Montenegro

MONTENEGRO: Cade il governo Abazović, pronta una nuova maggioranza

Una mozione di sfiducia ha messo fine il 19 agosto al governo più breve della storia politica del Montenegro, guidato da Dritan Abazović, e il paese torna sulla via dell’instabilità politica. Il premier, leader del movimento civico ed europeista URA (Azione Unitaria per le Riforme), ha assistito al collasso della propria coalizione con una mozione di sfiducia votata da 50 parlamentari su 81.

Le cause ufficiali della sfiducia

Il voto ha decretato la definitiva rottura tra il movimento di Abazović e il partito del redivivo presidente della Repubblica Milo Djukanović, ovvero il Partito Democratico dei Socialisti (DPS). Quest’ultimo infatti era parte dell’amministrazione Abazović sin dal suo insediamento, assieme al Partito Socialdemocratico (SDP), ma entrambi hanno chiamato a gran voce le elezioni anticipate sin dalla firma, avvenuta lo scorso 3 agosto, dell’Accordo Fondamentale siglato tra lo stato montenegrino e la Chiesa Ortodossa Serba.

Tale accordo, portato avanti dal ministro della Giustizia Marko Kovač, con il beneplacito del premier, punta a regolare definitivamente lo status della Chiesa Ortodossa Serba, la quale rappresenta la principale istituzione religiosa del paese. La parte del testo riguardante le proprietà religiose è il punto più controverso dell’intero accordo che ha portato dapprima alle tensioni e, dal giorno della firma, all’aperto dissenso che ha destabilizzato la maggioranza di governo. Proprio Milo Djukanović aveva cercato di limitare il potere della Chiesa Ortodossa Serba attraverso la legge sulle libertà religiose del 2019, seguita da accese proteste poiché stabiliva che le comunità religiose dovessero provare il legittimo possesso delle loro proprietà attraverso una documentazione certa, pena la confisca e il passaggio al controllo statale. Con il recente Accordo del 3 agosto la Chiesa Serba non è più tenuta a farlo.

Sia il partito del presidente sia i Socialdemocratici sostenevano che la decisione finale fosse priva di un ampio consenso e incompatibile con la Costituzione montenegrina. La firma era stata invece accolta favorevolmente dal fronte filo-serbo dell’opposizione, un tempo partner di governo di Abazović nel precedente governo formatosi dopo le elezioni del 2020. I voti contrari alla permanenza in carica dell’esecutivo, oltre che dai già citati DPS e SDP, sono arrivati anche dai partiti rappresentanti le minoranze albanese e bosgnacca, preoccupati di un’eccessiva ingerenza di Belgrado nelle questioni interne del Montenegro.

Abazović si difende accusando

Prima del voto di sfiducia, di fronte al parlamento riunito, Abazović ha chiaramente descritto quel che stava per accadere come un conflitto politico tra sé stesso e Djukanović. Il premier ha accusato i gruppi politici responsabili della mozione di sfiducia di essere finanziati da gruppi della criminalità organizzata a capo del contrabbando di sigarette e cocaina, sequestrate a tonnellate durante le operazioni della polizia montenegrina nel porto di Bar nel corso degli ultimi anni.

Il suo discorso si è poi spostato, solo in un secondo momento, sull’Accordo Fondamentale, a proposito del quale ha ribadito la sua scelta di firmarlo, sottolineando di averlo fatto per i cittadini Ortodossi del paese, non per il potere. Infine Abazović ha messo le cose in chiaro per il futuro, sottolineando che qualora qualcuno fosse pronto a formare un governo con il DPS, di certo URA non ne farebbe parte.

La soluzione che viene dal passato

Toccherà ancora all’amministrazione Abazović svolgere le funzioni tecniche sino alla nomina del nuovo governo, ma i colloqui, iniziati subito dopo il voto di sfiducia, sembrano aver portato a dei risultati nella giornata del 2 settembre, stessa data in cui era previsto un ulteriore voto di sfiducia, poi rimandato, promosso dai partiti dell’opposizione contro il presidente del parlamento Danijela Djurovic.

La firma sull‘accordo per formare un nuovo esecutivo è stata messa dai partiti che formarono la coalizione vincente nelle elezioni dell’agosto 2020, la quale pose fine a quasi tre decadi di potere del DPS di Djukanović. Con 41 seggi su 81 in Parlamento il nuovo esecutivo sarebbe formato nuovamente dalla lista di Abazović, dai moderati di La pace è la nostra Nazione, e dalla lista filo-serba Per il futuro del Montenegro, guidata dal Fronte Democratico. Il premier sfiduciato ha assicurato che le richieste del suo blocco avranno un peso influente durante le negoziazioni, dopodiché ha avvertito i suoi futuri alleati con una minaccia non troppo velata, lasciando intendere che sarà felice di ricoprire il ruolo di primo ministro, ma che in caso di necessità è pronto ad affermare la sua visione da un’altra posizione, ad esempio l’opposizione.

Secondo gli annunci, il nuovo governo si impegnerà nel fare passi in avanti sul tema dell’integrazione europea, nel realizzare riforme economiche, nonché lottare contro la criminalità organizzata e la corruzione. Allo stesso tempo, non si puo’ ancora escludere l’ipotesi che il nuovo esecutivo traghetti il paese verso elezioni anticipate nella primavera del 2023, in contemporanea con le elezioni presidenziali. La stabilità politica, dunque, sembra ancora lontana.

Foto: Argumentum.al

Chi è Lorenzo Serafinelli

Classe 1999, laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l'Università di Roma, la Sapienza. Attualmente, presso lo stesso istituto, sta conseguendo la laurea magistrale in Relazioni Internazionali e sicurezza globale. Esprime la sua passione per la storia e l'attualità dei Balcani Occidentali scrivendo per East Journal da luglio 2022.

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