Sudtirolo, la guerra dei tralicci

In poco più di 10 anni – dal 1956 al 1967 – oltre 340 attentati, 19 vittime e almeno una decina di stragi evitate in modo fortuito. Sono queste le cifre che danno la misura di una fase infuocata e tragica della questione sudtirolese.

Una pagina, quella del terrorismo altoatesino, rimossa nella recente storia nazionale e in larga misura dimenticata anche nella memoria collettiva.

Eppure, il terrorismo di quegli anni ha inferto una ferita così profonda da non essere rimarginabile dal solo tempo che passa o dal disinteresse che la ha spesso accompagnata. Quelle semplici cifre dimostrano che non fu un fenomeno circoscritto, riconducibile a un esiguo gruppo di nostalgici.

Del terrorismo in Sudtirolo si parla poco e quasi mai toccando il merito della questione, soprattutto nei suoi aspetti più controversi. Un atteggiamento dell’Austria segnato da una inquietante ambivalenza e, in alcuni passaggi, addirittura da azioni di sostegno o di copertura.

Una significativa fascia di popolazione sudtirolese pervasa da un dubbio: patrioti o terroristi? In un intreccio che ha visto via via schierati la politica, l’esercito, i servizi segreti, le diplomazie d’Italia e Austria, oltre naturalmente ai protagonisti locali.

Da una primissima fase, quella che va dal 1956 al 1958, caratterizzata dall’azione di uno spontaneismo armato e non organizzato – il cui obiettivo era quello di attirare l’attenzione nazionale e internazionale sulla irrisolta questione sudtirolese, ma senza mettere a repentaglio vite umane – si passa ad una seconda fase organizzata sotto la guida del BAS (“Befreiungsausschuss Südtirol”, il Fronte di liberazione del Sudtirolo), con l’obiettivo dell’autodecisione per il Sudtirolo. Si tratta di un’organizzazione terroristica ancora del tutto autoctona, anche se addestrata e sostenuta dagli ambienti pantirolesi di Innsbruck.

In quegli anni la tensione in Alto Adige è alle stelle, in Regione la Südtiroler Volkspartei (SVP) passa all’opposizione, mentre l’Austria, nel 1960, apre presso l’ONU una vertenza internazionale con la mira dell’autodeterminazione per il Sudtirolo e quindi della revisione dei confini con l’Italia. Per l’ONU i confini non si toccano, anche se raccomanda ai due Paesi di trovare un’intesa adeguata.

Si arriva così alla famosa notte dei fuochi. Tra l’11 e il 12 giugno 1961, appunto in una sola notte, vengono messi in atto 37 attentati. Bolzano, priva di energia elettrica, resta al buio mentre l’intera zona industriale è bloccata. Il clima è da stato di guerra, viene mobilitato l’esercito e imposto il coprifuoco in tutta la provincia. I metodi delle forze dell’ordine sono spesso sommari e provocano dure reazioni da parte della popolazione. Pur tra molti sospetti e distinguo, Italia e Austria si confrontano su come agire. Viene costituita la Commissione detta dei “Diciannove”, con il compito di proporre soluzioni per risolvere la questione sudtirolese.

Dal 1962 al 1963 c’è la terza fase: quella del mutamento di linea. Dopo le grandi retate che portano a numerosi arresti, il BAS entra in crisi e questo provoca un ricambio nei suoi vertici. Viene abbandonato il principio originario di non mettere a repentaglio vite umane.

La quarta fase, quella neo nazista, prende corpo tra il 1964 e il 1967. Gli esiti sono drammatici e coinvolgono, a più riprese, anche molte città italiane. Ora si spara per uccidere. Il numero di attentati non è elevato, almeno rispetto ai periodi precedenti, ma nei 22 episodi, tra attentati e conflitti a fuoco, si contano 18 morti e 19 feriti. Sia l’Austria che la SVP si dissociano da questa esplosione di violenza, anche se il governo italiano a più riprese accusa l’Austria di scarsa incisività nell’azione antiterroristica.

Sulla base del cosiddetto “Pacchetto”, un insieme di misure di tutela della popolazione di lingua tedesca del Sudtirolo, messo a punto dalla Commissione dei diciannove, prende avvio un percorso che porterà a due tappe fondamentali: nel 1969 all’approvazione definitiva del “Pacchetto” e nel 1971 all’approvazione del secondo statuto di autonomia, che soddisfa in buona parte la domanda di precise garanzie di autogoverno per i sudtirolesi. La riconciliazione tra i gruppi etnici conviventi nella Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol è dunque il frutto della lunga e paziente ricerca di una soluzione politica condivisa, che richiese il superamento di posizioni nazionalistiche da un lato e di intransigenze ideologiche dall’altro.

Dal 1967 in poi, l’esperienza terroristica, almeno nei suoi effetti più evidenti e permanenti, è di fatto conclusa.

Affronta questi temi Giorgio Postal nell’incontro dibattito “La guerra dei tralicci”, organizzato a Trento dalla Biblioteca Archivio del CSSEO e dalla Fondazione Museo Storico del Trentino, mercoledì 18 maggio, alle ore 17,30, nella “Sala degli Affreschi” della Biblioteca comunale (Via Roma 55).

Giorgio Postal, per sei legislature parlamentare a Roma, prima alla Camera e poi al Senato, è stato sottosegretario al Ministero della Ricerca scientifica e tecnologica e in seguito al Ministero dell’Interno, è uno studioso attento della storia trentina e sudtirolese. Nella fase finale del terrorismo altoatesino era Segretario provinciale della Democrazia Cristiana trentina. Attualmente riveste l’incarico di presidente della Fondazione Museo storico del Trentino.

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