La lobby della diaspora, abbiamo visto, fu quella che seppe organizzare il traffico d’armi, ma il suo profondersi per la causa dell’indipendenza croata non si limito a questo. Altro fronte su cui operò la diaspora fu quello religioso, attraverso la promozione del culto di Medugorje, vera spina nel fianco del Vaticano. L’enorme flusso di pellegrini rappresentò una minaccia costante per le gerarchie vaticane: il culto infatti fu abilmente gestito dai francescani, interessati ad accrescere il loro potere nei confronti della diocesi locale. Per farlo si fecero difensori di un cattolicesimo contadino legato alle retoriche nazionaliste del passato regime ustascia di Ante Pavelic.
D’altro canto il Vaticano, nel 1966, firmò un’intesa con Tito di fatto promuovendone il regime a scapito di qualsiasi volontà indipendentistica locale. A seguito di ciò, avvertendo un senso di persecuzione, molti francescani scelsero la via dell’emigrazione e trovarono impiego, come scrive Luca Rastello in La vergine strategica (Limes 1/2000) in quegli ambienti della diaspora dominati dagli erzegovesi legati al regime di Pavelic costretti a fuggire dopo il 1945. Essi seppero, con la guerra del 1991, organizzare una rete di aiuti internazionali controllando il flusso degli aiuti umanitari grazie alla Caritas francescana che li stornava a favore della parte croata.
Le rotte degli aiuti umanitari e quelle del pellegrinaggio furono ideale copertura per il traffico di armi destinate all’Hvo, le milizie croate stanziate proprio nei pressi di Medugorje, nell’Erzegovina croata. Medugorje è di più di un luogo religioso. Come scrive lo storico Joze Pirjevec, il fenomeno delle visioni mariane si lega a una rinascita del sentimento cattolico nella popolazione di nazionalità croata.
I croati, cattolici tra i serbi ortodossi e i bosniaci musulmani, hanno riposto nella religione l’elemento identitario fondamentale. E ciò era necessario dopo i lunghi anni di appiattimento socialista legato a un modello, quello titino, che per far convivere le differenze ha cercato di annullarle. All’identità culturale segue la volontà di esprimersi come nazione. Il nazionalismo croato, inficiato dal collaborazionismo del regime di Ante Pavelic coi nazisti durante la Seconda guerra mondiale, è risorto alla fine degli anni Ottanta portando, con l’indipendenza del 1991, all’elezione di Franjo Tudjman quale presidente della neonata Repubblica.
Tudjman condusse una guerra che spesso sconfinò nella pulizia etnica, sia contro o bosniaci che contro i serbi (il caso della Krajina e dell’operazione “Oluja” guidata da Ante Gotovina è, appunto, stata giudicata tale dal Tribunale dell’Aja). La popolazione supportò sempre il suo presidente e i mezzi con cui egli condusse 8 8 la lotta d’indipendenza. Altrettanto fecero i monaci francescani che misero a disposizione di Tudjman tutta la loro capacità di persuasione nei confronti della popolazione. Una popolazione convinta che quel nazionalismo e quella religione fossero i pilastri della loro identità. Non esiste una connessione diretta, quindi, tra le guerre jugoslave e Medugorje, ma certo il fenomeno delle visioni si lega a una rinascita del sentimento nazionalista croato, poi esacerbatosi nella violenza della guerra e – come spiegato da Luca Rastello in La guerra in casa, Einaudi 1998– strumentalizzato dalla lobby della diaspora.
Il business globale del turismo religioso non solo spingeva il mondo cattolico a sposare la causa croata sull’onda della passio mariana, ma diventava copertura per traffici illeciti di denaro destinato ad essere candeggiato o investito nell’acquisto di armi. Non a caso nell’Erzegovina croata si trovava il quartier generale delle milizie dell’Hvo (Hrvatsko Vijece Obrane) il braccio armato dell’Hdz. Anche in Santa Sede non mancavano esponenti di spicco degli esuli croati, uno su tutti fu monsignor Milan Simcic protagonista dell’Internazionale democristiana che, nel dicembre del 1991, a Roma, alla presenza di otto capi di stato, venti ministri degli esteri e diverse personalità politiche europee, appoggiò una volta per tutte l’indipendenza croata.
Così, malgrado il dissidio fra diocesi e ordine francescano, anche il Vaticano sposò presto la causa croata. Una causa che non era da lasciare nelle sole mani dei francescani, pena la perdita definitiva dell’influenza episcopale nella regione. Due mesi dopo l’Internazionale democristiana sarebbe venuto il riconoscimento ufficiale della Croazia indipendente da parte della Germania di Kohl e Genscher* e del Vaticano di papa Wojtyła.
