MONTENEGRO: Berlusconi elettrico e le privatizzazioni balcaniche, riassunto di un insuccesso

Ne avevamo parlato in tempi non sospetti, era il maggio 2010, poi vennero le inchieste della Procura di Pescara e quelle giornalistiche de L’Espresso e di Report. A noi vennero solo telefonate intimidatorie ma oggi, a due anni di distanza dalle prime ricostruzioni che facemmo, è ora di fare il punto.

Missione Montenegro

Era il 19 gennaio 2010 quando un aereo partì da Roma alla volta di Podgorica trasportando politici e imprenditori. Il viaggio è organizzato da Valentino Valentini, uomo ombra di Silvio Berlusconi (all’epoca primo ministro) per quanto riguarda i rapporti con l’estero, specialmente nell’est Europa. Lo scopo è quello di tessere una rete d’affari tra i due Paesi, e fin qui niente di male. Anzi. Una nota di sgomento può venire se si rammenta che l’allora (e attuale) primo ministro Milo Djukanovic è stato inquisito dalle Procure di Bari e Napoli per contrabbando internazionale, accuse cadute nel 2009 a fronte dell’immunità politica di cui godeva. Lo stesso Djukanovic ha poi espresso solidarietà nei confronti del narcotrafficante Darko Saric, boss ricercato anche dalla Dea, il dipartimento antidroga americano, assai impegnata nel contrasto al narcotraffico nei Balcani. Insomma Djukanovic, padre padrone del Montenegro, non sembra essere uno stinco di santo ma sappiamo come, nel decennio scorso, il nostro Paese non si facesse troppi scrupoli a commerciare con dittatori e autocrati. E occorre sottolineare come le basi della cooperazione economica con il Montenegro furono gettate nel 2007 dal governo Prodi e dall’allora Ministro allo sviluppo economico Pierluigi Bersani.

Il 6 febbraio 2010 Djukanovic in persona vola a Roma e il 16 marzo successivo il primo ministro Berlusconi ricambia la visita. Il dado è tratto. In giugno tornerà a Podgorica una delegazione italiana per finalizzare accordi commerciali e industriali specialmente in ambito energetico. “E’ arrivata la mafia dell’energia“, così titolava il Dan, giornale d’opposizione montenegrino, salutando l’arrivo della delegazione italiana a Podgorica nel giugno 2009. Claudio Scajola (non più ministro dello sviluppo economico), Valentino Valentini (fidato consigliere di Berlusconi per i rapporti internazionali) e Maria Vittoria Brambilla (ministro per il turismo) si recarono in missione per conto del Presidente del Consiglio nella piccola repubblica balcanica. Al seguito degli alfieri del governo non mancò una folta schiera di imprenditori. Circa una sessantina tra cui A2A, Enel, Terna, Banca Intesa, Ferrovie dello Stato, Edison, Valtur, Todini.

Energia e affari

A noi interessa concentrarci sul più importante affare italiano in Montenegro, quello energetico. Come dimostrato dalle inchieste giornalistiche de L’Espresso e Report, A2A (multiutility quotata in Borsa nata dalla fusione delle municipalizzate di Milano e Brescia) acquisisce il 43% della società energetica pubblica montenegrina Elektroprivreda (EPCG). Terna costruirà un elettrodotto sottomarino Pescara-Tivat per portare l’energia balcanica nello stivale. A2A, ancora lei, realizzerà quattro centrali idroelettriche, Enel un impianto a carbone in collaborazione con Duferco che, a sua volta, tirerà su un termovalorizzatore. Il piano, insomma, è quello di costruire impianti di energia rinnovabile in Montenegro e trasportarla in Italia con un cavo sottomarino, non ancora costruito. A2A investe 500 milioni di euro per l’acquisto di Elektroprivreda (EPCG) che viene quindi privatizzata. 

L’acquisizione di Elektroprivreda e A2A in perdita, a chi giova?

Enrico Malerba, direttore esecutivo di EPCG, spiega ai giornalisti di Report come la società abbia perso, in un solo anno, ben 60 milioni di euro dovuti al fatto che la società vende i due terzi dell’energia prodotta all’azienda privata montenegrina KAP, che produce alluminio, ma che non paga. La EPCG, inoltre, è costretta a vendere l’energia a tariffe agevolate, imposte dal governo di Podgorica, e altri 16 milioni sono andati quindi perduti da A2A quando il governo ha abbassato il prezzo dell’energia. Il conto di A2A è in rosso e il titolo vale in borsa ben dieci volte meno che nel 2008, prima di iniziare l’avventura montenegrina. Ecco che l’affare energetico si è rivelato un pessimo affare.

Ma non finisce qui. Poco prima della visita di Berlusconi del marzo 2010, il Montenegro decide di vendere la EPCG. Si presentano alcuni acquirenti, tra cui A2A, che poi come sappiamo vincerà la gara. Il 20% delle azioni di EPCG prima della privatizzazione è composto dai fondi di investimento montenegrini i cui proprietari sono amici di Djukanovic, su tutti Beselin Barovic, anch’egli finito in mezzo all’inchiesta della Procura di Bari per contrabbando di sigarette tra Montenegro e Italia. Barovic detiene il 5% dei fondi di investimento, quota acquisita grazie ai proventi del contrabbando. I proprietari dei fondi di investimento, Barovic in testa, decideranno in quel 2010 di vendere le loro quote ad A2A, di fatto consentendole di vincere la corsa per l’acquisizione di EPCG.

