chi cerca di cavalcare le proteste. Vitali Klitschko è uno di quelli che ha deciso di metterci la faccia. Klitschko è un ex-pugile molto famoso in patria. Nel 2006 sostenne pubblicamente Jushchenko e fu uno dei leader di PORA, movimento protagonista della rivoluzione arancione. Si è candidato più volte a sindaco di Kiev, senza successo, ma le sue quotazioni sono in rialzo ed è descritto da molti media come il più valido sfidante di Yanukovych . Tuttavia l’Ucraina non è un paese dove si può fare opposizione senza rischiare la pelle: Yushchenko fu avvelenato con la diossina, la Tymoshenko è in carcere. Basteranno i suoi potenti pugni contro le “gang” di Yanukovych?

Già, “gang”, come le hanno chiamate gli stessi manifestanti. Il potere di Yanukovych è infatti un potere mafioso, gli oligarchi che lo sostengono sono criminali e i tentacoli della piovra del clan di Donec’k si insinuano fin dentro la società, strozzandola. Difficilmente il presidente ucraino si farà spaventare dalla piazza. La democrazia in Ucraina non esiste, la sovranità non è nel popolo, e non è di fronte al popolo che Yanukovych rassegnerà le dimissioni ma – al limite – nei confronti dei suoi padrini. Questo la gente radunata in piazza Indipendenza lo sa. E sa che la sfida è impari. Stupisce come finora la polizia si sia tutto sommato contenuta esercitando la violenza in una sola occasione.

Le anime di Meidan sembrano molte.Oltre ai sostenitori di Klitschko e della Tymoshenko (ancora in carcere) ci sono anche gli ultranazionalisti di Svoboda, partito radicale con derive antisemite, che riscuote successi all’ovest, nelle regioni tradizionalmente ucraine. L’Ucraina è infatti un paese diviso in due, con una parte della popolazione che parla ucraino, di religione uniate, e un’altra parte ortodossa e russofona. La spaccatura interna al paese si vede bene – con qualche rara eccezione – ogni volta che si va al voto. L’est del paese, russofono, guarda a Mosca e a Yanukovych , mentre l’ovest ai nazionalisti e all’Europa.

Per i partiti nazionalisti  l’Unione Europea è dunque una scelta obbligata. L’europeismo di Klitschko o della Tymoshenko è funzionale alla loro legittimazione agli occhi dell’occidente e alle loro mire di potere. Inoltre solo la parte di popolazione che vive tra Kiev e Leopoli è partecipe di queste proteste. Si dice che manifestazioni si siano svolte anche nel profondo est ma – fin qui – mancano immagini a sostegno di questa notizia. Questo è un elemento importante: la vittoria della piazza a Kiev sarebbe la vittoria solo di mezza Ucraina. 

In un paese così spaccato è forse sbagliato ragionare in termini di “cittadini versus potere” poiché una buona metà dei cittadini ha votato per questo presidente e questo governo. A molti ucraini l’Unione Europea non piace. E soprattutto non piace un’opposizione nazionalista dalla quale – essendo russofoni – si sentono minacciati. Sono cose da tenere in considerazione se si parla di Ucraina. E’ la crisi economica che sta portando il paese alla bancarotta a spingere la gente in piazza, non l’amore verso l’Europa. Ed è l’evidente malgoverno di Yanukovych a convincere parte di chi l’ha votato della sua inadeguatezza, non una volontà di distacco da Mosca.

L’europeismo, la democrazia, sono certo elementi concreti di questa protesta che però resta una protesta parziale. Molti – e anche noi – la guardano con simpatia ma occorre prendere in considerazione anche l’altra metà del paese. E occorre riflettere sul fatto che l’Europa possa non essere considerata da tutti “il migliore dei mondi possibili” e che l’eurocentrismo in crisi cerca, in queste proteste, nuova linfa. L’Ucraina è un ponte tra l’Europa e la Russia, il confine passa da lì ma è un confine mobile, poroso, incerto. Solo quando questo confine interno al paese smetterà di essere una cesura, il paese troverà una strada per il cambiamento. Una strada condivisa. Altrimenti, chiunque governi e in qualunque modo lo faccia, la spaccatura tornerà sempre a farsi sentire facendo del paese un campo da gioco per la Russia e l’Europa. 

Foto: Europa quotidiano

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. Le cose che hai scritto sono equilibrate e condivisibili, però l’Ucraina nei suoi confini attuali è una nazione immaginaria, destinata a smembrarsi entro pochi anni. La Russia ha mire evidenti sulle regioni russofone dell’est e soprattutto del sud (Crimea e Odessa) ma non è la sola. Anche la Polonia sogna da sempre di riprendersi la Galizia e la Romania rivuole le sue regioni strappatele da Stalin. Tutti i confinanti con l’Ucraina sono interessati al suo smembramento, e gli abitanti stessi non hanno una ragione al mondo per restare assieme. Bisogna solo sperare che il tutto avvenga in modo incruento, come in Cecoslovacchia.

  2. Perfetto.

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