Il villaggio kirghiso e la guerra per l’acqua in Asia Centrale

Ci sono storie che dicono molto, piccole vicende che possono far luce su dinamiche molto più grandi e complesse. Una di queste potrebbe essere quella che vede come protagonista il villaggio kirghiso di Yntymak, abitato da circa tremila anime senza pace e situato a cavallo di una delle frontiere più calde di tutta l’Asia Centrale, ossia quella tra Uzbekistan e Kirghizistan nella Valle di Ferghana, zona tristemente famosa per le tensioni etniche che di tanto in tanto esplodono dando vita a scontri sanguinosi, i più tragici dei quali si ebbero nel 2010 con epicentro la città kirghisa di Osh.

Il grande problema di Yntymak è quello di trovarsi a soli 300 metri dal poligono militare di Yambarak, in Uzbekistan. Gli abitanti del villaggio hanno paura ad uscire di casa e non lasciano giocare i bambini nelle strade, troppo alto il timore che un proiettile uzbeko sbagli lato del confine. Un confine segnato semplicemente tramite del filo spinato ed inaccessibile agli abitanti di Yntymak, ma non al loro bestiame. A volte gli animali entrano in territorio uzbeko sparendo nel nulla; sinora le proteste e le richieste di aiuto rivolte alle autorità kirghise non sembrano essere servite a nulla.

A sua volta Yambarak si trova in una delle zone uzbeke storicamente più colpite da problemi di approvvigionamento idrico. Qui gli abitanti (circa 1000) sono spesso privi di acqua potabile, finendo per bere l’acqua che scorre nei canali d’irrigazione, il che causa numerosi problemi sanitari. Durante l’epoca sovietica in alcuni periodi dell’anno anche i canali era asciutti, essendo l’acqua deviata secondo esigenze produttive, oggi la situazione è migliorata ma nella Valle di Ferghana, come in numerose altre zone dell’Asia Centrale, la penuria d’acqua rimane un’emergenza assoluta.

Abbiamo già scritto altrove di come questa situazione rischi di sfociare in una vera e propria guerra tra le confinanti repubbliche centroasiatiche. L’Uzbekistan vede minacciata la sua produzione cotoniera dal progetto tagiko della diga di Rogun, ripreso dopo la morte di Islam Karimov, oltre che dalla volontà turkmena – già al centro di crisi diplomatiche nel 2012 – di costruire una riserva d’acqua artificiale nel deserto, su di un’estensione di 3500m2. Per ora sembra che il nuovo presidente uzbeko, Shavkat Mirziyoyev, abbia deciso di intraprendere la via della collaborazione con i paesi vicini.

Tornando al confine uzbeko-kirghiso, questo è stato nel corso del 2016 al centro di tensioni tali da schierare truppe armate intorno alla montagna di Ungar-Tepa (Unkur-Too per i kirghisi), scatenando una crisi che è arrivata anche sui tavoli della Collective Security Treaty Organization (CSTO). La richiesta dei manifestanti kirghisi di appellarsi direttamente a Vladmir Putin per risolvere la contesa ha messo in allarme anche le opposizioni del Kirghizistan,  dimostrando come la situazione della regione possa prendere pieghe imprevedibili e difficilmente controllabili.

I punti della discordia tra Uzbekistan e Kirghistan sono molti, disseminati su di un confine comune lungo oltre 1000km ed ancora incerto a causa dell’incapacità diplomatica dei due paesi, che non sono riusciti a definirlo completamente. Basti citare il controllo idrico che il Kirghizistan esercita tramite la riserva di Toktogul ed il progettato impianto idroelettrico Kambarata-3. Da parte sua l’Uzbekistan reclama il bacino di Ala-Buka, in territorio kirghiso. Questo solo per indicare alcune delle frizioni tra i due paesi legate all’acqua, senza entrare nel labirinto delle enclave e delle exclave.

A complicare la situazione anche la presenza cinese, cresciuta esponenzialmente a partire dalla dissoluzione dell’URSS. La Cina è ugualmente alle prese con problemi idrici nella regione di frontiera del Xinjiang, tanto da entrare in conflitto con il Kazakistan per il controllo di alcuni fiumi. Ultimamente la Cina sembra voler fare un passo indietro per quanto riguarda il suo impegno nella regione (per esempio nel settore dei gasdotti), resta da vedere se questo sia da imputare al rallentamento della sua economia oppure ad una realtà centroasiatica ormai vista come irrisolvibile.

Tornando al nostro villaggio di Yntymak possiamo notare come questa parola significhi in kirghiso armonia, la stessa parola con cui è stata chiamata una radio formata da giornalisti sia kirghisi che uzbeki, nata dopo i terribili scontri etnici di Osh del 2010 e che trasmette in kirghiso, uzbeko e russo. Radio Yntymak organizza inoltre eventi per tentare di saldare la frattura tra la comunità kirghisa e quella uzbeka e fornisce a diversi giovani la possibilità di imparare il mestiere del giornalista. Un’altra piccola storia che può insegnarci molto, nella speranza che gli abitanti del nostro villaggio possano trovare un po’ di pace ed il loro bestiame.

Fonte immagine: Flickr

Chi è Pietro Acquistapace

Laureato in storia, bibliofilo, blogger e appassionato di geopolitica, scrive per East Journal di Asia Centrale. Da sempre controcorrente, durante la pandemia è diventato accompagnatore turistico. Viaggia da anni tra Europa ed Asia alla ricerca di storie e contatti locali. Scrive contenuti per un'infinità di siti e per il suo blog Farfalle e Trincee. Costantemente in fuga, lo fregano i sentimenti.

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