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TURCHIA: Cronistoria del coinvolgimento turco nel conflitto russo-ucraino

A più di 100 giorni dall’inizio della guerra, sul concitato e cangiante coinvolgimento della Turchia nel conflitto russo-ucraino le teorie si sprecano. Una cosa è certa: la Turchia ce la sta mettendo tutta per giocare un ruolo in questa partita, ma le motivazioni sono diverse.

Facciamo ordine.

Le ragioni interne

Il summit “per la pace” ad Antalya il 10 marzo, una seconda tranche di colloqui tra il 29 dello stesso mese e ultimo l’incontro dell’8 giugno scorso tra il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov e quello turco Mevlüt Çavuşoğlu per sbloccare il grano fermo al porto di Odessa. Tutti questi incontri avvenuti in territorio turco si sono conclusi con grandi speranze, ma scarsi risultati. Il punto è che la Turchia non ha bisogno di riuscire nell’impresa per riacquistare prestigio a livello internazionale quanto interno al Paese.

Secondo molti analisti, la posizione della Turchia all’interno del conflitto russo-ucraino è parte di un piano strategico del presidente della repubblica Recep Tayyip Erdoğan e dell’Akp (Partito della Giustizia e dello Sviluppo). Le elezioni politiche e presidenziali si avvicinano, e il consenso verso il partito è ai minimi storici. Attualmente, i sondaggi lo danno per spacciato, posizionandolo di poco oltre le disorganizzate opposizioni. Riportare la pace, o quantomeno, dimostrare di provarci, redime la posizione di un capo di Stato alle prese con una crisi economica devastante, con un’inflazione del 73,5%, un mercato immobiliare alle stelle e un tasso di disoccupazione giovanile pari al 20%

Il conflitto russo-ucraino, infatti, sta influenzando l’economia già minata della Turchia come di molti altri Paesi del Medioriente a causa della crisi del grano, ma continuerà a farlo ulteriormente quest’estate estate quando si prevede che il turismo costiero turco perda ben il 27,3% dei suoi turisti abituali tra russi e ucraini.

A proposito di mare, la questione dello sminamento dei porti ucraini non è solo legata all’approvvigionamento di cereali, ma anche alla sicurezza stessa delle acque turche. Se lo stretto dei Dardanelli è ora storicamente chiuso al passaggio delle navi russe, parte delle circa 420 mine piantate lungo le coste ucraine si stanno muovendo liberamente verso il Mar Nero. Il primo ordigno inesploso è stato avvistato il 26 marzo appena fuori dallo stretto di Istanbul, un secondo il 28 marzo sulle coste di Igneada (non lontana dal confine con la Bulgaria) e il terzo il 6 aprile nel distretto di Koaceli (poco distante da Istanbul).

Le questioni internazionali

Secondo Steven A.Cook, la posizione ambigua adottata e mantenuta dalla Turchia nel conflitto russo-ucraino (che prevede la fornitura di armi all’Ucraina coi celeberrimi droni TB2 Bayraktar, ma anche l’opposizione alle sanzioni contro la Russia), ricorda una vecchia dottrina in fatto di politica estera adottata a metà degli anni 2000, specie tra il 2005 e il 2011 dall’allora ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu. Parliamo della cosiddetta “zero problems with neighbours”, problemi zero con i vicini, venuta meno proprio con la primavera araba e la guerra civile siriana.

In effetti, come ricorda il giornalista Paul Benjamin Osterlund, ultimamente il governo turco ha cercato di ricucire alcuni rapporti deteriorati. Con il presidente israeliano Herzog, ad esempio, che a Settembre 2021 si è recato in visita ufficiale ad Ankara, cosa che non accadeva dal 2007 e, a sua volta, il ministro degli esteri turco Çavuşoğlu è di recente stato in Israele per incontrare il ministro degli esteri israeliano Yair Lapid come non succedeva da 15 anni. Inoltre, Erdoğan ha visitato gli Emirati Arabi Uniti a Febbraio ed è stato accolto in pompa magna, il ministro del tesoro e delle finanze turco Nureddin Nebati è appena stato in Egitto per confermare un rafforzamento dei rapporti dopo anni di tensioni, per non parlare di quelle appianate con l’Arabia Saudita da quando il processo per il delitto Khashoggi si è spostato da Istanbul a Riad lo scorso aprile.

