di Salvatore Greco
Quando nel 1962 Ryszard Kapuściński pubblicava il suo primo libro, Giungla polacca, Wojciech Jagielski aveva da poco imparato a parlare dal momento che allora aveva appena due anni. Eppure tra i due autori ci sono un’affinità stilistica e una continuità di spirito che è difficile pensare non abbiano condiviso mille viaggi e avventure. Ad animare entrambi non solo la militanza tra le file della leggendaria agenzia di stampa PAP ma anche reportage vissuti dagli angoli più sventurati del pianeta, teatri di guerra perlopiù, e raccontati con uno stile che non rinuncia alla prosa lavorata e persino a un certo lirismo quando l’occasione lo consente. Se di Kapuściński abbiamo la fortuna di poter leggere in italiano molto, se non quasi tutto, con Jagielski le fortune sono ancora ridotte a un paio di titoli, uno di questi è Vagabondi notturni.
Uscito in Polonia nel 2009 con il titolo di Nocni wędrowcy e in italiano nel 2014 per Nottetempo nella traduzione di Marzena Borejczuk, Vagabondi notturni è il racconto dell’esperienza di Jagielski come corrispondente in Uganda, ufficialmente sul posto per raccontare le elezioni presidenziali del 2006 che vedevano il presidente uscente Museveni candidarsi al suo terzo mandato dopo una riforma costituzionale voluta all’uopo per permetterglielo.
Ma nel racconto di Vagabondi notturni la contesa elettorale, per altro scontata, ha un peso assai relativo rispetto a un racconto più profondo dell’Uganda, del suo destino e delle storie dei protagonisti incontrati da Jagielski durante il suo viaggio. Nella sventurata geografia dell’Africa post-coloniale, l’Uganda si trova stretta tra il Ruanda del genocidio Tutsi, l’ex Congo belga teatro di dittature e ribaltamenti e il giovane Sud Sudan separatosi a forza dal grande Stato sul Nilo alla fine di un conflitto violentissimo, e del resto l’Uganda stesso non ha conosciuto meno sangue versato dei vicini con una guerra civile pacificata solo in parte ma che dura da più di trent’anni e che ha fatto -secondo gli osservatori internazionali- già più di ventimila vittime. Jagielski però non snocciola cifre, non si lancia in analisi geopolitiche e sul pedale della storia spinge con tocco sapiente e mai pedante, quello che basta per inquadrare un fenomeno la cui drammaticità vive al di fuori di ogni contesto.
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