I dubbi sulla Prva Banka

Chi ci ha guadagnato? Non i cittadini montenegrini, che hanno visto un’ente statale finire in mani private. Non A2A, che è stata gravemente danneggiata da questa operazione, alla luce delle enormi perdite. Quello che emerge dall’inchiesta giornalistica condotta da Report è che A2A avrebbe versato, per l’acquisizione di EPCG, ben 70 milioni di euro nelle casse di Prva Banka, istituto di credito che nel 2006 era a rischio default evitato grazie all’iniezione di liquidità di A2A. Che la Prva Banka sia di proprietà del fratello del premier Djukanovic, Aco, non è un dato trascurabile. A2A però fa delle precisazioni in merito, contestando la versione di Report e rivendicando trasparenza nell’acquisizione e offrendo dati diversi, che invitiamo a leggere ricordando come l’azienda sia stata vittima, semmai, di accordi politici che l’hanno danneggiata. Come ricordato dallo stesso Pippo Ranci, presidente del consiglio di sorveglianza di A2A: “Un accordo politico per investire in Montenegro ci sara’ pure stato, ma quelli di EPCG sono asset pregiati, è un’operazione che ha il suo perchè visto che in Italia è sempre più difficile costruire nuovi impianti idroelettrici“.

L’elettrodotto fantasma

C’è poi un’altra questione, quella dell’elettrodotto che dovrebbe trasportare in Italia l’energia prodotta nei Balcani. Non solo dal Montenegro, ma anche dalla Serbia. Nel 2009 infatti l’allora ministro Scajola s’impegna a nome del governo ad acquistare per 15 anni energia verde dalla Serbia, oltre che a costruire tredici centrali idroelettriche. Il prezzo concordato dell’energia serba è di 150 euro a megawattora, più del triplo del prezzo di mercato in Serbia.  L’Italia acquista quindi energia a prezzo maggiorato, e il costo finisce sulla bolletta degli italiani. La domanda è perché?

Dell’elettrodotto intanto non c’è traccia. Il 1° dicembre 2010 l’allora ministro dello sviluppo economico, Paolo Romani, firmò l’ultimo atto dell’accordo energetico tra Podgorica e Roma. Il piano prevedeva la costruzione di un elettrodotto che porterà – a partire dal 2015 – fino a mille megawatt di elettricità in Italia, garantendo (almeno in teoria) alle casse dello Stato un risparmio sulla bolletta nazionale fino a 225 milioni di euro all’anno. La parte italiana del consorzio è rappresentata da Terna, che investirà 760 milioni di euro, mentre quella montenegrina da CrnoGorski Elektroprenisni Sistem Ad (Cges) con cento milioni di euro. I lavori sarebbero dovuti partire nel 2011. Il cavo dovrebbe essere lungo 415 chilometri. Di questi, 390 saranno sottomarini e a impatto zero – secondo i costruttori – mentre i restanti 25 chilometri in superficie, quindici chilometri in Abruzzo, dieci in Montenegro. Da parte abruzzese, in questi anni, si è mobilitato un vasto fronte di protesta. Ciò non ha impedito che la costruzione dell’elettrodotto di superficie venisse decisa, malgrado le osservazioni sui danni ambientali sollevate dalle associazioni e le inchieste della Procura. Occorre poi sottolineare che ancora non esiste la parte sottomarina.

Conclusioni

Molti quesiti restano aperti e in questa sede non possiamo avanzare ipotesi. A2A, in un articolo apparso sul Corriere di Brescia, ha difeso le ragioni del suo investimento. A2A sottolinea poi che sono state risolte le criticità, su tutte il rapporto con KAP. I dati qui riportati, frutto delle recenti inchieste giornalistiche, mostrano prima di tutto come l’Italia non abbia mai avuto una politica energetica degna di questo nome. I governi Berlusconi cercarono sponde in Libia, Montenegro e Russia, senza però riuscire a garantire stabilità. Gli accordi presi con i partner balcanici sembrano dimostrarsi infruttuosi. Intanto i cittadini pagano. Tra poco in Italia si terranno le elezioni politiche e le questioni legate alla sicurezza energetica sono assenti dall’agenda dei candidati: sono infatti questioni su cui i cittadini non vengono informati, forse per meglio poter gestire intrallazzi e torbidi affari.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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7 commenti

  1. qualcuno sa come stia andando invece l’accordo per centrali sulla Drina che Dodik andò a chiedere a Berlusconi a Roma come fosse stato un capo di stato che tanto Berlusconi aveva le referenze da Putin?

    • ho chiesto ad una pletora di autorità comunitarie e nazionali di effettuare una serie di accertamenti sulle due operazioni energetiche con il Montenegro. Tra i quesiti: Terna ha pagato trenta milioni di euro il 22,09 % della società montenegrina che provvede al servizio di distribuzione elettrica. Chi ha stimato tale valore ? Perchè Terna ha costituito in aggiunta Terna CRNA Gora d.o.o. con capitale iniziale di due milioni di euro poi elevato a cinque milioni ? Dipendenti della società ? Tre ! Perchè Terna ha spostato il terminale dell’elettrodotto da Foggia a Pescara con aumento della lunghezza ( e quindi del costo ) di cento chilometri ? La ONG Bankwatch ha severamente criticato tale scelta. Perchè A2A non ha effettuato una accurata analisi della situazione finanziaria di EPCG con il cospicuo debito della KAP ? A2A era consapevole di dover finanziare anche la PVRA Bank ed una miniera di lignite con finalità indubbiamente estranee agli interessi della Società ma necessarie alla famiglia Djukanovic ?

    • Per capire un po’ come sta andando con le centrali sulla Drina, invito a vedere i nostri video-reportage Fiumi, realizzati da Andrea Rossini di Obc. Questo è il link alla parte dedicata alla Drina: http://www.balcanicaucaso.org/Media/Multimedia/Fiumi-di-Bosnia-la-Drina

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