“Nella ricerca dell’anima malinconica della sua città natale, ha scoperto nuovi simboli per rappresentare lo scontro e l’interrelazione tra le diverse culture”: questa la motivazione dell’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Orhan Pamuk nel 2006. L’Istanbul di Pamuk non rappresenta solamente una notevole capacità di descrivere luoghi ed usarli come scenario per le vicende narrate, ma qualcosa di molto più profondo, cioè un’idea originale del concetto stesso di città.
Nella prospettiva dell’autore turco una città non coincide con la descrizione estetica e fisica dei luoghi, e neppure con le vite dei suoi abitanti del presente e del passato, ma va oltre, ponendosi come entità viva ed autonoma, dotata di una propria personalità, di una propria coscienza e di una propria memoria storica.
Nel capitolo di Istanbul intitolato Tristezza l’autore, per spiegare il particolare carattere su cui si fonda l’identità di Istanbul, ricorre al concetto di hüzün. Nel Corano questa parola sta ad indicare lo stato d’animo determinato da una grave perdita spirituale e dal distacco irreversibile da una persona amata. Il concetto è stato ripreso nella filosofia sufi per indicare l’emozione generata dalla consapevolezza dell’incolmabile distanza tra l’uomo e Dio. Tale sentimento è tuttavia estremamente positivo, poiché è visto come una condizione esistenziale necessaria per intraprendere il cammino mistico di riavvicinamento alla divinità.
È così giunto in eredità alla lingua turca moderna un termine che porta con sé un’intrinseca ambiguità: se da una parte ha un significato negativo, legato al dolore, alla mancanza e all’afflizione – all’incirca coincidente con la nostra traduzione più semplice e naturale, cioè tristezza – dall’altra ne porta con sé uno diverso e positivo, relativo all’ambito del sacro, del poetico e del mistico, accostabile per certi versi all’idea romantica del sublime. Non ci si può dunque stupire del ruolo del tutto eccezionale, non paragonabile a nessun altro paese del mondo, che il concetto di tristezza riveste ad Istanbul e generalmente in Turchia, influenzando tanto le arti, quanto la mentalità delle persone comuni.
L’autore non si ferma però al dato semantico, ma investe il termine hüzün di ulteriori e peculiari significati. La tristezza di cui parla Pamuk non è infatti il sentimento personale che un individuo può sperimentare in determinate circostanze, ma l’essenza stessa di Istanbul, attorno a cui si strutturano la coscienza e la personalità dell’antica capitale ottomana.
Il carattere della città non può quindi essere ridotto a un’atmosfera o a una serie di situazioni contingenti, ma si configura come una vera e propria condizione esistenziale. Si ribalta così il rapporto tra personaggi e ambientazione: è Istanbul, con la sua forte personalità forgiata in duemila anni di storia, la vera protagonista dei romanzi di Pamuk, facendo da contraltare al carattere debole dei personaggi principali, spesso inetti che non sono in grado di affrontare le sfide più banali che la vita riserva loro.
In modo particolare è proprio il concetto di hüzün/tristezza a dare un significato autentico alle storie raccontate dal Nobel turco, a renderle degne di essere raccontate. Il valore positivo o comunque ambiguo che la tristezza in quanto tale riveste nel contesto culturale di Istanbul nobilita e rende quasi epiche le tragedie umane, di per sé spesso misere, squallide e patologiche, che Pamuk mette in scena nei suoi romanzi, fino a trasformare la sofferenza e la solitudine quasi nel loro contrario, come una forma sui generis di felicità.
È così che Kemal Basmacı, inetto su tutti gli inetti, sconfitto dalla vita come nessun altro, dopo aver trascorso un’esistenza estremamente drammatica e per molti versi assurda, si congeda dal lettore con una frase che lascia scioccati se non si tiene presente che la storia si è svolta ad Istanbul: «Tutti devono saperlo: ho avuto una vita felice».
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