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BIELORUSSIA: Come cambiano i rapporti con i paesi baltici

Se da un lato il Cremlino appare come l’unico interlocutore a cui il governo di Lukashenko possa rivolgersi nel tentativo di trovare una possibile soluzione alla crisi sociopolitica in atto, dal canto suo, Minsk sembra rappresentare l’ultimo alleato all’interno del Vecchio Continente su cui il governo russo può contare – motivo per cui quest’ultimo si è dimostrato segnatamente indisposto a tollerarne un’eventuale uscita dalla propria orbita di influenza

Sebbene Mosca ricopra una posizione di grande rilievo geo-strategico lungo il vettore orientale della politica estera bielorussa, essa non è tuttavia l’unica pedina con la quale Minsk sia tenuta, volente o nolente, a confrontarsi. Il versante occidentale dello scacchiere euroasiatico, sul quale Lukashenko ha intavolato un delicato gioco di bilanciamento dei poteri, ospita un gruppo di tre attori, il cui peso negoziale, benché minimo relativamente a quello russo, riveste una sostanziale importanza per i piani strategici di Minsk. Di questa triade fanno parte Tallinn, Riga e Vilnius.

L’importanza strategica di Estonia, Lettonia e Lituania per Minsk

In ragione della sua posizione geografica, la rotta baltica riveste un ruolo strategico per la Bielorussia. Essendo quest’ultima un paese senza sbocchi sul mare, i porti baltici (in particolare quelli di Lettonia e Lituania) rappresentano la via d’accesso preferenziale ai mercati continentali. Essi fungono infatti da canale di transito per le merci bielorusse dirette verso paesi terzi, nonché per importazioni alternative di petrolio. Motivo per cui negli ultimi anni, sulla scia del tentativo di Minsk di emanciparsi dalla dipendenza commerciale ed energetica russa, l’importanza di questa direzione stava ricevendo una crescente attenzione da parte del governo bielorusso.

Tale tendenza è stata sottolineata lo scorso gennaio, quando Minsk ha deciso di acquistare 80.000 tonnellate di petrolio norvegese dopo aver mancato di negoziare un nuovo contratto di importazione con Mosca. In quell’occasione, la capitale bielorussa scelse il porto lituano di Klaipeda come punto di ingresso più vicino per consegnare il greggio alla raffineria di Navapolatsk (nell’oblast settentrionale di Vitebsk).

La decisione di Lukashenko di diversificare le forniture energetiche, unitamente al deterioramento delle relazioni col Cremlino, stava così offrendo a Minsk ulteriori opportunità di riavvicinamento con Vilnius. Opportunità che, nonostante le rinnovate tensioni politiche legate alla questione della centrale nucleare di Astravyets, sembravano venir accolte positivamente dal neoeletto presidente lituano Gitanas Nauseda. L’agenda politica di quest’ultimo, infatti, mirava a superare l’eredità della presidenza Grybauskaitė di rapporti congelati. Tanto è vero che nel dicembre 2019, durante l’annuale conferenza organizzata dal Centro Studi per l’Europa Orientale, Nauseda aveva riconosciuto pubblicamente che isolare Minsk non si era dimostrata una mossa conveniente e che la Lituania avrebbe dovuto tentare di ricostruire nuovi legami con le autorità bielorusse. Ciò avrebbe potuto portare a una svolta nei rapporti bilaterali tra i due paesi.

Il conflitto sui prezzi di petrolio tra Bielorussia e Russia stava offrendo un nuovo impulso anche alla comunicazione tra Minsk e Riga, la quale si era mostrata disponibile a garantire la via lettone come canale alternativo per le importazioni di petrolio non russo. A fronte delle dichiarazioni di Vilnius di sospendere l’acquisto di energia elettrica bielorussa dopo la completa costruzione dell’impianto nucleare di Astravyets – una mossa che avrebbe causato seri problemi a Riga, dato che l’unica strada per l’elettricità in arrivo in Lettonia passa per la Lituania – preservare questa rotta di transito era diventata una questione di principio per il governo lettone. Alla luce di questi incentivi e considerati i vari programmi e iniziative dell’Unione Europa nei quali Bielorussia e Lettonia co-partecipano (la cooperazione trans-frontaliera, il partenariato orientale e l’Euroregione), vi era la probabilità che tra Minsk e Riga la collaborazione economica si sarebbe intensificata nel prossimo futuro.

