La storia politica della Macedonia si trova ad una svolta. La netta vittoria del partito socialdemocratico (SDSM) alle elezioni locali dello scorso 15 ottobre rafforza un governo, quello guidato da Zoran Zaev, nato tra mille incertezze. Soprattutto, il disastro elettorale del partito di centrodestra VMRO-DPMNE potrebbe segnare definitivamente il destino politico dell’uomo che ha governato il paese per dieci anni, Nikola Gruevski. Quello che sembrava un potere indissolubile, fondato su un penetrante intreccio tra l’allora partito di governo e lo stato, si è clamorosamente sgretolato.
Tonfo dei conservatori
I risultati delle elezioni locali non lasciano dubbi. Sugli 81 comuni in cui si è votato, solo tre sono stati conquistati dalla VMRO di Gruevski, che ha perso storiche roccaforti, nonché la capitale Skopje. Il secondo turno difficilmente cambierà tale tendenza. Questi dati sono stati uno shock per i conservatori, che speravano di sfruttare le elezioni locali per indebolire il governo Zaev, in carica da giugno, e riaprire i giochi. Al contrario, sono diventate l’ennesimo, forse decisivo, tassello del crollo del blocco di potere che ha controllato la Macedonia dal 2006, impersonato dal leader del partito ed ex-primo ministro Gruevski.
La fine del dominio VMRO
Questo crollo è iniziato con lo scoppio dello scandalo delle intercettazioni del febbraio 2015 ed è continuato in crescendo, attraverso le proteste popolari anti-governative, l’accordo tra VMRO e SDSM per un governo provvisorio grazie alla mediazione europea, il pareggio tra i due partiti alle elezioni del dicembre 2016 e la nascita a giugno, dopo sei mesi di stallo, di un governo formato da SDSM e partiti della comunità albanese. Un susseguirsi di eventi che ha sgretolato quello che sembrava un blocco di potere granitico.
Un blocco retto anche, se non soprattutto, su clientelismo, corruzione, controllo degli apparati dello stato e dei mezzi di informazione. Il tutto condito da una retorica nazionalista utile per distogliere l’attenzione della popolazione dalle difficoltà economiche, ma capace di isolare sempre di più la Macedonia sullo scenario internazionale. Un isolamento ben rappresentato dalla totale assenza di progressi nell’integrazione euro-atlantica del paese, ormai arenatasi da anni.
Non è un caso che questo sistema ha iniziato ad indebolirsi quando il partito ha perso il controllo totale dello stato e dei suoi organi. Se già lo scandalo intercettazioni aveva scalfito l’immagine dell’esecutivo, le dimissioni di Gruevski ad inizio 2016 e la sostituzione di figure chiave nell’apparato statale e governativo hanno segnato una perdita di potere rilevante.
Gruevski e gli scandali
A questo si è affiancato un costante indebolimento personale dell’ex-premier, alle prese con gli scandali giudiziari legati alle indagini della procuratrice speciale, che ha iniziato ad operare proprio a seguito degli accordi tra VMRO e SDSM. Accusato di violazione delle leggi sul finanziamento delle campagne elettorali e di intercettazioni illegali nell’ambito di ben cinque processi (insieme a diversi esponenti del suo partito e della sua famiglia), l’ormai ex padre-padrone del paese è rimasto addirittura senza passaporto, sequestratogli dalla procura. Per Gruevski ora si fa molto dura: le accuse che pesano su di lui, se tramutate in sentenza, potrebbero portarlo in carcere, allontanandolo definitivamente dalla scena politica e innescando un rinnovo ai vertici del partito.
Il nuovo corso di Zaev
Le elezioni locali, dunque, hanno premiato in modo netto i socialdemocratici. Per il governo guidato da Zaev, insediatosi a giugno, le elezioni locali erano un banco di prova. Per segnare una forte discontinuità con il decennio Gruevski, nei primi mesi da premier Zaev ha lanciato un nuovo corso fondato su un forte impegno internazionale. Ad una retorica nazionalista si è sostituita una politica di aperto dialogo con i paesi vicini, come la Bulgaria, l’Albania e la Grecia. Proprio con quest’ultima si sono riaperti spiragli per giungere ad una conclusione della questione del nome che divide Skopje ed Atene da più di venti anni. Una svolta avvenuta anche sul piano interno, con un atteggiamento di apertura verso le richieste della componente albanese della popolazione, rappresentata da due partiti nella compagine governativa.
Ovviamente, il cambiamento in atto non deve illudere. Niente esclude che forme di clientelismo e corruzione si possano ripetere con il nuovo governo, dato che anche la stessa SDSM in passato non è stata immune da scandali. Così come non va minimizzata, tra le cause dell’indebolimento della VMRO, la tendenza dell’elettore a salire sul carro del partito al momento più forte. Detto questo, i segnali positivi ci sono. Una Macedonia più democratica, meno nazionalista, aperta al dialogo esterno con i vicini e a quello interno con tutte le sue componenti nazionali fa ben sperare per il futuro.