I problemi di ciò che resta del Lago d’Aral sono noti, e sono noti da tempo. Così come lo sono le cause che l’hanno portato dall’essere il quarto bacino del mondo ad “arcipelago” di piccoli specchi d’acqua distinti tra loro, una condizione tale da rendere più appropriato parlare di laghi: il Piccolo Aral – nel settore settentrionale – i bacini orientali e occidentali del Lago d’Aral meridionale, e il Lago Barsakelmes, il minore dei quattro.
Non solo un problema ambientale
È forse meno noto, invece, che tra gli indotti più drammatici di questa situazione non vi sono solo gli aspetti ambientali – ovvero quelli sull’ecosistema nel senso più ampio del termine – ed economici, con il colpo mortale inferto alla pesca e all’industria che ruotava attorno a questa pratica; bensì quelli legati all’erosione dei suoli e al conseguente trasporto delle polveri, anche a distanza di migliaia di chilometri.
Cento milioni di tonnellate di sale, polvere e sabbia, un fenomeno che è la causa di malattie respiratorie, al punto che tra gli abitanti della regione i tumori ai polmoni risultano cinque volte superiori rispetto alla media europea e la mortalità infantile è seconda sola a quelle delle aree subsahariane.
Il progetto di forestazione
È in quest’ottica che va inquadrato l’incontro, il 23 luglio scorso, tra il ministro dell’Ecologia e delle Risorse naturali del Kazakhstan, Erlan Nysanbayev, e gli scienziati dell’Istituto di ecologia e geografia dell’Accademia Cinese delle Scienze di Xinjiang. Al centro della riunione, la discussione di un programma che prevede la messa a dimora di piante e arbusti sul fondo prosciugato del lago, fattore determinante per la riduzione del problema. La Cina, infatti, ha una tradizione consolidata in questo specifico settore e una leadership riconosciuta a livello mondiale nel campo delle piantagioni forestali artificiali.
Il progetto prevede il travaso di arbusti di saxaul – una pianta tipica delle steppe dell’Asia centrale che può raggiungere i dieci metri d’altezza e che è tollerante al sale e ai climi aridi – su una superficie complessiva di un milione e centomila ettari di terreno desertico. Questi andrebbero a integrare quelli già impiantati negli anni scorsi e quelli la cui collocazione è invece prevista quest’anno per opera del Ministero dell’Ecologia e delle Risorse Naturali e dell’amministrazione della regione, portando così l’area coinvolta dall’intervento a quasi due milioni di ettari. Ventimila chilometri quadrati, dunque, una porzione significativa di territorio, quasi un terzo di quello che viene amaramente definito come “il deserto più giovane del mondo”, il deserto che ha sostituito il fondo del lago dopo il ritiro delle sue acque.
Il coinvolgimento dell’Uzbekistan
Il Kazakhstan non è l’unico attore in campo in questo tentativo di riqualifica della regione. L’Uzbekistan – anch’esso membro del Fondo Internazionale per la Salvezza del Lago d’Aral insieme a Kazakistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan – ha infatti di recente intrapreso una collaborazione con i medesimi esperti cinesi dell’Accademia di Xinjiang per l’introduzione di tecniche agricole innovative che consentano un significativo risparmio d’acqua, una delle cause principali del depauperamento del Lago d’Aral.
Dopo un primo test eseguito su un campo di cinque ettari allestito nei pressi della capitale, Tashkent – dove in una piantagione di cotone era stata sperimentata una tecnica di irrigazione a goccia in alternativa alla tradizionale irrigazione per inondazione – l’Istituto cinese ha appena implementato la medesima soluzione in una base dimostrativa di circa venticinque ettari nella regione del Lago d’Aral. I primi risultati sono così incoraggianti, un risparmio del 70% d’acqua a fronte di una maggior produttività, da indurre Shakhzod Saitjanov, ricercatore dell’Istituto di genetica e biologia sperimentale vegetale dell’Accademia delle scienze dell’Uzbekistan, a dirsi sicuro che non solo il progetto “migliorerà la qualità dell’agricoltura dell’Uzbekistan” ma che darà anche un significativo “impulso all’economia del paese”.
Quale futuro?
Qualcosa si muove da quelle parti, dunque. I dubbi sull’efficacia dell’azione del Fondo restano intatti, così come la considerazione oggettiva che i paesi che lo compongono si stanno, di fatto, muovendo senza un reale coordinamento. Il ruolo della Cina, in questo senso, potrebbe rivelarsi determinante, agendo da collante tra le parti e assumendo quella guida che, allo stato, è del tutto assente. Va probabilmente in questa direzione la reciproca promessa scambiatasi tra i rappresentanti di Cina e Kazakhstan – a valle dell’incontro del 23 luglio scorso – per una cooperazione più organica e di ampio respiro nella risoluzione dei problemi del Lago d’Aral.
Foto: Astanatimes.com