UCRAINA: I negoziati sotto le bombe

Dopo settimane di stallo, i negoziati tra Ucraina e Russia sembrano ora entrati in una  nuova fase. Molto dipenderà dallo sviluppo del conflitto, ma la pace sembra ancora molto lontana.

Questo è articolo è pubblicato in collaborazione con Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

“Ogni guerra finisce con un accordo”. Sono state queste le parole pronunciate qualche giorno fa dal presidente Zelensky nel suo (purtroppo) ormai consueto messaggio serale alla nazione. Secondo le autorità ucraine, infatti, negli ultimi giorni le richieste avanzate dalla Russia sul tavolo negoziale si sarebbero ammorbidite, diventando “più realistiche e ragionevoli”. Aperture in tal senso sono arrivate anche dal ministro degli esteri russo, Lavrov, che ha dichiarato che “ci sono speranze che la parti possano riuscire a raggiungere un compromesso” su specifiche questioni discusse. Anche se – nonostante le bombe che continuano a cadere sull’Ucraina – il dialogo rimane aperto, è piuttosto difficile prevedere dove esso possa davvero portare.

I difficili negoziati

Appena quattro giorni dopo l’inizio dell’invasione russa, rappresentanti di Kyiv e Mosca si sono incontrati per la prima volta nella regione di Gomel, in Bielorussia. Altri due round di negoziati si sono succeduti nei giorni seguenti, portando all’incontro ufficiale tra i ministri degli esteri Kuleba e Lavrov, avvenuto il 10 marzo ad Antalya, in Turchia. Tutti questi incontri avevano lasciato la chiara impressione che ogni tipo di dialogo fosse destinato inesorabilmente a fallire. Negli ultimi giorni, però, qualcosa sembra essere cambiato. In parte a cause delle difficoltà militari incontrate dalla Russia che non aveva previsto che Kyiv potesse resistere così a lungo. In parte a causa dell’inaspettata unità mostrata da Europa e Stati Uniti, con l’introduzione di un livello di sanzioni che a Mosca non avevano previsto.

Un piano di pace?

Le parti hanno quindi continuato a parlare e, come riportato dal Financial Times, Ucraina e Russia avrebbero fatto “significativi progressi” nel dialogo legato ad un piano di pace. Secondo le fonti del quotidiano britannico, infatti, le parti starebbero ora discutendo un piano in 15 punti. Tra le altre cose, sul tavolo ci sarebbe la proposta che vedrebbe l’Ucraina diventare ufficialmente uno stato neutrale, con un divieto di ospitare basi militari straniere e rinnegando ogni aspirazione d’ingresso nella NATO. In cambio Kyiv potrà mantenere un proprio esercito, mentre la sua sicurezza dovrà essere garantita da una coalizione internazionale che includa paesi come Stati Uniti, Regno Unito e probabilmente Turchia. Proprio in questo senso potrebbero essere interpretate le recenti dichiarazioni di Zelensky che ha ammesso che, data la posizione assunta dalla NATO nelle ultime settimane nonostante le richieste disperate di Kyiv di introdurre una No-Fly Zone, le porte dell’alleanza atlantica per l’Ucraina sono effettivamente chiuse.

Crimea e Donbass e le garanzie occidentali

Nonostante alcuni segni di ottimismo, sul tavolo rimangono problemi che ad oggi sembrano difficilmente risolvibili. Se il fatto che Mosca vorrebbe garanzie sulla protezione della minoranza russa in Ucraina e la re-introduzione del russo come seconda lingua ufficiale è un boccone amaro che potrebbe essere anche mandato giù, su altri punti le posizioni rimangono lontane. Il punto centrale riguarda l’aspetto territoriale. Sebbene un accordo preliminare, a quanto pare, significherebbe il ritiro delle truppe russe da tutti i territori occupati a partire dall’inizio della guerra, questo non include la Crimea e il Donbass. Anzi, la posizione russa su queste regioni rimane inflessibile. L’Ucraina non solo non vedrà questi territori tornare sotto la sua sovranità, ma dovrebbe anche riconoscere ufficialmente il loro status attuale; la Crimea come parte della Russia e le repubbliche separatiste come indipendenti. Una posizione chiaramente inaccettabile per Kyiv che però potrebbe essere disposta a lasciare la questione congelata, rimandando i negoziati sulle questioni territoriali ad un secondo momento.

Rimane anche il problema del ruolo e tipo di responsabilità che gli alleati internazionali dovrebbero assumersi per garantire la sicurezza dell’Ucraina in caso di formale neutralità. Un accordo del genere, paradossalmente, esiste già, il famoso memorandum di Budapest del 1994. Come appare più che mai evidente, queste garanzie di sicurezza firmate da Stati Uniti e Regno Unito (oltre alla Russia) si sono dimostrate cartastraccia. Le domande quindi rimangono. Saranno disposti Stati Uniti e gli altri ad accettare un tale livello di coinvolgimento? Che tipo di meccanismi internazionali possono garantire la sicurezza di Kyiv dopo che il paese è stato invaso dal vicino?

Una trappola per l’Ucraina?     

Nonostante una solidità militare che in molti (anche in Cremlino) non si aspettavano, Zelensky rimane stretto in un angolo. Da una parte è ormai evidente che gli alleati europei e americani non sono disposti a fare di più per difendere l’Ucraina. Dall’altra, l’offensiva russa è diventata sempre più spietata con migliaia di vittime civili e intere città sull’orlo di una crisi umanitaria. L’obiettivo sembra quello di costringere Kyiv ad accettare le condizioni imposte dal Cremlino. In questa situazione anche il possibile accordo per un cessate il fuoco come step preliminare per il proseguimento dei negoziati rappresenta un pericolo. Un’interruzione momentanea delle ostilità potrebbe semplicemente permettere alla Russia di riorganizzare le proprie forze sul campo in vista di una nuova fase di guerra e negoziati.

Infine, ogni tipo di accordo non potrà non avere significative conseguenze e turbolenze interne. La disponibilità della società ucraina, mobilitata, armata e unita dalla guerra, di accettare un compromesso difficile da digerire non è scontata. Anche solo rinunciare ufficialmente all’ingresso nella NATO potrebbe non essere così indolore. Le aspirazioni atlantiche ucraine non sono solo scritte nella costituzione, ma hanno anche ormai il sostegno della maggioranza della popolazione. Secondo un sondaggio condotto prima dell’inizio della guerra, il 62% degli ucraini sostenevano l’ingresso nella NATO. Facile immaginare che nell’ultimo mese la cifra possa essere solo cresciuta.

Il proseguimento del dialogo dipenderà dagli sviluppi del conflitto nei prossimi giorni e settimane. Nonostante alcuni segnali di apertura, ad oggi la pace sembra ancora lontana.

Foto: Unsplash

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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