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BIELORUSSIA: “Se la Bielorussia crolla, la Russia sarà la prossima”. Come Lukashenko minaccia Putin

A un mese e una settimana dalle elezioni presidenziali in Bielorussia, continua la lotta del presidente Lukashenko per mantenere il potere. Oggi Lukashenko è volato a Sochi in Russia per incontrare per la prima volta dalle elezioni e dall’inizio delle proteste l’alleato di sempre Vladimir Putin, mentre le manifestazioni di dissenso non accennano a fermarsi.

Ieri l’ultima manifestazione, denominata “Marcia degli Eroi”, ha visto la partecipazione di oltre 100.000 persone solo a Minsk. Non sono mancati gli ormai usuali arresti e violenze sui manifestanti, perpetrati anche da figure a volto coperto senza divisa. Mentre la speranza che le proteste in qualche modo si risolvano da sole sembra ormai lontana, Lukashenko si concentra da una parte sull’assicurarsi il sostegno della Russia, e dall’altra sull’eliminare la leadership del Consiglio di Coordinamento, formatosi dopo le elezioni dagli esponenti dell’opposizione.

Di cosa hanno parlato Putin e Lukashenko

Durante l’incontro di oggi, durato venti minuti e a cui ha fatto seguito un incontro a porte chiuse di quattro ore, Putin e Lukashenko hanno discusso delle proteste in Bielorussia, delle alleanze tra i due paesi, della collaborazione economica e militare e del coronavirus. Riguardo alle proteste, Putin ha sottolineato come le Bielorussia dovrà risolvere la propria situazione interna “senza influenze” esterne, mentre Lukashenko ha chiesto a Putin di non ascoltare quello che dicono i media: i suoi cittadini in realtà organizzano delle “marce” per la città durante il weekend, per loro “viene fatto largo perché possano passare” e, se esiste una “linea rossa”, questa non è mai stata oltrepassata.

Putin ha poi affermato che per la Russia la Bielorussia è un alleato fondamentale, sia nell’ambito dell'”Unione Statale” (il processo di integrazione tra Bielorussia e Russia), sia del CSTO (l’alleanza difensiva che unisce sei nazioni della CSI). Anche Lukashenko ha sottolineato l’importanza dell’alleanza tra i due paesi in quanto “popoli fratelli, di fatto un solo popolo” e la necessità di condividere le “lezioni” che la Bielorussia ha imparato durante le proteste con gli altri paesi dello spazio post-sovietico. Putin ha poi aggiunto che la Russia è non solo alleato della Bielorussia, ma anche uno dei maggiori investitori nel paese e per questo concederà un prestito di 1,5 milioni di dollari in questi “tempi difficili”. 

Dopo aver promesso che la Bielorussia sarà il primo paese a ricevere il vaccino russo per il coronavirus, Putin e Lukashenko hanno poi concordato sulla collaborazione tra i due paesi anche dal punto di vista militare, ricordando le esercitazioni militari congiunte che si stanno svolgendo in questi giorni in Bielorussia. Queste esercitazioni continueranno come deciso, visto che secondo Lukashenko la NATO avrebbe a sua volta posto un battaglione in Lituania a 15 chilometri dal confine, senza “aspettare” che la situazione “un po’ complicata” venisse risolta.

L'”usurpatore” e suo “fratello maggiore”

In un appello di questa mattina al presidente russo, la leader dell’opposizione Svetlana Tichanovskaja aveva sottolineato come l’incontro con Putin non avesse alcun valore legale in quanto Lukashenko non è il presidente legittimo della Bielorussia; si è anzi rivolta direttamente a Putin: “mi dispiace che Lei abbia scelto di dialogare con un usurpatore, invece che con il popolo.”

