Eugenio Benetazzo: "Il default negli Usa non avverrà mai". L'Italia? "Meglio commissariata"

“Lo shutdown avrà un fortissimo impatto reale sulla vita quotidiana di tanti americani. Rimarranno senza stipendio, ma dovranno pagare le bollette e i mutui”. Con queste parole il presidente degli Stati Uniti Barack Obama spaventava gli americani riguardo al rischio di fallimento. Si è partiti da qui, dallo sfiorato default degli Usa, e si è finiti poi per parlare di sanità pubblica, di Europa e della situazione in Italia, passando ovviamente da Oriente, cioè dalla Cina.
Questo è quanto venuto fuori da una chiacchierata con Eugenio Benetazzo, economista indipendente che con le sue opinioni non ha mai paura di andare controcorrente. Negli anni si è affermato anche come un apprezzato e autorevole analista finanziario, avendo spesso previsto con largo anticipo alcuni scenari internazionali grazie alle sue spiccate capacità di “leggere” il panorama socioeconomico della nostra epoca.
Parlare con lui può essere spiazzante, proprio perché ogni volta sa concentrarsi sul punto davvero importante della questione, senza badare al fumo che sta intorno.

Benetazzo, gli Stati Uniti sono stati davvero vicini al fallimento?

Sì, ma ora questo tipo di rischio non c’è più perché il Congresso è intervenuto sul tetto del debito.

Ovvero ha alzato la cifra massima che il governo può chiedere in prestito per finanziare le sue spese. Ma è un limite che gli Usa ritoccano pressoché ogni anno. Non è in fondo una specie di trucco finanziario?

No assolutamente, non esistono trucchi qui. Si tratta di un dispositivo che richiede l’approvazione del governo e che permette all’amministrazione federale di prendere più soldi in prestito. E finché l’alzamento del tetto non è stato legalmente approvato, negli Stati Uniti rimane tutto fermo.

Come si sta muovendo la Cina in questo scenario? Ricordiamo che la Cina, dopo il Giappone, è il paese che ha la maggior esposizione sul debito pubblico americano.

Il nuovo presidente Xi Jinping sta lavorando su un modello che si basi anche sullo sviluppo industriale, non solo sull’industria manifatturiera. Si sta lavorando anche sulla crescita del mercato interno e l’attrazione di investitori stranieri, in special modo per quanto riguarda le nuove tecnologie. Insomma, Xi Jinping sta traghettando l’economia cinese da un modello basato sull’esportazione a uno basato sui consumi interni.

Tornando in America, molti dicono che questo accordo avvenuto fra democratici e repubblicani sia solo un compromesso che ritarderà il fallimento di qualche mese.

Il default negli Stati Uniti non avverrà mai. Credo che sia proprio un’eventualità che è stata messa al bando. In Italia se ne è parlato parecchio e spesso male, molte volte perché non ci sono corrispondenti che coprono bene le notizie, ma si limitano a fare copia e incolla. Comunque al momento quella del default non è proprio un’eventualità contemplata. Agli americani è bastato vedere cosa è successo per il fallimento della Lehman Brothers, cinque anni fa…

Dunque?

Quindi è inutile parlare di shutdown, è una perdita di tempo. Sarebbe come parlare della semifinale dei mondiali mentre stanno giocando la finale.

Parliamo della finale, allora.

È sull’ObamaCare che si gioca la partita. Grazie a questa riforma circa 38 milioni di statunitensi potranno avere una copertura sanitaria, a differenza di quello che avveniva prima. Ma a una buona fetta di popolazione tale impostazione “socialista” della faccenda non è affatto piaciuta. L’americano “medio” è contento del proprio sistema sanitario, un sistema dove se paghi tanto hai tanto, e se paghi poco hai di meno.

In Italia sarebbe impensabile una riforma in tal senso.

Lasci stare quello che dicono in Italia. Mentre noi ci chiediamo: “Ma come fanno negli Usa ad accettare un sistema sanitario del genere?”, in America si fanno la stessa domanda su di noi. “Ma com’è possibile – si chiedono – che il contribuente accetti di pagare una quota rilevante dal punto di vista percentuale, foraggiando un sistema dove tutti pagano per tutti?”.

