SERBIA: Telekom Srbija, ultimo atto

di Filip Stefanović

Il 20 ottobre, tramite un annuncio sul quotidiano nazionale Politika e sul Financial Times di Londra, è stata ufficialmente lanciata l’offerta di vendita di una quota pari al 51% della proprietà di Telekom Srbija, la compagnia telefonica nazionale serba. I potenziali acquirenti hanno tempo fino al 26 novembre per inoltrare la propria proposta d’acquisto. Per comprendere appieno cosa accade, è bene fare un passo indietro e tratteggiare un quadro della situazione complessiva serba al 2010.

Un po’ di storia

Dopo dieci anni dalla caduta di Milosevic, dieci anni di eterna transizione, come possiamo riassumere la politica economica della Serbia? Il modello, in realtà, non sembra offrirci nulla di nuovo. La privatizzazione, termine spesso confuso colpevolmente con liberalizzazione, ha portato alla svendita della maggior parte delle imprese di proprietà pubblica. Questo, all’epoca di Kostunica, ha permesso alle casse dello stato di tirare il respiro, ed al suo presidente di compiacersi dell’ottima strada imboccata dalla Serbia. Purtroppo, però, tali somme non sono mai state spese in investimenti a lungo termine, ma sperperate su strade improduttive (pensioni e stipendi pubblici) o in fitti rivoli politici e clientelari. Invero, niente di nuovo sotto il sole.

Negli anni ’70 un sostenuto livello di consumi, inimmaginabile per i paesi della sfera sovietica, è stato possibile solo grazie ad un altrettanto consistente indebitamento estero. Un debito, però, deve ovviamente essere ripagato. Questo può avvenire in due modi: diminuendo la spesa corrente ed introducendo un lungo periodo di austerità, oppure vendendo il capitale immobile del paese. La prima strada era politicamente impraticabile, la seconda ideologicamente inconcepibile per un paese socialista. La scelta fu quella di sostenere i consumi e ripagare i debiti stampando moneta.

Ciò portò ovviamente ad una inflazione sostenuta negli anni ’80 ed alla crisi economica. La guerra da essa scaturita fece ciò che la politica non seppe fare. Negli anni ’90, tutto da capo. Le immani spese nei primi anni del regime criminale di Milosevic, sia per arricchire la propria cerchia che per finanziare la guerra, portarono il paese al collasso alla metà del decennio. Risparmiare era impossibile, in un paese dove il PIL pro-capite era sceso dai 2055 $ del 1990 ai 730 $ del 1996, ed allora si pensò di vendere una fetta di Telekom all’omonima compagnia italiana. Ciò permise a Milosevic nel 1997 di rimanere in sella, poi la crisi in Kosovo ed un nuovo conflitto, l’ultimo.

Risvolti economici

Quello che si sarebbe dovuto facilmente comprendere dalle svendite degli anni ‘80/’90, poi dal primo decennio del nuovo millennio, è che se quanto si ottiene dai processi di privatizzazione non viene concretamente investito, ma speso in consumi, ci si ritrova nuovamente a terra e, di nuovo, l’opzione è tra la loro riduzione e la vendita di ulteriori immobili. Ma quando si da fondo ai gioielli di famiglia, cosa resta? Telekom Srbija è l’ultima impresa serba redditizia, con profitti pari al 25%. L’azienda detiene il 100% della rete telematica del paese, ed è pertanto monopolista. La liberalizzazione del mercato e la concessione ad aziende private di costruire reti parallele, quindi la concorrenza, avrebbe indubbiamente effetti positivi, quali la caduta dei prezzi. È però altrettanto rilevante notare che la rete ad oggi esistente è stata edificata ed implementata nel corso di un secolo, quindi, come si è già visto in molti paesi nei quali la liberalizzazione delle società di telefonia e comunicazioni è già avvenuta, l’ex compagnia di stato manterrebbe una fondamentale posizione di dominanza (come accade in Italia).

Un acquirente straniero si troverebbe pertanto nella stessa identica situazione di monopolio del gestore di stato, con la differenza che avendo sborsato una cifra considerevole per il suo acquisto, sarà incentivato ad aumentare i prezzi, ridurre gli investimenti e licenziare parte dei dipendenti per rientrare quanto prima nei costi sostenuti. Peraltro una compagnia nazionale crea un importante indotto attorno a sé, acquistando apparecchiature e software in larga parte da imprese nazionali, che in tal modo attestano la qualità dei proprio prodotti, creando a propria volta un curriculum aziendale degno di considerazione sul mercato internazionale. Un gestore non nazionale non ha invece cura né interesse a rifornirsi dalle imprese in loco, ma anzi, preferisce rivolgersi alle industrie del proprio paese d’origine, che conosce e con le quali intrattiene rapporti pluriennali.

Considerazioni e ipotesi

Tale politica avrebbe l’unico effetto di deprimere ulteriormente l’economia serba, in quanto le imprese che in precedenza vendevano a Telekom non riuscirebbero a piazzare i propri prodotti nemmeno all’estero, aumentando il deficit della bilancia commerciale e tagliando posti di lavoro, soprattutto per giovani tecnici e laureati che si vedrebbero a loro volta costretti a lasciare il paese, due gravissimi problemi della Serbia di oggi.

Tutte queste considerazioni non sono mere ipotesi, ma constatazioni basate su quanto è già accaduto in paesi vicini che hanno privatizzato il settore delle telecomunicazioni, come Montenegro, Croazia, Albania e Macedonia.

Se comunque la decisione di vendita risultasse irrevocabile, servirebbe almeno che i piani di reinvestimento (il governo serbo prevede un introito di almeno 1.4 miliardi di €) fossero certi e lungimiranti. Svendere Telekom Srbija per costruire nuove strade e infrastrutture di modo da favorire la rinascita della Zastava, non rientra di diritto fra questi piani. Significa semplicemente barattare il futuro, il settore delle telecomunicazioni, col passato, l’industria automobilistica.

Per prima cosa bisognerebbe stabilizzare il costo della vita, riducendo l’inflazione (6% nel 2010, la più alta nella regione): essa non solo disincentiva il risparmio, ma mantiene pressanti le richieste di nuovi rialzi di pensioni e stipendi minimi, che a loro volta, a causa dell’inflazione stessa, non potranno avere carattere definitivo. Fino ad allora, nessun modello di investimento e sviluppo riuscirà mai a soppiantare quello corrente, sterile e consumistico. Nel frattempo, la Serbia rimane tra i paesi più vecchi al mondo, con un’età media di 42 anni, ed il peso della previdenza sociale diventa di anno in anno più grave, mentre il paese muore velocemente, sia per un deficit di nascite rispetto alle morti dell’ordine di 35-40.000 all’anno, che per la costante emigrazione giovanile, a causa di una disoccupazione vicina al 20%.

Conclusioni

In un tale quadro di stagnazione, con una classe politica incapace di formulare qualsiasi programma a medio-lungo termine, il futuro non appare più grigio, cessa semplicemente di esistere. La vendita di Telekom Srbija perde così qualsiasi valore strategico di ristrutturazione e reinvestimento, e serve solo, come in passato, a comprare altro tempo, con l’unica differenza che ogni volta il tempo guadagnato è sempre meno, mentre del barile è rimasto solo il fondo. E quando scadrà anche l’ultimo minuto?

 

Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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