MACEDONIA: Cosa resta di Alessandro il Grande? La statua che fa arrabbiare Atene

Sulla strada che dalla bellissima Ocrida va quel assurdo barocco industriale che è Skopje una tappa obbligata è Bitola. La città non offre grandi attrattive, un viale pedonale buono per lo “stuscio” domenicale, tre antiche moschee oggi in fase di restauro, e autobus che Kyoto non sanno nemmeno dov’è. Ma non ci si deve ingannare: è stata una delle capitali culturali della Jugoslavia, chiamata “la città dei consoli” in epoca ottomana (a causa delle numerose sedi diplomatiche che ospitava) e, soprattutto, conserva alcuni resti dell’antica Heraclea Lyncestis fondata nientemeno che da Filippo di Macedonia, padre del mitico Alessandro.

In mezzo a una piccola piazza del centro un monumento ricorda i nobili natali della città. Una scritta fa riferimento al pater patriae Filippo, sui due lati un elmo da oplita ricorda il passato ellenico. Le moschee sullo sfondo fanno pensare a un ben diverso presente. Cosa c’entrano i macedoni di oggi con la genìa che fu dell’Alexandros? Più o meno quanto i francesi con Asterix e Obelix.

La vicina Grecia, che da vent’anni contesta il nome della piccola repubblica balcanica sostenendo che la Macedonia è una regione greca (a sud dell’omonimo stato), paventa improbabili rivendicazioni territoriali da parte di Skopje. Non si pensi che siano questioni di second’ordine. A causa di questa disputa la Macedonia non è ancora potuta entrare nella Nato né cominciare un percorso di adesione all’Unione Europea. E per il mondo intero la Macedonia si chiama Fyrom (Former Yugoslavia Republic of Macedonia).

L’eredità di Alessandro il Grande è anch’essa oggetto di disputa. Ecco che la recente costruzione, a Skopje, di un monumento dedicato all’eroe che a modo suo sciolse il nodo gordiano, non è piaciuta per nulla ad Atene. La statua in bronzo – costata 5,3 milioni di euro e realizzata dalla Fonderia artistica Ferdinando Marinelli di Firenze – porta il nome di “Guerriero a cavallo”, per non indispettire ulteriormente la vicina Grecia, ma i tratti del cavaliere lasciano pochi dubbi che si tratti in effetti di Alessandro il Macedone sul suo Bucefalo rampante.

Il monumento è stato ritenuto dalle autorità ateniesi “una provocazione” -alta ben 23 metri- ma la questione non sembra interessare troppo i cittadini greci, in preda a una crisi economica che non lascia il tempo di pensare a simili facezie. A Skopje c’è un’altra statua equestre, quella di Skanderbeg, l’eroe nazionale albanese. Skanderbeg, principe cristiano, combattè i turchi. Certo non li potè fermare per sempre ed oggi gli albanesi hanno preso dai turchi la religione, i costumi, le pietanze, e molti lessemi. Cosa c’entra Skanderbeg con gli albanesi di oggi? Più o meno quanto Alessandro con i macedoni, Obelix coi francesi o i greci col pelide Achille. Gli albanesi sono però quasi il 20% della popolazione in Macedonia.

A essere interessante è quindi processo di “costruzione” di un’identità macedone dopo la caduta dello stato jugoslavo. Un’identità che deve tenere insieme le glorie del passato e le contraddizioni del presente, le divisioni etniche, e magari essere appetibile per l’industria del turismo che in Macedonia è ancora timida malgrado le grandi bellezze e la cordialità delle persone. A quando le t-shirt dei due eroi nazionali al galoppo verso un futuro migliore?  Il fatto è che il mito alessandrino piace soprattutto ai nazional-conservatori guidati dal premier Gruevski, facile quindi sospettare che la statua del Grande possa servire alla costruzione di un’identità “divisa”. Il rischio che i due cavalieri, Skanderbeg e Alessandro, incrocino le spade per le vie del centro ottomano non è da escludersi del tutto ma ci piace pensare che di nuovo Alessandro saprà risolvere il nodo a modo suo, con un taglio secco, andandosi e bere un boccale di idromele insieme a Skanderbeg e Obelix.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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