E la soluzione quale sarebbe?

La mia proposta è quella di un sistema ibrido, dove siano garantiti dei livelli essenziali di assistenza, ma sia introdotta una “Health Tax”, cioè un’imposta in cui i cittadini sopra i 16 anni pagano in base a quanto gli stessi per ragioni induttive saranno imputati a generare nel corso degli anni. Siccome prevenire è meglio che curare, questo avrebbe un ricaduta positiva anche nella qualità della vità media dell’italiano. In pratica, più una persona si mantiene in forma con uno stile di vita il più possibile sano, meno pagherà di tasse sanitarie.

Da un po’ di tempo si paventa l’istituzione di un mercato unico euroamericano, il cosiddetto Transatlantic trade and investment partnership (Ttip). È un’ipotesi realizzabile? E per l’Italia quali sarebbero i benefici?

Sarebbe la naturale evoluzione della Comunità economica europea: unire le potenzialità di due mercati distanti tra loro ma non così diversi. Sarebbe un passo importante soprattutto per contrastare l’imponente crescita e l’ingerenza in Europa di alcuni mercati asiatici. Per quanto riguarda l’Italia, invece, è difficile dire qualcosa, visto che il Paese sarà probabilmente commissariato dalla Ue nei prossimi mesi.

Come dice, scusi?

Non lo dico io. Sono questioni che sono sollevate dagli organismi sovranazionali a Bruxelles. Se il governo Letta non ha il coraggio di prendere le strade per le riforme necessarie al Paese, dovrà intervenire l’Europa. “Commissariamento” forse è un termine impreciso. Si tratta in realtà dell’applicazione del piano di intervento studiato dalla Comunità Europea lo scorso anno, strutturato per proteggere la sopravvivenza della Comunità stessa.

Sembra di capire che sia una cosa positiva, dal suo punto di vista.

In Italia si pensa solo alle leggi di stabilità. Ma in Europa si aspettano da noi degli interventi strutturali sulla spesa pubblica che vadano a incidere profondamente sull’economia italiana. A questo punto, io mi auguro che avvenga davvero questo “commissariamento”: servirebbe per cambiare qualcosa. Meglio un intervento esterno che continuare con questi governi che non hanno il coraggio di andare nella direzione necessaria perché sono ostaggio delle lobby.

Chi è Valerio Pierantozzi

Giornalista professionista, sono nato a San Benedetto del Tronto nel 1980, ma sono pescarese di adozione. Ho passato 20 anni della mia vita a scuola, uscendo finalmente dal tunnel nel 2006 con una laurea in Filosofia. Amo il mare, il sole, le spiagge e odio il grigiore, le nubi, il freddo. Per questo nel 2014 mi sono trasferito in Svezia. Da grande vorrei essere la canzone “Night” di Sergio Caputo.

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Un commento

  1. Ha mai pensato, egregio Benettazzo, che un default USA colpirebbe più duramente il resto del mondo che gli Stati Uniti, il consumatore di ultima istanza? Dice giustamente che la Cina prova a darsi un mercato interno (e mi paiono davvero lontani, anche per scelte storiche di gestione del potere, un pò come da noi), ma per il momento non ne ha assolutamente di adeguato.
    Ha però moltissimi titoli del debito americano… e se per caso fosse un segnale, al di là di ogni health care, a non esagerare, rivolto al blocco Russia – Cina – Iran che tanti grattacapi da agli States? Non lo escluderei così nettamente, al suo posto. Resta improbabile, ma non è una pistola scarica.
    Infine, in Italia siamo arrivati a finanziarie senza copertura reale, solo sperata, per quasi metà del totale delle spese previste. Ha ragione lei, ma non so se un commissariamento farà a tempo ad impedire un’implosione inevitabile: il paese è troppo arretrato, dovrà collassare per riprendersi su basi nuove. La continuità sarà assai ardua.

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