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I militari sparano sulla folla durante le proteste in Kazakistan

KAZAKHSTAN: Proteste represse nel sangue, interviene la Russia

Divampa la rivolta in Kazakistan: proteste represse nel sangue, arrivano gli eserciti della Russia e degli ex paesi sovietici

La Russia non ha nessuna intenzione di ritrovarsi il caos alle porte di casa, né tantomeno veder scivolare sotto l’influenza di chicchessia il confinante Kazakistan, con tutte le sue risorse energetiche e il peso strategico che si porta dietro. In seguito ai violenti scontri degli ultimi giorni, la situazione è stata presa di petto dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettivo (Csto), che riunisce gli Stati eredi delle repubbliche sovietiche di Armenia, Bielorussia, Kirghizistan e Tagikistan, oltre ovviamente a Kazakistan e Russia, che ne rappresenta il maggior azionista.

L’intervento russo contro le “interferenze esterne”

All’apice degli scontri, il Csto ha inviato le proprie “forze di pace” per stabilizzare la situazione che da più parti, dal governo del presidente kazako Qasym-Jomart Toqaev alla Russia di Vladimir Putin, viene attribuita a “interferenze esterne”. Il presidente della commissione Esteri della camera alta russa, Konstantin Kosachev, in particolare ha puntato il dito contro “miliziani di gruppi armati che operano nel vicino e Medio Oriente, principalmente in Afghanistan”, infiltrati tra i dimostranti.

Terroristi ampiamente addestrati all’estero” ci sarebbero alla radice dei disordini secondo lo stesso Toqaev, che per primo ha chiesto l’intervento degli alleati. L’annuncio ufficiale dell’invio delle forze del Csto è stata data nella tarda serata del 5 gennaio da Nikol Pashinyan, primo ministro armeno e presidente di turno dell’alleanza militare tra ex Stati sovietici.

Un’operazione di pace “per un periodo limitato di tempo ai fini della stabilizzazione del paese”, ha spiegato Pashinyan. “Circa un mese” è il periodo ipotizzato dal Cremlino. In campo scendono quindi militari di tutti le forze del Csto, ma il grosso lo fa l’esercito russo che è partito per il Kazakistan.

Il bilancio degli scontri

Che il bilancio finale dei morti non sarà né chiaro né esiguo lo anticipano le immagini dell’agenzia di stampa russa Tass, che mostrano militari che aprono il fuoco ad altezza d’uomo verso manifestanti non inquadrati. Il portavoce della polizia kazaka, Saltanat Azirbek, con gli scontri ancora in corso, ha riferito che “decine di assalitori sono stati eliminati e le loro identità sono in corso di accertamento”.

Secondo fonti governative ufficialmente ci sono comunque oltre mille feriti, di cui 400 ricoverati in ospedale, 62 dei quali gravi. Annunciata anche l’uccisione di almeno dodici membri delle forze dell’ordine, due addirittura decapitati. Sarebbero invece 2.300 gli arresti dei manifestanti, tra quelli nelle piazze sedi della protesta e quelli preventivi di esponenti dell’opposizione.

Ad ogni modo nelle ultime ore il governo ha ripreso il controllo del municipio e del palazzo presidenziale, assaliti e dati alle fiamme ad Almaty, l’ex capitale dove è stata inoltre sgomberata piazza della Repubblica, diventata il centro della contestazione. Si registrano poi incendi di sedi del partito di governo, uffici pubblici e televisioni in tutto il paese. A Taraz, sesta città del paese, tre stazioni di polizia e 50 automobili delle forze dell’ordine sono state date alla fiamme.

Tutto è cominciato con il costo del gas

Le manifestazioni sono iniziate domenica, dopo che la decisione di eliminare il limite massimo del prezzo del gpl, largamente usato per le auto, ha fatto raddoppiare i prezzi. Le prime proteste sono esplose a Zhanaozen, nella regione occidentale del Mangystau. Sull’aumento del costo del gas si è innestato il malcontento generale della popolazione per le condizioni economiche, come dimostrano i numerosi negozi saccheggiati. A poco è valsa la reintroduzione per 180 giorni di un tetto ai prezzi dei carburanti.

Ma non meno indicativo è l’abbattimento di statue di Nursultan Nazarbayev, l’81enne ex presidente e padre-padrone del paese dal 1990 al 2019. Di certo la matrice dei dimostranti è eterogenea e composita, ma insieme alle ragioni essenzialmente economiche non mancano quelle più strettamente politiche, legate alla corruzione della classe dirigente o alle rivendicazioni delle minoranze, e in generale di un’opposizione annichilita nel corso degli anni dalla repressione di Nazarbayev e del suo successore.

 

Immagine in primo piano: fermo immagine del filmato della Tass del fuoco aperto sui manifestanti

Chi è Andrea Rapino

Nato nel 1973 a Lanciano, in Abruzzo, dove vive e lavora come giornalista professionista, si è laureato in Storia a Bologna con una tesi sulla letteratura serba medievale, e ha frequentato la scuola di giornalismo dell'Università di Roma - Tor Vergata. Si occupa di cronaca, sport e cultura per diverse testate locali. Ha iniziato a scrivere per East Journal dal dicembre 2021.

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