L'intervento della Turchia in Siria e i capelli bianchi di Obama

SIRIA: L’intervento turco e le incertezze di Obama

Il G20 di Hangzhou è una buona cartina tornasole per capire qualcosa in più dell’intervento della Turchia in Siria. I più agitati sono i membri della coalizione internazionale contro l’Isis, Usa in testa seguiti da Uk e Francia. Mentre la Russia e la Siria di Assad (che, tecnicamente, è stata invasa) si sono limitate a blande dichiarazioni di facciata. Esattamente le reazioni contrarie di quelle che ci si potrebbe aspettare, se la guerra in Siria fosse uno scontro lineare invece di un guazzabuglio di interessi che si trascina da più di 5 anni, e se la Turchia rientrasse nei canoni di un paese schierato con una parte e non inseguisse, come fa, obiettivi propri.

Gli Stati Uniti fra Turchia e curdi siriani

La Turchia ha sconfinato il 24 agosto e in poche ore si è impadronita di Jarablus. La città si trova sulla sponda ovest dell’Eufrate, nel nord della Siria. Da lì Ankara aveva due opzioni: continuare a ovest e sigillare il confine, tagliando fuori l’Isis, oppure procedere verso sud, in direzione di Manbij appena conquistata dalla Forze Democratiche Siriane (SDF) guidate dai curdi delle YPG.

Ha prevalso la seconda e a Washington è suonato l’allarme rosso: un esercito Nato, quello turco, che appoggia gruppi siriani ex-FSA foraggiati dagli Usa, si scontra con le SDF ugualmente sponsorizzate dagli Usa con tanto di appoggio aereo e Forze speciali sul campo. Qualcuno ha suggerito uno scontro tra Cia e Pentagono, che aiutano rispettivamente FSA e SDF e portano avanti agende diverse. A Obama è spuntato qualche capello bianco in più.

Una tregua a rischio

cvb4La soluzione messa in piedi alla bell’e meglio è stata schierare le Forze speciali americane a cuscinetto sulla linea del fronte. E l’allarme per il momento è rientrato. Gli Usa hanno fatto pressioni affinché tutti i combattenti curdi delle SDF lasciassero la zona, che poi era la richiesta della Turchia. Nel dubbio, quelli rimasti hanno messo a sventolare sui loro avamposti la bandiera a stelle e strisce. Ora la terra di nessuno segue il corso del fiume Sejur, più o meno equidistante sia da Jarablus che da Manbij. Le SDF tirano il fiato, i turchi hanno una zona di manovra utile per difendere la città.

La seconda fase è iniziata il 3 di settembre. La Turchia ha mandato i suoi carri armati anche ad al-Rai, sempre lungo il confine a qualche decina di km da Jarablus. Un confine che ormai è quasi tutto sotto controllo turco. L’Isis, per la prima volta, non ha più alcuno sbocco fuori da Siria e Iraq. Ma questo aspetto rischia di passare in secondo piano nelle prossime settimane. Perché è partita la corsa per al-Bab, ultimo centro in mano all’Isis nel nord della Siria. La vogliono tanto la Turchia quanto le SDF. Ankara per insediarsi stabilmente oltre confine e contenere l’avanzata curda. I curdi e le SDF per raggiungere il cantone curdo di Efrin, oltre Aleppo. E lo scontro si può riaccendere in qualsiasi momento.

Al G20 le finte strigliate non cancellano i dubbi

Da qui si capisce la voce grossa degli Usa al G20. Il loro supporto alla Turchia è condizionato, l’obiettivo deve essere l’Isis e non le SDF. Il presidente turco Erdogan ha replicato ripetendo che considera terroristi l’Isis e le YPG allo stesso modo e annunciando che non tollererà un “corridoio del terrore” ai suoi confini. Ma non ci sarà nessuno stop all’operazione, rinominata Euphrates Shield. Nelle stesse ore gli Usa hanno fornito a Ankara gli Himars, sistemi di lancio di razzi d’artiglieria a guida Gps con gittata anche di 70 km. In pratica, un sistema d’arma che può rimpiazzare l’uso dell’aviazione e colpire al-Bab dal territorio turco. Non esattamente una misura punitiva.

Intanto Mosca e Damasco hanno lo sguardo concentrato su Aleppo, il vero nodo del conflitto siriano. Erano riusciti a chiudere l’assedio poche settimane fa, ma i gruppi ribelli hanno subito aperto un’altra via d’accesso. E così continuano le bombe e gli assalti. Riprenderla, per loro, significa avere il controllo della cosiddetta “Siria utile” e quindi andare ai negoziati di pace con relativa tranquillità.

Quello che succede oltre Aleppo, fra Turchia, curdi e Usa, non li danneggia. Da poco Ankara e Mosca si sono riavvicinate, e la Turchia ha persino aperto all’odiato Assad per una fase di transizione, con una svolta a U rispetto alla posizione tenuta negli ultimi anni. L’assenza di proteste per l’invasione turca potrebbe portare a qualche novità nel prossimo giro di negoziati di pace: da che lato del tavolo si siederà la Turchia?

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Photo credit. Map credit.

Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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