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BALCANI: Influenza turca nella regione attraverso la diplomazia dei droni

Dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina i droni di produzione turca hanno riscosso un successo rilevante sul campo di battaglia contro le truppe russe, portando la Turchia a capitalizzare un incremento delle esportazioni. La diplomazia dei droni è dunque divenuta un importante strumento di soft-power per Ankara, soprattutto nei Balcani, dove Recep Tayyip Erdoğan sembra essere intenzionato a riarmare i Paesi dell’area segnando un cambio dell’egemonia turca nella regione.

Il successo dei droni turchi

Prima del 24 febbraio 2024, l’attenzione sulla produzione turca di droni d’attacco e da ricognizione (UAV) era piuttosto bassa. I primi segnali sull’inizio di quella che oggi può definirsi una vera e propria “diplomazia dei droni” risalgono al 2020 in Libia, quando il Governo di Accordo Nazionale libico è riuscito a fermare l’avanzata verso Tripoli delle truppe del generale Khalifa Haftar – sostenuto dalla Russia – proprio grazie all’uso dei droni turchi. Da quel momento, la casa produttrice Baykar, sotto l’egida di Selçuk Bayraktar, genero del presidente Erdoğan, ha visto un aumento vertiginoso del proprio fatturato e delle commesse.

Nel 2022 Baykar ha registrato un incremento del 94% delle entrate grazie al Bayraktar TB2. Il suo punto di forza è il costo: cinque milioni di dollari rispetto ai venti dei modelli americani. Con una spesa relativamente bassa offrono delle prestazioni in combattimento qualitativamente superiori ai droni cinesi. Pertanto, la Turchia ha potuto trovare acquirenti nel Corno d’Africa, nel vicino Azerbaijan, in Arabia Saudita e perfino all’interno della stessa NATO concludendo accordi con Romania e Polonia. Tuttavia, è nei Balcani che i Bayraktar sono diventati un utile strumento di politica estera per Erdoğan.

I droni al Kosovo e l’accordo con la Serbia

Nel novembre 2023 i media kosovari hanno iniziato a monitorare i colloqui in corso tra la Baykar e il ministero della Difesa di Pristina, che nel 2022 avrebbe preso in considerazione la possibilità di concludere un accordo con la casa di armamenti turca nel corso di una visita del ministro in Turchia. La notizia ufficiale è giunta nel maggio 2023 quando il governo del Kosovo ha annunciato la consegna di cinque droni Bayraktar TB2.

La notizia ha immediatamente portato alla risposta del presidente serbo Aleksandar Vučić, che aveva commentato affermando che la vicenda avrebbe di certo influito negativamente sui rapporti tra Belgrado e Ankara. Tuttavia, nei giorni scorsi, il presidente serbo sembrerebbe aver cambiato radicalmente opinione, annunciando invece una chiara volontà di voler approfondire una collaborazione con la Turchia nella costruzione di droni per utilizzo militare. Attualmente la Serbia si serve dei droni Cai Hong-92 di qualità inferiore ai più competitivi Bayraktar turchi, ma non vi è ancora una conferma sull’acquisto di questi ultimi da parte serba.

Sconti per la Bosnia Erzegovina

Il caso della Bosnia invece ha degli aspetti strategici piuttosto rilevanti e alcune zone d’ombra che richiedono attenzione. La Turchia ha deciso di fornire alle Forze Armate bosniache sei droni d’attacco Bayraktar TB2 a circa la metà del loro prezzo originale di cinque milioni di dollari e ci sarebbero già piloti bosniaci coinvolti in un programma di addestramento in Turchia. La notizia è arrivata alla fine di settembre ed è stata accompagnata anche da delle dichiarazioni piuttosto provocatorie del ministro della Difesa Zukan Helez, che sui social ha dichiarato come i droni sarebbero “La migliore penicillina per la disunione”.

In più, Helez ha aggiunto un particolare molto importante, ossia la produzione di droni in Bosnia. Ciò ha destato stupore poiché secondo un’analisi ripresa dalla stampa locale, nel Paese ci sarebbereo delle aziende impegnate a sviluppare circa 12 modelli di velivoli senza pilota, di cui almeno due avrebbero capacità militari. È necessario considerare come la Bosnia ha un budget militare ridotto, circa 200 milioni di euro l’anno, una cifra incompatibile con un programma di sviluppo di attrezzature militari di questo genere. Al momento mancano altre indicazioni ufficiali riguardo a tali programmi di sviluppo da parte delle autorità bosniache.

La testata locale Dnevni Avaz riporta che i droni sviluppati assieme al governo sono destinati all’utilizzo civile per ricognizione e controllo di incendi e tutela del territorio, ma anche che esperti hannno sottolineato come modelli simili possano essere adattati facilmente per altri scopi. Ciò lascia intravedere un’ambiguità circa la reale capacità di Sarajevo di poter sviluppare tecnologie militari che possano garantire maggiori capacità di risposta in caso di aggressione. La Bosnia è priva di una forza  aerea e i droni potrebbero essere lo strumento migliore per garantire un controllo dei cieli a basso costo.

Droni kamikaze all’Albania

Inoltre. a latere dell’inaugurazione della nuova moschea a Tirana, Erdoğan ha dichiarato di fronte ai media e allo stesso primo ministro albanese Edi Rama, che consegnerà all’Albania una quantità considerevole dei cosiddetti “droni kamikaze” ossia droni che colpiscono il bersaglio impattandovi contro. Erdoğan ha usato toni molto espliciti definendo l’atto come un gesto per garantire la protezione del Paese.

Rama ha in seguito cercato di ridimensionare il clamore della notizia assicurando che l’Albania coltiva una politica estera pacifica. Come la Bosnia, anche l’Albania non possiede una vera e propria aviazione militare, fatta ad eccezione per alcuni elicotteri militari. Rifornirsi da Ankara sarebbe dunque una via piuttosto conveniente per poter portare avanti il processo di ammodernamento delle forze armate albanesi.

Una strategia

La diplomazia dei droni, dunque, dimostra il forte legame che negli anni la Turchia è riuscita a stabilire con la classe dirigente degli Stati dei Balcani Occidentali.

In cerca di attrezzature moderne con cui garantire la propria competitività militare, i governi della regione sembrano essere disposti a legarsi sempre di più con il disegno politico di Erdoğan, ossia quello di una Turchia “neo-ottomana”  e con un ruolo militare preponderante nella NATO nell’Europa Sud-Orientale.

Foto: Balkan Insight

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