BULGARIA: La Taksim dimenticata, da quindici giorni proteste contro il governo

 In Bulgaria è tornata a salire la tensione sociale e politica, le proteste antigovernative vanno avanti ormai da quindici giorni a Sofia e nelle altre maggiori città. La nuova ondata di manifestazioni è stata innescata  dalla nomina (poi revocata) di Delyan Slavchev Peevski a capo dei servizi segreti bulgari. La protesta si è però presto rivolta contro la classe politica e  circa duemila dimostranti hanno assediato il parlamento a Sofia chiedendo le dimissioni del governo di Plamen Oresharski. “Mafiosi dimissioni!”, hanno scandito i dimostranti. Il governo di Oresharski è in carica da poche settimane, eletto a seguito delle dimissioni dell’ex primo ministro Boyko Borisov. Dimissioni dovute, in certa misura, alle violente dimostrazioni di piazza che andarono in scena nel febbraio scorso. La miccia, allora, fu il rincaro delle bollette dell’energia elettrica. Oggi è invece stata la nomina di Peevski, ma quello che sta succedendo in Bulgaria è molto più significativo.

Il paese si trova a un punto morto, piagato dalla corruzione e dalla disoccupazione, è guidato da una classe politica incapace e corrotta: da un lato i conservatori del Gerb, il partito di Borisov, legato a doppio filo con la mafia bulgara, dall’altra i socialisti non meno invischiati in torbidi e corruttele, eredi del partito comunista bulgaro che ancora suscita cattivi ricordi. La Bulgaria non è un paese abituato a scendere in piazza. L’idiosincrasia verso la piazza è un elemento comune dei paesi dell’ex blocco socialista dove le manifestazioni pubbliche erano un obbligato esercizio di consenso al regime. Ma sono passati ormai più di vent’anni dalla caduta del Muro, una generazione di giovani chiede oggi diritti, lavoro e democrazia e per farlo usa la piazza. E’ successo a Bucarest, con gli “indignati” che per mesi hanno occupato piazza delle Università (nel più totale silenzio dei media nostrani). Sta accadendo a Sarajevo e a Sofia. Insomma, sembra che i cittadini, che non si sentono più rappresentati da classi politiche logore e corrotte, si approprino di nuovi (vecchi) spazi di azione politica.

La Taksim bulgara, come l’hanno chiamata alcuni giornali, passa inosservata sui media italici. Essa è però un tassello di una protesta che, muovendo sempre da motivi peculiari e locali, assume un carattere continentale: non mettere in relazione gli indignati di Madrid con quelli di Bucarest, di Atene, e oggi con Sarajevo e Sofia fino ai fatti di Istanbul, sarebbe sbagliato. Sono il segno di un sommovimento europeo, forse una reazione alla crisi economica e democratica del vecchio continente.

La polizia a Sofia non reagisce. Non ci sono stati episodi di repressione da parte delle forze governative, anche perché la polizia ha chiaramente fatto capire di essere dalla parte dei manifestanti.  Il presidente della Repubblica, Rosen Plevneliev, non esclude un rapido ritorno alle urne.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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