Le recenti dichiarazioni di Orbán mettono in allarme le comunità LGBTQ+. «È un spreco di tempo e di denaro» sostiene il governo ungherese.
Che il governo Orbán non abbia a cuore i diritti delle comunità LGBTQ+ è risaputo. L’atto plateale è stata la promulgazione della legge per la protezione dei minori che, nel 2021, equiparava l’omosessualità agli atti criminosi di pedofilia. La novità, che ha messo in allarme gli organizzatori del Pride di Budapest, sta nella dichiarazione fatta dal Primo ministro lo scorso 22 febbraio al Parlamento ungherese: «Non possiamo arrenderci, non possiamo rinunciare a proteggere i nostri figli, anche se veniamo trascinati davanti al tribunale dell’Ue. Anzi, propongo di passare al contrattacco. Scriviamo sulla Costituzione che una persona o è uomo o è donna, punto». E rivolto agli organizzatori del Pride: «Consiglio di non affannarsi a preparare la parata quest’anno. È uno spreco di denaro e di tempo». Parole un po’ estemporanee, ma allarmanti.
Il 28 giugno prossimo è in programma la trentesima edizione del Pride ungherese. Le prime manifestazioni si sono svolte nel 1992 e nel 1993, per poi diventare un appuntamento annuale dal 1997 in poi. In particolare, dall’edizione 2018 il corteo, che ha visto la partecipazione di un numero sempre maggiore di persone, è sfilato per le vie di Budapest per la prima volta senza cordoni di protezione. Vale a dire che da sette anni a questa parte è possibile entrare e uscire dal corteo sfilante, come in gran parte delle città europee. Inoltre, manifestazioni si sono svolte anche in altre città ungheresi, Debrecen, Győr, Miskolc, Pécs, Szeged e per la prima volta è stato organizzato il Rainbow party nel parco cittadino del Városliget. Nel 2023, poi, il Pride di Budapest ha ottenuto il supporto di quaranta (che l’anno scorso sono diventate sessanta) istituzioni tra ambasciate, istituti culturali e ONG. In quell’occasione fu firmata anche una dichiarazione congiunta con cui i sostenitori manifestavano la loro preoccupazione per la situazione dei diritti delle comunità LGBTQ+ in Ungheria. L’allora ambasciatore statunitense David Pressman era tra i partecipanti e i firmatari, mentre i governi di Varsavia e di Belgrado si sono rifiutati di sottoscrivere la dichiarazione che ha ricevuto invece il consenso di Bulgaria, Macedonia del Nord, Kosovo, Montenegro, Romania, Slovacchia, Slovenia e Ucraina, oltre a quello degli Stati europei occidentali.
Chi e come potrebbe impedire l’evento? Orbán suggerisce di cambiare la Costituzione. E d’altronde non sarebbe la prima volta. Il comma che recita che «tutti hanno il diritto di riunirsi pacificamente» dovrebbe essere cambiato con la dicitura «ogni uomo e ogni donna» escludendo di fatto i membri delle comunità LGBTQ+ e quanti non si riconoscono biologicamente nei due sessi di maschio e femmina. La legge dovrebbe essere approvata dal Parlamento e controfirmata dal capo di Stato e, considerando la velocità con cui legifera l’organo unicamerale legislativo ungherese, ciò potrebbe accadere anche in tempi brevi. C’è però a disposizione del governo un’altra soluzione. La polizia potrebbe vietare l’evento 48 ore prima dello stesso nei casi in cui venga messo in serio pericolo il buon funzionamento degli organi legislativi, esecutivi e giudiziari e il trasporto pubblico non possa essere assicurato. Due vicoli questi che nella mentalità ungherese sono imprescindibili.
Dal punto di vista finanziario, invece, Orbán sembra non avere le idee chiare. Il corteo del 2024 è costato HUF 12.455.944, vale a dire circa € 31.000. È vero che la situazione economica in Ungheria è grave, ma sembra impossibile che una cifra così irrisoria (per le casse di uno Stato) possa mettere in pericolo i conti pubblici. Inoltre, è ormai chiaro che la politica economica del governo sia improntata più sulla contrazione dei consumi che sugli investimenti produttivi. In questo quadro, dunque, l’appello al risparmio appare piuttosto come un goffo tentativo di ostacolare lo svolgimento del Pride cercando di raccogliere il consenso dei cittadini. Il sospetto, infatti, è che la dichiarazione di Orbán sia stata solo un modo per sviare l’attenzione dell’opinione pubblica da problemi più pressanti, come l’inflazione galoppante che attanaglia il Paese. A febbraio ha registrato, per i beni alimentari, il 7,1% con un più 1,1% rispetto a gennaio (secondo i dati di https://it.tradingeconomics.com/hungary/inflation-cpi). Con buona pace dei diritti civili delle comunità LGBTQ+.
https://www.agi.it/estero/news/2021-07-24/ungheria-gay-pride-budapest-sfida-orban-13377586/