SERBIA: Il presidente di destra della Serbia


Contro ogni probabilità, contro ogni previsione, il partito radicale di destra in Serbia ha vinto le elezioni presidenziali. Il candidato moderato democratico pro-europeo, il beniamino delle democrazie occidentali, ha perso, e non di poco.

Sono state offerte diverse spiegazioni per questo sorprendente esito elettorale:

1) bassa affluenza al secondo turno delle elezioni, perché i cittadini della Serbia sono sfiaccati dalla depressione economica, dalla corruzione e non credono a nessun leader politico.

2) Un boicottaggio delle elezioni che è stato auspicato da qualche piccolo intellettuale e partito progressista, con l’avviso: state attenti voi al potere, possiamo buttar giù chiunque, buono o cattivo, col NON votare.

3) Un cambiamento nell’atteggiamento della popolazione serba, che vuole davvero un nazionalista radicale alla guida quando la Serbia deve affrontare un’integrazione dura agli standard della comunità internazionale.

Questo partito oggi al potere era una volta guidato dal famoso Šešelj, al momento in prigione all’Aja. Quando le guerre sono svanite, il partito ha cambiato programma: sono diventati pro-europei, avendo capito che erano pressoché uguali a molti altri partiti della moderna estrema destra europea. Il neoeletto presidente della Serbia era un direttore di cimitero. Nel suo primo discorso, ha immediatamente promesso una linea dura sia negli affari interni che esteri.

Vent’anni fa il presidente eletto era un sostenitore della guerra attiva in Croazia, Bosnia e Kosovo. Dieci anni fa ha “previsto” l’assassinio del premier della Serbia, il leggendario Zoran Đinđić. La previsione si sarebbe avverata nel marzo 2003, e l’assassinio di Đinđić sarebbe stato etichettato dal contingente di Šešelj come atto patriottico.

Giusto un paio di giorni fa, un regista coraggioso, Oliver Frljić ha messo in scena in un grande teatro di Belgrado un nuovo spettacolo chiamato “Zoran Đinđić”. La trama di questa provocazione di stile brechtiano era incentrata sull’assassinio di Đinđić, ed era esplicita. Faceva nomi e citava dichiarazioni giornalistiche, di allora e di oggi.

L’iperrealistica opera teatrale ha avuto l’effetto di un mattone contro una finestra chiusa e velata. Degli attori se ne sono andati durante le prove, metà pubblico ha disertato la prima, e politici attivi ai tempi di Đinđić non hanno ritenuto di rispondera agli intervistatori. Ad ogni modo, la madre e la vedova di Đinđić hanno offerto un costante supporto.

La frase: “I suoi figli, Luka e Jovana, devono sapere la verità su chi ha ucciso loro padre, e su chi ha ucciso la Serbia”, ancora rieccheggia nelle orecchie di coloro che hanno assistito allo spettacolo. E non solo!

Nella sua intervista, Oliver Frljić parla apertamente delle pressioni della polizia che ha subito durante la messa in scena dell’opera Đinđić. Dubita che verrà tenuta di nuovo.

La Serbia è sotto choc il giorno dopo le elezioni: le fazioni stanno velocemente rimescolando il mazzo. Cercando di ricostruire un parlamento e un governo, una coalizione compatta e disciplinata della destra nazionalista?

La comunità europea, in una gaffe diplomatica, si è congratulata col vincitore ieri [domenica 20 maggio, ndt] prima ancora che le urne fossero state chiuse. Gli europei sembravano meno sorpresi dagli sviluppi di chiunque sul posto, forse perché si stavano preparando per prolungate e spinose negoziazioni coi nuovi vincitori. Nel sud dei Balcani, nella vicina Grecia, l’eurozona, questo paradiso sicuro per la Serbia democratica e progressista, sta visibilmente cadendo a pezzi. La lunga “transizione verso il nulla” della Serbia sarà del tutto completata quando tutti, in Europa, avranno raggiunto la stessa destinazione.

Chi è Filip Stefanović

Filip Stefanović (1988) è un analista economico italiano, attualmente lavora come consulente all'OCSE di Parigi. Nato a Belgrado si è formato presso l’Università commerciale Luigi Bocconi di Milano e la Berlin School of Economics, specializzandosi in economia internazionale. Ha lavorato al centro di ricerche economiche Nomisma di Bologna e come research analyst presso il centro per gli studi industriali CSIL di Milano. Per East Journal scrive di economia e politica dei Balcani occidentali.

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3 commenti

  1. la cappa di silenzio calata sull’omicidio djindjic ricorda tanto certi silenzi italiani (falcone, borsellino, genova 2001, ustica). difficile che venga rimossa e questo è molto triste.

    ps / si può discutere sulla sincerità o meno della svolta di nikolic, ma forse non è così corretto dire che il partito di nikolic era guidato fino a poco tempo fa da seselj. il partito di seselj continua a essere il partito di seselj, ha lo stesso nome di sempre e lo guida la consorte di seselj. nikolic ha dato vita a una scissione.

    m.

    • Matteo, secondo me non ci capiamo mai su un punto. Quello che dici è corretto. Lo è sempre. Ma nella sostanza è anche corretto quello che scrive Jasmina e talvolta, pur semplificando, quello che scriviamo noi. Sai meglio di me che conversioni, rifondazioni, transizioni, sono spesso (se non sempre) figlie dell’opportunismo. A volte andare oltre la forma delle cose è magari peccare di imprecisione ma può aiutare a rendere meglio l’idea al lettore meno edotto in materia. E’ una considerazione generale, non inerente al pezzo di Jasmina. Tu hai sempre ragione sulla precisione, ma a volte un po’ di “imprecisione” volontaria aiuta a mettere in chiaro, in poche parole, certe connessioni. So che non sarai d’accordo… 🙂

      matteo z.

  2. Matteo, navigo grosso modo tutti i giorni su EJ e leggendo gli articoli non posso fare a meno di lanciare dibattiti o segnalare delle cose che mi sento di segnalare. Se no a che serve il commento? Prendili come gli interventi di un lettore fidelizzato e di un collega. E segui – e diffondi ai quattro venti – la rubrichetta mia e di Grazioli su Euro 2012. Dal link al mio blog, qui sotto, risali alla sezione di “Europa” che pubblica la microenciclopedia polacco-ucraina.

    http://radioeuropaunita.wordpress.com/2012/05/26/alla-fiera-dellest/

    M.

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