Rumeno o romeno

ROMANIA: Si dice rumeno o romeno?

La lessicografia italiana ammette entrambe le versioni. Ma a volte è una vocale a fare la differenza. 

Si dice rumeno o romeno? La lessicografia italiana odierna ammette entrambe le versioni, che dal punto di vista strettamente parlato sono perfettamente equivalenti. Ma a volte una vocale fa la differenza. La storia del doppio aggettivo rumeno/romeno è affascinante ed è stata ricostruita e trattata nel saggio “La guerra del ru- e del ro-” (1989) di Luisa Valmarin, ex professoressa all’Università La Sapienza di Roma, e ripreso da un lungo articolo dell’Accademia della Crusca, chiamata a esprimersi in merito alla forma più corretta.

Discendenti dei Romani?

La doppia grafia dell’aggettivo si ritrovava anche nella lingua di Romania almeno fino al XIX secolo, in cui esisteva român e il più antico rumân, entrambi derivanti dal latino Romānu(m), romano, in riferimento alla popolazione di discendenza latina stanziata in Dacia che si era venuta a formare dalla commistione tra i coloni dalla Città Eterna e le preesistenti popolazioni autoctone, a partire dalla conquista della regione da parte dell’imperatore Traiano nel II secolo d.C. Una vicenda narrata e celebrata, fra l’altro, con grande impatto visivo nella famosa Colonna Traiana a Roma e una cui copia pochi forse sanno essere custodita a Bucarest, all’interno del Museo Nazionale di Storia Romena.

Come spiega l’Accademia della Crusca, l’origine delle due versioni che esistevano nella lingua rumena è legata “a specifici aspetti” della storia culturale, politica e sociale del popolo rumeno, aspetti che si sono riflettuti “sulla stessa evoluzione semantica del nome”.

Fino alla fine del XVI secolo, infatti, l’uso di rumân in Valacchia indicava non solo l’appartenenza al popolo, ma anche e soprattutto alla servitù della gleba, connotando negativamente l’aggettivo anche dopo l’abolizione della schiavitù nel 1746, come dimostra il suo uso ancora un secolo dopo per designare coloro che appartenevano alle classi più umili.

Anche in Transilvania avvenne un processo simile di alterazione semantica: a partire dalla metà del XVI secolo, la regione si era dichiarata principato autonomo e venne governata da una dieta composta da nobili ungheresi, secui (conosciuti anche come siculi o secleri), ovvero gli ungheresi di Romania, e dai sassoni, il gruppo etno-linguistico tedesco del paese. Ma mancavano i rumeni. Anche in Transilvania, quindi, la parola rumân venne a designare quella parte di popolazione priva di diritti politici e di estrazione sociale nettamente inferiore.

Sulla base di questa deriva, a partire dall’Ottocento e sotto l’impulso del processo di costruzione nazionale, nella lingua di Romania si è imposto român e rumân è stato abbandonato e cancellato dall’uso linguistico, anche e soprattutto sulla base della volontà di consolidare le origini latine e il carattere romanzo della cultura e lingua del neonato paese.

Fratellanza latina

Nell’italiano corrente, invece, pare esserci una sostanziale parità nella frequenza e nel senso di utilizzo di rumenoromeno, ma anche da noi l’evoluzione storica dei termini è più complessa e interessante di così.

Anche in italiano, la versione più antica è quella con la ru-, la cui diffusione è direttamente collegata all’aggettivo che era in uso nel territorio carpato-danubiano fino all’Ottocento. E non è l’unico parallelo: anche in Italia, il dilemma fra rumeno e romeno è apparso durante l’Ottocento. Fino a quel momento, infatti, era di gran lunga più frequente l‘uso di aggettivi che derivavano dal nome dei tre principati che sarebbero poi stati unificati nello stato rumeno, e si parlava quindi di lingua valacca, storia moldava o città transilvana. Anche perché, di fatto, non esisteva ancora alcun stato cosiddetto rumeno, o romeno, che si voglia.

L’aggettivo rumân veniva principalmente usato quando si voleva sottolineare l’origine latina della popolazione e la romanità della sua lingua. In questo modo, i viaggiatori italiani hanno lentamente diffuso l’aggettivo rumeno con la u, da rumân appunto, trasmettendone il riferimento etnico piuttosto che quello politico-sociale originario – non comprendendo la sfumatura del termine, in altre parole, riproducevano semplicemente la parola che udivano con maggiore frequenza.

La forma romeno con la o fa, invece, la sua comparsa nella prima metà del Novecento, sotto la spinta del fascismo e della “esaltazione dell’origine romana comune” dei popoli italiano e rumeno, una fratellanza sancita ulteriormente dai due stati all’interno dell’Asse durante la Seconda Guerra Mondiale. Romeno si impone, quindi, per sostenere la comune discendenza dall’Impero Romano, il destino comune di eredi della Roma antica (un tema carissimo a Benito Mussolini, quello del riferimento alla Roma antica) e dunque il legame storico, politico e culturale fra Italia e Romania.

In giro per l’Europa vince la u

Nell’italiano di oggi non è rimasta traccia di questa connotazione ideologica e rumeno e romeno sono usati intercambiabilmente a seconda del gusto e dell’abitudine prettamente personale di ognuno. Tuttavia l’Accademia della Crusca ha registrato da qualche anno una leggerissima tendenza a favore di romeno, soprattutto nella stampa, in conformità di una maggiore adesione con la lingua locale che chiama il proprio paese România e sé stesso român/românesc.

La stessa dualità non si ritrova nelle altre lingue europee, in cui prevale di gran lunga la versione dell’aggettivo con la u: dal tedesco rumänisch, allo spagnolo rumano, fino alla totalità delle lingue slave. Tale diffusione è probabilmente dovuta alla stessa opera dei viaggiatori stranieri in visita nel paese dei Carpazi ed esposti allo stesso aggettivo, come fu il caso degli italiani. L’unica grande eccezione, il portoghese roman. Anche in ungherese, in realtà, si usa la versione con la o, román. Forse un tentativo di pace linguistica per superare gli antichi rancori?

Foto: keepcalms.com

Chi è Rebecca Grossi

Appassionata di politica e di tutto ciò che sta al di là della ex Cortina di ferro, ha frequentato Studi Internazionali a Trento e Studi sull'Est Europa presso l'Università di Bologna. Dopo soggiorni più o meno lunghi di studio e lavoro in Austria, Grecia, Germania, Romania e Slovenia, abita ora a Lipsia, nell'ex DDR, dove è impegnata in un dottorato di ricerca sul ruolo del Mar Nero nella strategia geopolitica della Romania. Per East Journal si occupa principalmente di Romania e Turchia.

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