Ma siamo così sicuri che le relazioni internazionali della Turchia al momento siano “zero problems”?

La questione con Svezia e Finlandia

La Turchia si è opposta al possibile ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO (richiesta che va contro la storica neutralità dei due Paesi proprio a seguito dell’inizio dell’invasione russa in Ucraina) accusandoli di sostenere e ospitare sui loro territori dei “terroristi”, ovvero alcuni membri del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e dei seguaci di Fethullah Gülen. Nel 2019, la Svezia ha emesso un embargo militare parziale contro la Turchia proprio a causa di una delle operazioni militari nel nord della Siria contro le milizie curde della YPG, considerate dal presidente turco al pari del PKK. Erdoğan sostiene che il loro ingresso nella NATO costituirebbe un enorme problema di sicurezza e richiede non solo di interrompere l’embargo, ma anche di avviare l’estradizione di alcuni di questi “terroristi”. Come sciogliere questo nodo prima del summit NATO di fine Giugno a Madrid?

La questione con Grecia e Stati Uniti

Nell’ultimo mese anche i rapporti con la Grecia sono più tesi del solito. C’entra un discorso del primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis, in visita ufficiale a Washington lo scorso 17 maggio per mostrare interesse ad entrare nel programma dei missili F-35, programma negato alla Turchia dopo l’acquisto di alcuni concorrenti S-400 russi. Mitsotakis ha confermato che la Grecia sia un alleato affidabile per gli Stati Uniti, e soprattutto ha lanciato un appello: “L’ultima cosa di cui la NATO ha bisogno è ulteriore instabilità. Perciò vi chiedo di tenerne conto nel momento in cui dovrete decidere a chi procurare delle armi”. Erdoğan ha interpretato queste parole come una richiesta di Atene nel non fornire alla Turchia gli aerei da combattimento F-16, questione ancora in ballo con gli Stati Uniti che, però, comprendono il valore di questo finanziamento come un modo per allontanare la Turchia dall’asse russo-cinese. Così, Erdoğan ha dichiarato di “non conoscere più alcun Mitsotakis”, di aver “cancellato il suo nome dall’agenda”, accusando anche la Grecia di ospitare i seguaci di Fethullah Gülen. Sono tutte problematiche che negli anni hanno portato proprio ad uno sbriciolamento dei rapporti con gli Stati Uniti che il conflitto russo-ucraino non sta aiutando ad appianare.

Alla Turchia interessa la pace?

La fine del conflitto russo-ucraino certamente porterebbe a ristabilire un certo equilibrio a livello economico. Se la Turchia riuscisse a prendersi il merito della cosa, sarebbe una doppia vittoria, perché con un rifornimento di cibo, energia e servizi a livello globale, la figura di Erdoğan non potrà che guadagnare maggiore consenso interno ed interazionale.

Si tratta, però, dello stesso Paese che sta per avviare una nuova operazione militare a confine con la Siria, la quarta in sei anni, condannata tanto dalla Russia che appoggia il governo di Assad quanto dagli Stati Uniti che sostengono i ribelli. Un’incursione che genererebbe ulteriore instabilità scatenando una nuova ondata di profughi.

foto: birgun.net

Chi è Eleonora Masi

Classe 1990, una laurea in Relazioni Internazionali ed esperienze in Norvegia, Germania, ma soprattutto Turchia, di cui si occupa dal 2015. Oltre a coordinare la redazione dell'area del Vicino Oriente per East Journal svolge il ruolo di desk per The Bottom Up mag. Ha ideato e prodotto il podcast "Cose Turche" che racconta gli ultimi 10 anni della Turchia dal punto di vista dei millennial che li hanno vissuti sulla loro pelle.

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