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Sergey Ponomarev - The New York Times

NAGORNO-KARABAKH: Cosa resta dopo il conflitto?

Nella notte tra il 9 e il 10 novembre, un accordo trilaterale fra Armenia, Azerbaigian e Russia ha portato a conclusione il conflitto in corso da sei settimane in Nagorno-Karabakh. Una guerra d’autunno contraddistinta da numerose accuse reciproche, a partire da quelle su chi ha dato inizio alle ostilità il 27 settembre. La pace raggiunta lascia, tuttavia, un divario fra le società armena e azera, unite unicamente dal dolore e dalla devastazione provocate dalla guerra.

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Le devastazioni degli ultimi giorni di guerra

Tra il 27 e il 28 ottobre, due attacchi aerei con l’uso di missili balistici BM-30 Smerch hanno colpito la città azera di Barda, situata a 20 chilometri dalla linea di contatto. Fortemente condannato non solo dalle autorità azere, ma anche da diverse organizzazioni internazionali, l’evento ha provocato la morte di 26 civili e 83 feriti, e risulta il più grave attacco su vittime civili registrato nel corso di questo nuovo conflitto fra Armenia e Azerbaigian.

Nonostante il cessate il fuoco umanitario raggiunto a Ginevra il 30 ottobre fra i ministri degli esteri di Armenia e Azerbaigian con la mediazione dell’OSCE, gli scontri non hanno fatto che intensificarsi nell’ultima settimana del conflitto. Il primo novembre le forze armene hanno bombardato diversi villaggi nei distretti di Terter e Agjabedi, mentre dal lato armeno sia Shusha che Stepanakert hanno subito violenti bombardamenti da parte dell’esercito azero. In questa occasione, Baku e Erevan si sono reciprocamente accusate di aver violato la tregua e di aver utilizzato munizioni a grappolo all’interno di centri abitati. A tal proposito, l’Alto Commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Michelle Bachelet, ha denunciato in un comunicato l’uso da ambo le parti di tali armi illegali in attacchi indiscriminati che hanno interessato aree civili. Ha inoltre invitato Armenia e Azerbaigian a firmare la Convenzione ONU sulla messa al bando delle bombe al grappolo approvata quest’anno, evidenziando come tali atti siano da considerarsi al pari di crimini di guerra.

Nel corso dell’intero conflitto, l’area cittadina di Stepanakert è stata oggetto di pesanti bombardamenti da parte delle forze azere, costringendo molte persone a vivere per settimane in bunker o a rifugiarsi in Armenia. Diverse fonti sul campo, tra cui Human Rights Watch (HRW) e Amnesty International, hanno testimoniato i danni provocati alle infrastrutture civili: parchi giochi, attività commerciali e abitazioni e perfino un reparto maternità sono stati coinvolti da attacchi indiscriminati. In una recente intervista a BBC News, discutendo delle documentate prove di attacchi su aree civili nella capitale del Nagorno-Karabakh, il presidente azero, Ilham Aliyev ha prontamente etichettato qualsiasi insinuazione al riguardo come fake news.

Ciò che resta 

I 44 giorni di scontri che hanno investito la regione del Nagorno-Karabakh lasciano devastazione e sofferenza. Il danno ambientale che il conflitto ha prodotto sul territorio conteso è tutt’altro che irrilevante. L’uso di munizioni al fosforo bianco, arma chimica incendiaria dichiarata illegale dalla Convezione di Ginevra a causa della sua tossicità, rientra nel rimbalzo di accuse e negazioni che ha rappresentato una vera e propria guerra parallela durante questo conflitto. Secondo fonti armene, circa 1815 ettari di foreste sarebbero stati colpiti da quest’arma, di cui 150 solo nei recenti scontri nella regione di Martuni/Xoçavend (toponimo armeno e azero). Ciò porta a gravi rischi per l’intero ecosistema dell’area, inclusa la contaminazione dei corsi d’acqua, della fauna e dei terreni coltivabili.

Altrettanto grave è il danno umano che ha prodotto questo conflitto. Il governo azero ha rilevato che circa 40 mila persone sono temporaneamente sfollate a seguito degli ultimi scontri, mentre, secondo il ministero degli Esteri armeno, circa 90 mila persone hanno abbandonato il Nagorno-Karabakh e sono attualmente rifugiate in Armenia. Nell’accordo siglato fra Baku, Erevan e Mosca, all’UNHCR è affidata la supervisione del ricollocamento dei rigufiati di guerra. Ciononostante, alcuni interrogativi restano su quali di questi sfollati avrà effettivamente diritto a tornare nelle legittime case, e sugli eventuali conflitti di proprietà che potrebbero insorgere fra gli sfollati del primo e del secondo conflitto. Sul fronte delle vittime, le autorità di Baku hanno riportato un totale di 91 civili azeri uccisi e 405 feriti dall’inizio del conflitto il 27 settembre, mentre dal lato armeno i civili uccisi ammontano a 54, 148 i feriti. Per quanto riguarda le vittime nei rispettivi contingenti militari, se da un lato l’Azerbaigian ancora non fornisce dati ufficiali, tra le forze armene si registrano 1302 caduti.

La relativa pace raggiunta si scontra con i molti interrogativi riguardo quello che sarà del destino del popolo armeno e azero. Per adesso, ciò che unisce Baku e Erevan è il risentimento e la sfiducia reciproca e verso la comunità internazionale, oltre che la ricerca di una pace perpetua dalla devastazione della guerra.

 

Immagine: Sergey Ponomarev, The New York Times.

Chi è Marco Alvi

Laureatosi in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali al L'Orientale di Napoli, continua i suoi studi magistrali al corso di Interdisciplinary Research and Studies on Eastern Europe (MIREES) dell'Università di Bologna. Si interessa da lungo tempo di Caucaso e conflitti etnici, a cui si aggiungono diverse esperienze pratiche nella regione caucasica. Dopo aver vissuto in Russia e in Azerbaigian, inizia a scrivere per East Journal occupandosi di sicurezza energetica, conflict resolution e cooperazione tra Caucaso, Mar Nero e Mediterraneo orientale.

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