CULTURA: La giovane esistenza di Jan Palach nel libro di Jiri Lederer

Jiří Lederer
Jan Palach. La vita, il gesto e la morte dello studente ceco
Schena editore, Fasano 2019
trad. dal ceco di Tiziana Menotti
introduzione di Alessandro Vitale
pp. 204, euro 18.00

Jiří Lederer quel giorno si trovava a Brno per un incontro della direzione dell’Unione dei giornalisti. Era il 16 gennaio 1969 e, verso sera, giunse alla redazione del quotidiano locale una notizia ancora confusa quanto drammatica su uno studente che si era dato fuoco in piazza Venceslao a Praga. Nel clima sospeso fra concitazione e annichilimento che attraversava la Cecoslovacchia sottoposta alla grigia normalizzazione, la notizia gettò la nazione in un vortice di domande aperte. Jiří Lederer pubblicò un articolo su «Reportér» il 23 gennaio, in cui definiva il gesto dello studente di filosofia Jan Palach non un suicidio o un atto disperato bensì «un gesto dimostrativo, un invito ad agire per il raggiungimento di una vita libera e dignitosa».

Il coinvolgimento del giornalista fu chiaro fin da subito così come quello di centinaia di migliaia di cittadini, che parteciparono in massa alle esequie tenutesi a Praga il 25 gennaio. Nell’estate dello stesso anno Jiří Lederer fu contattato dal direttore della casa editrice Novinář, che gli chiese se fosse disposto a scrivere un libro sulla breve, ma intensissima esistenza di Jan Palach. Lederer accettò immediatamente, anche se la situazione politica generale e le sue condizioni personali, tra cui tre lunghi periodi in carcere, gli impedirono di scriverlo subito. Iniziò a lavorarci nell’estate del 1974, mettendo insieme le testimonianze che era stato in grado di raccogliere e i pochi scritti lasciati da Palach. Lo terminò nel 1981 in esilio in Germania ovest, ma sarà pubblicato in patria solo nel 1990; in traduzione tedesca uscirà in Svizzera nel 1982.

La biografia, oggi tradotta in Italia da Tiziana Menotti, attinge alle testimonianze del fratello e della madre di Jan, il padre era morto quando il ragazzo aveva solo tredici anni, dei colleghi di università e dei coinquilini nelle due case dello studente dove visse. Ne esce un ritratto il più possibile fedele a chi fu realmente Palach, lontano da ogni tentazione agiografica e attento a particolari dell’infanzia e dell’adolescenza marginali, ma non insignificanti. Non studente eccellente, ma appassionato di storia e biologia, fin da piccolo si distingueva per un senso innato della giustizia e una rara sensibilità, che coltivò durante gli studi liceali e universitari. Nella sua breve esistenza partecipò a tre brigate di lavoro: due in Unione Sovietica, dove non mancò di protestare contro il vitto di scarsa qualità e gli orari di lavoro eccessivi, e una in Francia, presso una fattoria, nell’autunno successivo all’invasione del 20 agosto 1968. Se dalle testimonianze e dai suoi pochi scritti non si può ricavare l’immagine di un giovane impegnato in un preciso percorso politico, non si trae neppure l’idea di uno studente indifferente. Molto solerte negli studi, poco propenso allo svago, si intratteneva con entusiasmo in discussioni a sfondo politico e sociale e non perdeva occasione per ribadire le sue convinzioni sull’uguaglianza fra tutti gli esseri umani: fa fede di questo una sgualcita copia della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ritrovata fra le sue cose.

Estremamente colpito dall’invasione sovietica, non tollerava l’immobilismo della normalizzazione e fu per questo che incontrò coetanei, partecipò a manifestazioni e dibattiti, dove maturò, non in solitudine, l’idea  della sua autoimmolazione di metà gennaio. Il significato profondo del suo gesto, cui ne seguirono altri analoghi, sta tutto nel testo delle lettere che spedì poche ora prima di recarsi sotto il Museo Nazionale e che ebbero una lunga gestazione, ampiamente illustrata da Lederer. Ciò che lui, la Torcia n. 1, chiedeva era sostanzialmente l’abolizione della censura oltre al divieto di diffondere la rivista «Zprávy», organo delle unità sovietiche di occupazione.

La lettura di questa accurata biografia appagherà gli appassionati di storia dell’Europa centro orientale e di quel particolare periodo che andò dalla primavera del ’68 all’inverno del ’69. Deluderà quanti cercano nella persona di Jan Palach collegamenti con movimenti culturali o religiosi cui lui mai appartenne, nessuna notizia certa si ebbe neppure sul gruppo di volontari pronti a darsi fuoco, citati nelle lettere di congedo, ma sicuramente farà da argine a quell’odioso, quanto fraudolento tentativo di arruolare la sua figura tra le file delle formazioni di estrema destra.

Chi è Donatella Sasso

Laureata in Filosofia con indirizzo storico presso l’Università di Torino. Dal 2007 svolge attività di ricerca e coordinamento culturale presso l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino. Iscritta dal 2011 all’ordine dei giornalisti. Nel 2014, insieme a Krystyna Jaworska, ha curato la mostra Solidarność nei documenti della Fondazione Giangiacomo Feltrinelli di Milano. Alcune fra le sue ultime pubblicazioni sono: "La guerra in Bosnia in P. Barberis" (a cura di), "Il filo di Arianna" (Mercurio 2009); "Milena, la terribile ragazza di Praga" (Effatà 2014); "A fianco di Solidarność. L’attività di sostegno al sindacato polacco nel Nord Italia" (1981-1989), «Quaderni della Fondazione Romana Marchesa J.S. Umiastowska», vol. XII, 2014.

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