Per quanto riguarda l’Estonia, nonostante essa si trovi al di fuori del fulcro principale della politica regionale bielorussa (i due non condividono un confine comune e i loro scambi reciproci sono meno intensi di quelli che Minsk intrattiene con Lettonia e Lituania), Minsk aveva recentemente iniziato a considerare i porti estoni come una prospettica rotta di transito all’interno dei suoi piani di diversificazione commerciale. Inoltre, un’area importante per l’impegno bielorusso-estone è da tempo quella di garantire un dialogo costruttivo con Tallinn al fine di promuovere gli interessi di Minsk in ambito comunitario e realizzare i progetti previsti dall’iniziativa di partenariato.

La crisi in atto: possibili sconvolgimenti geopolitici 

Alla luce dei rinnovati episodi di repressione e impazienti nei confronti di un blocco euro-atlantico troppo cauto, lo scorso lunedì 31 agosto i tre stati baltici si sono schierati in supporto di nuove e giuste elezioni a Minsk. Sollevando la questione in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i capi di governo di Estonia, Lettonia e Lituania hanno così convenuto l’imposizione di sanzioni ai danni di Lukashenko e dei suoi funzionari accusati di aver contribuito ai brogli elettorali e alle violenze indiscriminate contro i manifestanti.

La controparte bielorussa non ha accolto positivamente la posizione delle tre repubbliche baltiche, esprimendo fin da subito una sincera disapprovazione e minacciando l’adozione di contro-sanzioni come misura di ritorsione. Secondo quanto dichiarato, Lukashenko ha promesso di scindere le rotte di transito europee reindirizzando i flussi commerciali dai porti lituani verso quelli di Ust-Luga e Primorsk, nell’oblast di Leningrado. Indubbiamente, si tratta di una decisione favorevole al Cremlino, che potrà sfruttarla a proprio vantaggio in sede negoziale.

La posta in gioco per Lukashenko

Di recente, tuttavia, Minsk si era espressa contrariamente rispetto alle pressioni di Mosca sul re-indirizzamento delle rotte. In primis, Ust-Luga è due volte più distante di Klaipeda e i costi di transito sul territorio russo, nonché di utilizzo del porto sono decisamente più elevati. In secondo luogo, la Bielorussa aveva essa stessa investito considerevoli risorse finanziare nella rotta lituana, le quali andrebbero perse in caso di un’eventuale chiusura.

L’impatto geopolitico di un’eventuale decisione si estenderebbe ben oltre le relazioni bilaterali tra Minsk e Vilnius. Tra i paesi più colpiti potrebbe trovarsi l’Ucraina – un timore espresso anche dal ministero delle infrastrutture –, la quale dipende dall’accesso ai porti lituani per una parte significativa del suo commercio con l’Unione Europea, che è oggi il principale partner economico del paese. Chiudendo la rotta lituana (nella quale la Bielorussa aveva essa stessa investito ingenti risorse), Minsk recherà sicuramente danno a Vilnius, ma rischia di danneggiare anche se stessa e le proprie relazioni economico-strategiche con Kiev. Infine, attraverso i porti lituani, la Bielorussa riceve petrolio dagli Stati Uniti; sarà dunque molto improbabile che questi re-indirizzino le spedizioni di oro nero verso i porti russi, i quali, ad ogni modo, potrebbero non essere operativi fino al 2024.

Prospettive future

I costi di un’eventuale chiusura della rotta baltica suggeriscono che sia improbabile che Minsk riorienterà i flussi commerciali dai porti baltici a quelli russi, quantomeno senza una garanzia economica da parte del Cremlino. Considerando le circostanze attuali, la capacità di Mosca di risanare appieno le potenziali perdite di Minsk appare tuttavia dubbia. Cionostante, qualora Lukashenko dovesse trovarsi con le spalle al muro, esso potrebbe non avere altra scelta che tendere la mano a Putin, seppur a caro prezzo.

 

Immagine: The Baltic Review

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