Lo stesso Wojtyła che, il 21 luglio 1991, si espresse durante l’Angelus domenicale sostenendo la necessità di accontentare le legittime aspirazioni sia dei croati che dei serbi. «Oggi più che mai si richiede prudenza e saggezza da parte 9 9 dei rappresentanti di questi due popoli per proseguire con tenacia e buona volontà nella ricerca di accordi che garantiscano i diritti e le legittime aspirazioni degli uni e degli altri». Appena tre settimane dopo, il 17 agosto, Karol Wojtyła cambiò musica e visitando Pécs, in Ungheria, a pochi passi dal confine croato, dichiarò: «Alcuni popoli, come gli ungheresi, sono ormai affrancati dai lunghi anni trascorsi tra sofferenze e prove, mentre altri, come i croati, necessitano ancora dell’aiuto della comunità internazionale per trovare soddisfazione delle loro legittime aspirazioni. Condivido il profondo dolore dei vescovi che vedono disperso il loro gregge e distrutte le loro chiese».
In questo discorso appare evidente come nel parlare delle “legittime aspirazioni” dei croati non si faccia più menzione dei serbi. E soprattutto si accomunano gli ungheresi con i croati, due popoli cattolici, mentre i serbi (che sono ortodossi) sono evidentemente lontani dagli interessi vaticani. Lo schieramento della Santa Sede con una delle due parti in conflitto spiazzò il governo italiano, allora socialista, il cui ministro degli Esteri, Gianni De Michelis, disse senza mezzi termini: «So benissimo che in Vaticano sia presente una forte lobby croata, ma che interesse c’è nel riaprire una guerra di religione?». Toni forti che restituiscono la gravità di quella scelta drammatica. L’appoggio della Santa Sede e della Germania fu fondamentale per le istanze indipendentiste croate.
Tudjman e soci trovarono così il necessario appoggio politico per aggirare l’embargo militare e riequilibrare le sorti del conflitto. Scrive Francesco Strazzari, nel suo Notte balcanica (Il Mulino, 2008), che tra il 1991 e il 1995 la Croazia poté investire fino al 40% del suo budget in armi. Armi con cui si giunse infine a quella “operazione Oluja”, la ‘tempesta’ guidata da Ante Gotovina, con cui i croati riconquistarono la Krajina riequilibrando le sorti del conflitto e, di fatto, aprendo la strada verso Dayton.
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Nel 2001, alla morte di Franjo Tudjman, Genscher presenziò al funerale con evidente commozione.
ottimo.
In che mani malaccorte siamo stati…
e i banditi al potere hanno fatto il proprio comodo…
Matteo, ho letto diversi articoli sul vostro sito che trattano dei paesi dell’ex-Jugoslavia. Le tue spiegazioni delle cause della guerra sono molto superficiali. Ho trovato l’espressione “odio viscerale tra serbi e croati” in qualche articolo sul vostro sito, non ricordo bene quale. Però, mi rendo conto che tu sei dell’opinione che prima di questa guerra tutto è stato idilliaco. Ma non è così. Ho scritto un commento indicando che i problemi che hanno portato alla guerra degli anni 90′ risalgono perlomeno al periodo prima e durante la Grande guerra, quando qualcuno in Francia e Inghilterra inventò la “Jugoslavia” senza chiedere l’opinione dei cittadini locali. Le radici vere sono state scritte nel manifesto Nacertanije del ministro serbo Garasanin nel 1844 (http://en.wikipedia.org/wiki/Greater_Serbia#Gara.C5.A1anin.27s_Na.C4.8Dertanije). Con ciò la Serbia rifiutava una possibile associazione dei popoli slavi e perseguiva una Grande Serbia come obiettivo politico. Ho scritto altrettanto che le cause della guerra degli anni 90′, diciamo pure, le cause dell’aggressione e dell’invasione serba della Croazia, si sono delineate verso la metà degli anni 80, quando nel 1986 Milosevic fu eletto presidente del partito comunista della Serbia (SK Srbije). La redazione, l’hai detto tu stesso, ha il diritto di non pubblicare certi commenti, presumo offensivi e scorretti. Non capisco perché non uscivano i miei commenti finché non mi sono registrato con un altro indirizzo email…
Credimi desidero discutere, non offendere… se non ritieni offensivo che qualcuno della zona corregga certi errori e imprecisioni sui vostri articoli?