BIELORUSSIA: Lukashenko e UE tornano a parlarsi. Effetti collaterali della crisi ucraina

L’Unione Europea e la Bielorussia tornano a parlarsi. Lo fanno per mezzo di Johannes Hahn, commissario europeo per la politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento, che si è recato in visita nella capitale bielorussa nell’ambito del Partenariato Orientale, progetto che mira a promuovere la cooperazione tra UE e diversi paesi ex-sovietici. Obiettivo del viaggio, secondo la delegazione europea a Minsk, era quello di valutare le condizioni per un potenziale riavvicinamento politico tra Bruxelles e il governo di Aleksandr Lukashenko.

Ma cosa è cambiato nel paese da quando, nel 2010, le elezioni presidenziali si conclusero con la brutale repressione di una manifestazione di protesta e con l’arresto di circa seicento persone (tra cui sette dei nove candidati avversari) e suscitarono lo sdegno – e una serie di sanzioni – da parte dell’UE? Poco o nulla, almeno sul piano della politica interna: i prigionieri politici restano in carcere e le prossime elezioni, ormai alle porte, non si annunciano certo più democratiche delle precedenti. C’è però un motivo per cui l’UE torna a dialogare con “l’ultima dittatura d’Europa”: dall’inizio della guerra in Ucraina, infatti, Lukashenko ha saputo imporsi con efficacia come mediatore tra le parti, ospitando a Minsk, a settembre e febbraio, i negoziati che portarono alla firma dei due noti accordi per la risoluzione del conflitto.

Ciò posto, non sono solo gli accordi di Minsk a incidere su questo cambio di strategia. Un altro fattore rilevante è con ogni probabilità il raffreddamento dei rapporti tra Lukashenko e Putin, il cui sintomo più evidente sono alcune delle decisioni assunte dal governo bielorusso dall’inizio del conflitto: la condanna dell’annessione della Crimea alla Russia, il rifiuto d’introdurre un blocco alle importazioni di prodotti alimentari provenienti da paesi UE e, dulcis in fundo, la vendita di armi ed equipaggiamenti all’Ucraina. Ed è così che Lukashenko torna ad essere un interlocutore credibile. In fondo, come ha dichiarato in un’intervista pubblicata su Bloomberg: “There are dictators a bit worse than me, no? I’m the lesser evil already.”, riferendosi indirettamente alla sua controparte russa o magari azera.

Insomma: se dal punto di vista geografico la Bielorussia si trova proprio al confine tra Russia e Unione Europea, ciò pare riflettersi anche sul piano politico. Nella sua ventennale esperienza alla guida del paese, Lukashenko ha dimostrato di essere perfettamente in grado di giocare contemporaneamente su più tavoli (con qualche sporadico passo falso) e di essere ben disposto a dare ascolto a coloro in grado di procurargli i maggiori benefici. Gli avvenimenti in Ucraina orientale gli hanno offerto la possibilità di uscire dall’isolamento diplomatico e di ricucire i rapporti con l’UE. Ma non solo: quando Lukashenko dichiara che nessuna pace è possibile in Ucraina senza il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, lo fa con un occhio diretto verso Mosca.

È lecito pensare che la situazione internazionale e, in particolare, l’attuale fragilità dell’economia russa siano motivo di preoccupazione per il presidente bielorusso: la Russia, come mostra il grafico, rappresenta il principale partner commerciale del paese. E c’è anche in ballo un prestito da due miliardi di dollari che Putin ha concesso al suo (non poi così fedele, dopotutto) alleato. È forse per allentare questa situazione di dipendenza che, a margine del suo incontro con Johannes Hahn, Lukashenko ha suggerito che il progetto del Partenariato Orientale dovrebbe concentrarsi più sui temi della cooperazione economica e meno su quelli politici.

Qualcuno, inoltre, ipotizza che Lukashenko abbia paura che nel suo paese possa ripetersi ciò che oggi sta accadendo in Ucraina. Negli anni ’90, tuttavia, era lo stesso presidente bielorusso a ventilare l’ipotesi di un’unione tra il suo paese e la Russia in una federazione di stati, con il progetto (mai pienamente realizzato) dell’Unione Statale. Nella stessa direzione andava tanto l’introduzione del russo come seconda lingua ufficiale del paese quanto la postura marcatamente antinazionalista adottata da Lukashenko nella prima decade della sua presidenza.fettNel 2003, come segnala Natalia Leshchenko, divenne chiaro che qualsiasi discorso d’integrazione tra Bielorussia e Russia avrebbe potuto darsi solo con l’annessione della prima alla seconda, con ovvie ripercussioni sul potere e il prestigio personale di Lukashenko: così il governo cominciò ad introdurre nella sua retorica alcune parole-chiave come “sovranità nazionale”. La stessa a cui s’appella oggi, quando – sempre insistendo sui buoni rapporti col vicino russo – promette battaglia a chiunque attenti all’indipendenza del popolo bielorusso.

L’opportunismo di Lukashenko, insomma, è un fattore che non andrebbe sottovalutato. Il presidente bielorusso è un cliente difficile, un alleato capriccioso. Sul tavolo, nei dialoghi UE-Bielorussia, c’è una possibile facilitazione del regime dei visti. Questo, però, difficilmente potrà realizzarsi senza qualche passo in avanti nel paese sul tema dei diritti umani. Come afferma un articolo pubblicato su Belarus Digest, questo “nuovo Lukashenko” non è poi troppo diverso dal vecchio. E chissà che quest’ammiccamento a Occidente non sia solo un modo per aumentare il proprio potere contrattuale a est.

Nella foto: il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko incontra Johannes Hahn.
Fonte: http://president.gov.by/

Chi è Emmanuele Quarta

Italo-finlandese, classe '89. Laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali all'Università "Aldo Moro" di Bari, ha studiato Geopolitica all'Institut Français de Géopolitique (IFG) di Parigi e Analisi Politica all'Università Complutense di Madrid (UCM). Per East Journal si occupa prevalentemente di Russia e Bielorussia.

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Un commento

  1. Direi che la domanda (o sorpresa?) da porsi non sia tanto l’avvicinamento di Lukashenka all’EU, quanto “come mai un politico di così lunga navigazione ha deciso di prendere le distanze dalla Russia putiniana?”.
    Evidentemente i piccoli uomini in verde e i carri armati che scorrazzano hanno svelato che al di la dei mancati sorrisini, c’è solo una aggressiva politica di potenza e quelli più vicini la sentono più pericolosa.
    Un elemento è però importante da considerare: Lukashenka si può permettere di rendere pubblico lo strappo (vedi la non partecipazione alla parata moscovita) perché ha annusato che l’orso del Cremlino non è così potente: l’isolamento internazionale e i grossi problemi economici e sociali della Russia putiniana sono percepiti come sufficientemente handicappanti la capacità di reazione e repressione di Putin. Forse la vecchia volpe di Minsk vede cose che i commentatori internazionali non hanno ancora avvistato?

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