GEORGIA: La necessità di aderire alla Nato, e il tornaconto atlantico

La storia e il futuro dell’aspirazione georgiana ad un posto al sole in Europa non può prescindere da un approfondimento delle relazioni con la Nato, fino al sogno dell’adesione. La guerra russo-georgiana e l’incertezza, ancora presente, legata alla mancanza di un assetto postbellico chiaramente delineato (i negoziati di pace, in quattro anni, non sono stati in grado di superare, nella sostanza, i termini del cessate il fuoco), mantengono un impatto significativo sulla qualità del rapporto di Tbilisi con l’Alleanza e sulle sue prospettive più prossime.

Proviamo a riassumere i passaggi più recenti di questo travagliato rapporto. Nel settembre 2008 è stata istituita la Nato–Georgia Commission (NGC), figlia sia del conflitto (e quindi risposta politica e monito indiretto di Bruxelles a Mosca. Si considerino le parole del Segretario Generale della Nato, Rasmussen, sui problemi scaturiti dall’assetto postbellico: «We must not shy away from discussing these disagreement. But neither must we allow them to paralyze our partnership»), sia di quanto statuito in aprile a Bucarest. La NGC costituisce quindi un format, adatto al confronto ed alle consultazioni di carattere politico, come ad una cooperazione maggiormente pragmatica. I lavori della Commissione si innestano su quanto periodicamente stabilito all’interno dell’Annual National Programme (ANP, il quale include cinque diverse aree tematiche: questioni economiche o politiche; difesa, sicurezza energetica; sicurezza interna; cornice legale), e sulle disposizioni del Planning and Review Process (IPARP, tale accordo promuove un processo di riforma e ammodernamento degli asset militari georgiani, atto a rendere il dispositivo militare interoperabile con i consueti standard dell’Alleanza. A tal fine contribuisce anche la partecipazione del paese alla missione Active Endeavour).

Tenuto conto dell’appartenenza oramai decennale di Tbilisi al programma Partnership for Peace (PfP, 1994), ci si rende conto di come le attività di cooperazione tocchino, virtualmente, ogni settore della vita pubblica georgiana, dal livello militare fino alla salvaguardia ambientale. Nel ramo militare,  nell’agosto 2010, ad esempio, è stato inaugurato l’Euro-Atlantic Disaster Responce Coordiantion Centre (EADRCC), mentre a luglio 2011 risale l’avvio della collaborazione con il Nato Science for Peace and Security Programme.

La lista dei programmi e dei fondi attivi potrebbe proseguire ancora, ma occorre soffermarsi sul significato politico che a questa collaborazione bisogna dare. Una delle chiavi di lettura può forse essere questa: la Nato ha bisogno della Georgia per controllare l’evoluzione delle attività russe nel Caucaso e per proteggere il futuro della sicurezza energetica europea (si veda la pipeline BTC), ma tale amicizia non è indispensabile. La Georgia, al contrario, ha bisogno dell’Alleanza Atlantica, e tale collaborazione è una condizione irrinunciabile per il mantenimento della propria sovranità, nei confronti del Cremlino.

Come si vede, laddove l’Alleanza vede un’opportunità da valutare con attenzione (il rischio di un’ennesima frattura interna sul significato politico che la Nato ricopre permane infatti ancora forte e per nulla sopito, dopo i compromessi di Bucarest e Lisbona), Tbilisi individua la propria assicurazione sulla vita. Una frase, pronunciata da Saakashvili il 20 febbraio 2012 alle truppe di stanza a Helmand in Afghanistan, è emblematica: «Se noi vogliamo essere uno Stato, abbiamo bisogno di un esercito e se vogliamo avere un esercito, dobbiamo essere in Afghanistan». Vale a dire, se l’occidente accantonerà la domanda di piena integrazione di Tbilisi, firmerà, nel lungo periodo, la sua condanna.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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