SLOVACCHIA: Caccia a rom. E si rivede la legge sulle armi nella "pacifica" Bratislava

Il «fronte freddo autunnale», per riciclare una adeguatissima espressione di Franzen, inizia a farsi vivo con folate pungenti. Eppure è complicato trovare una sedia libera nei bar lungo la strada e le cameriere hanno un bel daffare per non scontentare nessuno tra i clienti (scopro infatti che, per quanto uno possa essere riservato, non è mai carino farlo aspettare più del dovuto).

Calandosi nei panni e nel linguaggio della guida turistica tocca specificare come in Obchodná -pieno centro di Bratislava– si trovino svariate attrazioni: birrerie e negozi, alcuni anche grossotti, nonché tavole calde e ristoranti a sfornare la tipica eterogenia dei luoghi più visitati di un qualsiasi centro urbano (piatti locali del genere bryndzové halušky si mischiano con scioltezza alla pizza quatro stagionni e al kebap, piadina o panino). Ostelli in perenne lotta l’uno con l’altro nei prezzi e sale giochi dalle insegne al neon più o meno ronzanti e ambigue.

Hodžovo námestie e il Palazzo Presidenziale stanno a pochi metri, idem Hlavné námestie con la fontanella tonda che piace da matti alle comitive, principalmente di tedeschi. Cinema e teatri e un numero imprecisato di tram a sferragliare nel centro della carreggiata (il forestiero pessimista e timoroso vedrà sempre come un mezzo miracolo il fatto che nessuno tra coloro che arrancano sui bordi con pesanti buste da shopping ci finisca sotto). Traducendo: siamo nel cuore pulsante di una città, una tra le arterie più bazzicate di Bratislava, Slovacchia.

Tuttavia stupisce il senso di calma facilmente avvertibile nell’aria, una sensazione che -agevolata forse dal tramonto rossastro e la bella luce dietro il Castello- conferisce alla scena un’idea di sospensione e fissità piacevole. Un sentore difficile da spiegare (specie scrivendone) ciò nonostante ripreso e gentilmente avallato da due bratislavesi fatti e rifiniti che siedono al mio tavolo: nonostante tutto, spiegano -ossia nonostante la crescita della città e il proprio dinamismo- Bratislava era e rimane un luogo calmo. O meglio composto. Misurato. Sostanzialmente pacifico. Dimensioni ridotte o sortilegi di vario tipo, non è dato sapere. Resta il fatto che la trascurata magnificenza di alcuni palazzi e le esplosioni di modernità di altri si fanno fondali ideali per questo deciso ma mai entrante viavai di anime; non tanto la modernità quanto una graziosa riproduzione teatrale della modernità.

Qualcuno ha parlato di perdita dell’innocenza; nei fatti un bagno di sangue può causarla. Difficile, se non impossibile, tirarci fuori altro: ognuno ne tragga le proprie conclusioni e metabolizzi la faccenda come meglio crede. Però resta il dato: ciò che è avvenuto a fine agosto è stata la prima strage omicida nella storia della Slovacchia. La prima ad opera di uno psicopatico assolutamente prodotto dall’interno. Sui giornali si è anche azzardato: la prima volta che una mattanza di questo tipo ce la ritroviamo in salotto e non nella televisione a metà circa di un film americano (qui cito la Pravda). Ora, in qualche doloroso modo, siamo una nazione adulta.

Devínska Nová Ves – luogo nel quale tutto è accaduto – è un quartiere periferico della città piuttosto verde e ben tenuto; sulle dinamiche della strage si è scritto molto e trattasi di numeri oramai cupamente noti: otto morti e diversi feriti, alcuni messi malissimo. Servirà però forse spendere qualche parolina sulle modalità attraverso le quali la società ha risposto alla follia, e le mosse che il governo preparerebbe per scongiurare altre azioni del genere. Come spesso accade infatti le telecamere dei media sono state rapide a spegnersi una volta inquadrato un po’ l’asfalto e le macchioline di sangue.

Partiamo dall’esecutivo e nello specifico dal Ministro dell’Interno, nelle cui mani è finito l’incarto: proposta di revisione di una legge [la 190/2003] riguardante il possesso di armi, con conseguenti restrizioni. Riduzione di validità del permesso da dieci a cinque anni e severi [nonché ravvicinati] esami psicologici, da qualche tempo rimossi, dicono a causa della potente lobby dei cacciatori. Tutto entro breve, probabilmente entro la fine di settembre.

Secondo le informazioni fornite al quotidiano Slovak Spectator da Viktor Plézel, un portavoce del Corpo di Polizia, in Slovacchia ci sono attualmente circa 157.500 titolari di licenze per armi da fuoco; cifra che rappresenta più o meno il tre per cento della popolazione [ma, ribatte Ľudovít Miklánek, presidente di una associazione di settore, il suddetto numero non tiene conto dei possessori di pistole ad aria compressa, armi sportive o simili amenità: i primi che finiranno schedati al prossimo giro di boa e che dunque stanno ergendosi polemici contro il Ministro e le sue sciabolate. Rimanendo ai parametri esposti – qualcuno fa notare più o meno provocatoriamente – finirebbero illegali anche i cannoni in vendita da certi antiquari del centro storico.

Non trascurabili inoltre i controlli sulle vendite di armi giocattolo, spesso modificabili con relativa facilità in aggeggi capaci di pescare con precisione un potenziale bersaglio, e ridurlo male.

Poi viene la popolazione, la società civile. Il contenitore delicatissimo di vittime e carnefici. Nota essenziale: sempre, dopo una mattanza come quella di Devínska Nová Ves, leggiamo che spunterebbero tra le persone versioni più o meno oneste di esami di coscienza collettivi con domande del genere: «…ma questo bagno di sangue dice qualcosa anche di me? Del sistema nel quale vivo?».

Naturalmente è complicatissimo stabilire gli esiti di simili introspezioni, specie nel breve. Alcuni analisti, nel mese appena trascorso, hanno scritto che volontà di questo tenore non siano state così evidenti nella cittadinanza slovacca; tuttavia – nonostante l’etnia delle vittime, quei rom che tante discussioni e polemiche hanno generato in zona – è stato registrabile un profondo e (parrebbe) reale turbamento, accompagnato da pochissimi scivoloni ambigui (le reazioni più temute, tipo «le vittime sicuramente spacciavano droga o erano troppo rumorosi», cavalcando così i più triti stereotipi sulla minoranza rom in Slovacchia).

Ossia né bene né male. Ossia anche la reazione al massacro è stata composta, silente. Forse troppo? Certo, in questa sottile ambiguità magari c’entra qualcosa anche la compostezza di cui sopra. In molti se lo domandano. Al nuovo esecutivo, guidato dalla signora Radičová, il compito di monitorare la situazione. Di perdite dell’innocenza, di ingressi nel mondo adulto, è bene che ce ne sia solo uno, dicono gli amanti del parallelismo. Numeri maggiori forse l’organismo non potrebbe reggerli, e sarebbero guai.

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