Nonostante l’opposizione dei mesi scorsi da parte di Lukashenko a una maggiore integrazione con la Russia, Putin aveva infatti subito mostrato il suo supporto al presidente bielorusso, riconoscendone la vittoria alle elezioni, offrendo supporto militare per tenere sotto controllo le proteste e mandando a Minsk un contingente di giornalisti russi, al fine di sostituire i giornalisti licenziatisi in massa dai media di stato per protesta.

Primo risultato della presenza di tali giornalisti è stata una lunga intervista al presidente bielorusso in cui, tra le altre cose, Lukashenko accusa i protestanti di nascondersi dietro a donne e bambini “come fascisti” e di disegnarsi lividi e ferite, nonché avvisa il “fratello maggiore” Putin di stare attento ai canali Telegram, che sono “sotto controllo degli americani”. “Se crolla la Bielorussia, la Russia sarà la prossima”, tuona Lukashenko nel corso dell’intervista, sapendo bene di toccare un tasto dolente per Putin, per il quale il pensiero che il presidente di un paese così vicino possa essere deposto da proteste di piazza fa paura.

Solo un membro dell’opposizione è ancora in libertà

Mentre tenta di assicurare il sostegno di Putin, in patria la priorità di Lukashenko rimane quella di fermare le proteste, non solo continuando ad arrestarne i partecipanti, ma anche “decapitandole” della propria leadership. Dei sette membri alla guida del Consiglio di Coordinamento, ne rimane oggi in libertà e in patria solo uno, la scrittrice premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievich. Degli altri sei membri, due (Pavel Latushko e Ol’ga Koval’kova) sono stati costretti ad abbandonare il paese, tre (Maksim Znak, Lilija Vlasova, Sergej Dyljevskij) sono sotto arresto.

Dal 9 settembre è sotto arresto anche una delle tre leader principali della protesta, Marija Kolesnikova. Kolesnikova era scomparsa due giorni prima, quando testimoni l’avevano vista mentre veniva costretta a salire su un minibus nel centro di Minsk insieme ai colleghi Ivan Kravtsov e Anton Rodnenkov. Secondo quanto raccontato dagli stessi, Kravtsov e Rodnenkov sarebbero stati costretti sotto minaccia a portare Kolesnikova in Ucraina. Kolesnikova però, una volta capito cosa stesse succedendo, avrebbe preso il proprio passaporto per strapparlo in mille pezzi, impedendo così di essere portata fuori dalla Bielorussia. Kolesnikova è stata dunque arrestata e portata in carcere a Minsk, dove si trova tutt’ora, per “esortazione alla presa di potere”.

Si è salvata finora dunque solo Aleksievich, che ha recentemente scritto un commovente appello all’”intelligentsia” russa invitandola a “non tacere” su quanto sta accadendo in Bielorussia; lei stessa ha cominciato a ricevere telefonate anonime e visite di sconosciuti. A protezione della scrittrice, sono giunti al suo appartamento una cinquantina di persone, tra cui gli ambasciatori delle repubbliche baltiche, Austria, Romania, Francia, Repubblica Ceca, Svezia, Italia, Germania.

Un gesto che, insieme ad altri come il riconoscimento da parte della Lituania di Tichanovskaja come presidente legittimo della Bielorussia, fa sperare in un maggiore coinvolgimento dell’Europa nella crisi. Intanto però, oltre a comunicati stampa e a minacce di sanzioni (che questa settimana sono state bloccate dal veto di Cipro), il ruolo dell’Unione Europea rimane per ora a malapena simbolico, lasciando il “fratello maggiore” Putin unico attore internazionale sulla scena politica bielorussa, come conferma l’incontro di oggi.

Foto: world.segodnya.ua

Chi è Martina Bergamaschi

Laureata in Interdiscilplinary Research and Studies on Eastern Europe all'Università di Bologna, lavora nel campo della cooperazione internazionale, al momento nell'est dell'Ucraina. Per East Journal scrive soprattutto di Russia, dove ha vissuto per due anni tra Mosca, San Pietroburgo e Kirov.

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