SLOVENIA: In manette il sindaco di Lubiana. Quali conseguenze per il paese?

Il sindaco di Lubiana Zoran Janković è stato arrestato giovedi scorso. L’operazione è stata condotta in 23 diversi punti della città tra cui l’ufficio e la casa di Janković, includendo altri 4 fermi tra cui il figlio del sindaco. La vicenda prende le mosse dall’inchiesta che l’Ufficio Nazionale per le Indagini sta svolgendo, a partire dal 2011, sui finanziamenti del complesso sportivo “Stozice”. A poche ore dal fermo il sindaco è stato messo in libertà senza procedimenti a carico. Ma al di là delle implicazioni legali, il caso porta con sé evidenti conseguenze di tipo sociale e politico, soprattutto in un momento particolarmente delicato per la Slovenia.

Di origini serbe (è nato a Belgrado nel 1953) e popolarmente conosciuto come Zoki, Zoran Janković non è un sindaco qualunque. Con posizioni tradizionalmente di sinistra (vanta strette relazioni con l’attuale presidente Danilo Türk e con il suo predecessore Milan Kučan), nel 2006 fondò un proprio movimento autonomo da altri partiti, la Lista di Zoran Janković, con cui si presentó per la prima volta alle elezioni a sindaco della capitale slovena, trionfando con un 63% dei voti. Nella tornata 2010 fu riconfermato con il  65%. Questo appoggio popolare non è solo un fatto numerico. A Lubiana è normale vedere il sindaco passeggiare per la città e parlare con i cittadini. Negli affollati festival musicali primaverili, è possibile vedere Janković a proprio agio in mezzo al pubblico, e addirittura ricevere un’ovazione quando sale sul palco per salutare i giovani. Lo stesso pubblico non mostrerebbe un tale atteggiamento verso qualsiasi altro politico sloveno. Zoki è arrivato alla poltrona di sindaco con la fama di buon amministratore, conquistata come manager del colosso della distribuzione alimentare Mercator. È visto come un uomo di parola, che rispetta i suoi impegni, anche se su di lui è sempre aleggiata l’ombra dell’abuso di potere.

La vicenda di Janković non riguarda solo gli abitanti di Lubiana. Lo scorso autunno, approfittando della crisi dei partiti di sinistra, l’appoggio elettorale ottenuto nella sua città adottiva e il consenso che stava conquistando nel resto del paese, Zoki ha fondato un partito nuovo, con un’importante componente personalistica: Slovenia positiva. La crisi dei socialdemocratici, che durante il quadrienno 2008-2011 avevano governato con una coalizione di quattro partiti gradualmente dissoltasi, lanciava Jankovic come possibile alternativa di sinistra di fronte all’eterno leader della destra slovena, Janez Janša. Il partito di Jankovic è stato il più votato nelle elezioni nazionali del 2012, ma questo non ha impedito alla destra di formare una complessa alleanza post-elettorale di cinque partiti, guidata dallo stesso Janša, attualmente al governo. Vista l’impossibilita’ di mettere insieme una maggioranza in grado di governare, Janković tentò il ritorno alla poltrona di sindaco della capitale. E ci riuscì, vincendo ancora una volta le elezioni lubianesi del marzo scorso con il 61% dei voti. Intanto, in parlamento, il suo partito si incaricava di guidare l’opposizione contro le misure di austerità e le riforme neoliberali del nuovo governo.

Il caso Jankovic avviene in un momento in cui l’opposizione slovena non può più limitarsi a “controllare” l’esecutivo, ma si prepara già per una possibile crisi di governo o per una richiesta di elezioni anticipate. All’instabilità della coalizione di governo è necessario aggiungere due elementi. Il primo è che l’attuale premier Jansa ha iniziato il proprio mandato sotto processo (ancora pendente): è infatti accusato di aver intascato tangenti per l’acquisto di veicoli blindati da trasporto militare acquistati dalla società finlandese “Patria”. Il secondo elemento da tenere presente è la gravità della situazione economica e finanziaria. Come conseguenza del calo dei consumi, provocato dai tagli e dall’aumento della disoccupazione, è previsto che il PIL sloveno scenderà del 2% nel corso del 2012. Questo rende difficile rispettare gli obiettivi del deficit, circa il 3,5% del PIL: è previsto che lo superi di almeno un 0,8%. Tuttavia, la questo margine non prende in considerazione il piano di salvataggio del sistema bancario sloveno, di cui si farà carico lo Stato. Così la Slovenia rimane, già da diversi mesi, uno dei principali candidati al piano di salvataggio dell’UE, anche se l’attuale premier nega questa possibilità.

Fino ad ora si pensava che Zoki aspettasse solo il momento propizio per prendere le redini del potere nazionale. Ma la situazione della sinistra slovena non è la stessa di quando si tennero le elezioni nazionali, nel dicembre scorso. Il primo avvertimento giunse in aprile con la rivelazione che uno degli uomini più vicini a Janković, il veterano giornalista internazionale Mitja Meršol (attualmente deputato nazionale e consigliere municipale di Lubiana), aveva lavorato per i servizi segreti jugoslavi. Un altro elemento-chiave è la situazione dei socialdemocratici, attualmente guidati da Igor Luksic, professore di scienze politiche presso l’Università di Lubiana, che delinea un programma ispirato a quello che ha portato François Hollande all’Eliseo. Tuttavia, il basso profilo e le differenze interne al partito riducono notevolmente le loro probabilità.

Il caso Janković mostra chiaramente le difficoltà dell’attuale sistema politico sloveno per garantire una stabilità che vada oltre suoi protagonisti. Negli ultimi vent’anni, questa stabilità è stata tessuta intorno al sacro obiettivo condiviso dai sloveni: l’ingresso nell’Unione europea. L’appoggio esterno che la Slovenia ha ottenuto, sin dall’indipendenza, per raggiungere questo obiettivo è stato fondamentale per garantire la continuità di uno Stato che, per natura propria, deve iscriversi in una entità più grande. Tuttavia, l’Europa del 2012 non è più quella del 1991. Nemmeno quella del 2004 o del 2007, quando la Slovenia entrò nell’Eurozona. La crisi sistemica del processo d’integrazione europea è anche la crisi della Slovenia. Fino a che punto la crisi generale possa investire la continuità di questo paese, questo dipenderà, in una certa misura, dalla classe dirigente slovena e dai suoi obiettivi.

Pubblicato da Eurasian Hub – traduzione di Alfredo Sasso

Chi è Alfredo Sasso

Dottore di ricerca in storia contemporanea dei Balcani all'Università Autonoma di Barcellona (UAB); assegnista all'Università di Rijeka (CAS-UNIRI), è redattore di East Journal dal 2011 e collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso. Attualmente è presidente dell'Associazione Most attraverso cui coordina e promuove le attività off-line del progetto East Journal.

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