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OPEC+: Arriva l’accordo sulle sorti dell’oro nero

Il 3 dicembre, dopo quattro giorni di estenuanti negoziati e profonde tensioni, i membri dell’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (OPEC) e i produttori al di fuori del cartello, tra i quali primeggia la Russia, hanno trovato un accordo sulla produzione di greggio per il prossimo anno.

L’intesa raggiunta dal cosiddetto “OPEC+” riduce di 500.000 barili al giorno, a partire da gennaio 2021, i tagli alla produzione approvati nell’aprile scorso e stabilisce incontri mensili per tutto il primo trimestre. Incapaci di trovare un compromesso su una politica più ampia e di lungo termine, i membri del cartello hanno optato per un approccio più graduale, accordandosi per fissare i livelli di produzione di mese in mese e monitorare una domanda petrolifera ancora indebolita dalla pandemia.

Se l’OPEC e i suoi partner, i quali controllano nel complesso circa la metà della capacità di produzione mondiale di greggio, avessero approvato un maggiore aumento dell’offerta, il mercato dell’oro nero secondo molti analisti avrebbe generato un surplus tale da minacciare il recente rialzo dei prezzi. Per questo l’accordo raggiunto dal cartello è stato ben accolto nell’immediato, come dimostra l’andamento di due tra i benchmark sul petrolio più utilizzati dai trader. Il giorno successivo alle dichiarazioni di intesa dei membri dell’OPEC+, i future del Brent hanno infatti guadagnato oltre l’1%, arrivando a 49,57 dollari al barile e avvicinandosi ai loro massimi da otto mesi, mentre il WTI (West Texas Intermediate) ha guadagnato l’1,56%, con scambi a 46,35 dollari al barile.

Alcune prevedibili eccezioni 

Come prevedibile, tre paesi membri dell’OPEC sono esclusi dai tagli alla produzione a causa delle loro “circostanze straordinarie e instabili”: Venezuela, Iran e, soprattutto, Libia. La riunione del cartello ha accolto con favore la ripresa della produzione di petrolio da parte di quest’ultima, dopo la paralisi di oltre sette mesi causata dal blocco agli impianti petroliferi dall’autoproclamato Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar. Con l’accordo di cessate il fuoco tra l’LNA e le forze del Governo di accordo nazionale libico (GNA) guidate da Fayez al-Sarraj firmato ad agosto, la produzione di petrolio della Libia è ripresa, arrivando a oltre 1,2 milioni di barili al giorno in tempi record.

Scontro tra Emirati e Arabia Saudita 

L’intesa tra i membri dell’OPEC+ non è arrivata senza dissidi interni al cartello. Durante i quattro giorni di negoziati, definiti dallo stesso ministro dell’energia saudita Abdulaziz bin Salman “penosi, faticosi e frustranti”, lo scontro più acceso e destinato a continuare anche nei prossimi vertici è stato quello tra l’Arabia Saudita, leader de facto dell’OPEC, e gli Emirati Arabi Uniti, terzo produttore del gruppo e detentore del 6% delle riserve mondiali di greggio. Se da una parte i dissidi tra Riyadh e Abu Dhabi possono sorprendere, visto che per anni i due paesi si sono mossi all’unisono sia sul fronte energetico sia su quello della politica estera, dall’altra gli avvenimenti degli ultimi mesi spiegano la collisione.

Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno assunto direzioni opposte su alcune delle questioni più spinose che da anni attanagliano la penisola arabica e, in generale, il Medio Oriente: dalla guerra in Yemen fino agli sforzi per ostracizzare il Qatar dopo la crisi diplomatica del 2017, senza dimenticare lo storico accordo del settembre scorso per la normalizzazione delle relazioni tra l’Emirato e Israele.

Dal punto di vista del settore petrolifero, le tensioni sono affiorate alla fine dell’estate, dopo che la compagnia petrolifera statale degli Emirati Arabi Uniti, la ADNOC (Abu Dhabi National Oil Co), ha dichiarato l’intenzione di investire 122 miliardi di dollari per aumentare la capacità produttiva, nonché di trasformare uno dei suoi principali giacimenti offshore, Murban, in un benchmark globale, al pari di Brent e WTI. Il ministro dell’energia saudita Abdulaziz bin Salman ha imputato agli Emirati di avere superato la quota di produzione assegnata loro. Seppur a malincuore, gli Emirati sono rientrati nei ranghi adeguandosi alle quote stabilite, non mancando però di polemizzare con gli altri membri dell’OPEC+ – in primis l’Iraq, secondo produttore del cartello, e la Russia – colpevoli di sforare a loro volta i tetti produttivi. Poiché già ad aprile stavano tagliando circa il 33% del loro potenziale produttivo stentando a rispettare gli impegni assunti con le compagnie petrolifere internazionali, si capisce che gli Emirati siano scontenti. Ciò fa supporre che seppur l’accordo del 3 dicembre abbia dato una dimostrazione di unità, a gennaio le diatribe interne potrebbero riaffiorare e non è da escludere che le ambizioni di Abu Dhabi possano in futuro indurla a lasciare l’organizzazione.

Verso un’effettiva ripresa nel 2021?

Nel 2021 la produzione di petrolio dell’OPEC+ è destinata a crescere. La scelta di ridurre i tagli, voluta soprattutto dal Cremlino, è stata fatta in base al calcolo che l’arrivo del vaccino contro il Covid-19 stimolerà la ripresa economica globale e, di conseguenza, i consumi petroliferi. La risalita dei prezzi del petrolio nelle ultime settimane ha rafforzato gli argomenti dei paesi favorevoli all’iniziativa. Le tensioni interne al cartello rimangono però una questione spinosa. Nei vertici mensili l’asse russo-saudita dovrà dimostrare di saper fare rispettare la disciplina interna e moderare le crescenti ambizioni degli Emirati Arabi Uniti.

 

Foto: Schneider Electric

Chi è Leonardo Zanatta

Nato e cresciuto a Bologna, classe 1996, ha vissuto per motivi di studio e lavoro in Russia, Azerbaigian, Serbia e, infine, Ungheria. Torna sporadicamente in Italia per rivedere i suoi due più grandi amori: la Sampdoria e la Virtus Bologna. Laureatosi in Scienze internazionali e diplomatiche, continua I suoi studi magistrali al programma MIREES (Interdisciplinary studies on Eastern Europe), per poi iniziare il dottorato in studi di sicurezza e relazioni internazionali all’Università Corvinus di Budapest. Scrive per la redazione Caucaso di East Journal da inizio 2020.

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