SIRIA: Quel Rojava che non piace a nessuno. Scontri tra curdi e regime a Qamishli

SIRIA: Quel Rojava che non piace a nessuno. Scontri tra curdi e regime

I curdi siriani e le truppe del regime di Assad hanno siglato una tregua dopo tre giorni di intensi scontri a Qamishli, nel nord-est della Siria, Rojava per i curdi. Il bilancio è di almeno 26 morti e diversi feriti, mentre molti abitanti hanno lasciato le proprie case per sottrarsi al fuoco incrociato. I curdi controllano ampie zone della città fin dall’inizio della guerra, mentre le forze governative mantengono capisaldi nella periferia sud e controllano l’aeroporto.

I rapporti tra curdi siriani e Assad

Gli scontri del 20-22 aprile sono una rarità: da anni Assad e curdi siriani hanno trovato una forma di convivenza, i pochi attriti registrati riguardano perlopiù dispute passeggere per il controllo di checkpoint (l’ultimo e più consistente scontro risale all’inizio di gennaio). Per questo motivo le variegate opposizioni siriane accusano i curdi di stare dalla parte del regime. Di fatto, un accordo di non belligeranza più o meno tacito è sempre stato rispettato.

Il PYD, partito curdo egemone nel Rojava, si è ripetutamente smarcato dalle piattaforme politiche create dalle opposizioni. Anche per questo, nell’ultima sessione di negoziati per porre fine alla guerra, il PYD è stato lasciato fuori dalla porta. Gli scontri degli ultimi giorni dimostrano che i rapporti tra regime e PYD si sono incrinati?

Cos’è successo a Qamishli

Il casus belli non è chiaro. Alcune fonti parlano di due uomini delle Asaysh, le forze di sicurezza curde, uccisi dal regime. Altre versioni segnalano che poche ore prima le Asaysh avevano fermato un miliziano pro-regime delle Forze di Difesa Nazionale. Ad ogni modo, nel giro di poche ore sono iniziati scontri piuttosto violenti, con tiri di mortaio e cecchini appostati da parte dei lealisti.

Tra il 20 e il 21 aprile le forze curde hanno conquistato la prigione di Allaya e arrestato i circa 40 miliziani del regime che la difendevano. Combattimenti sono stati segnalati anche in molti villaggi a sud di Qamishli, mentre le milizie curde dell’YPG sono arrivate di rinforzo. Ma i successi, dall’una e dall’altra parte, sono stati pochi. Nelle ultime ore di venerdì è stata infine raggiunta una tregua, pare grazie alla mediazione di esponenti tribali arabi.

La posta in gioco in questo scontro – che rispetto agli altri fronti di guerra resta, almeno per il momento, una semplice schermaglia – diventa più chiara se si guarda agli avvenimenti delle ultime settimane. I punti chiave sono tre: elezioni, federalismo, riunificazione dei cantoni curdi di Kobane e Efrin.

L’ombra del federalismo

Per far naufragare i negoziati di pace e dimostrare di poter restare in sella ancora a lungo, Assad ha indetto nuove elezioni il 13 aprile. Una farsa, chiaramente, visto che controlla meno della metà della Siria. I seggi aperti a Qamishli e dintorni sono stati subito smantellati dai curdi.

Infatti appena un mese prima le autorità curde avevano dichiarato la nascita del “Sistema federale democratico del Rojava – Siria del Nord”. Spinta verso il federalismo che, anche a causa dello spettro di una imminente indipendenza, è stata rifiutata praticamente da tutti, Assad in primis.

Ecco che si delineano i contorni di uno scontro fra curdi e regime siriano. Per avere la loro regione federale, i curdi dovranno espellere le forze di Damasco dal proprio territorio, quindi cacciarli da Qamishli e Hasakah. A meno che Assad non accetti il federalismo suo malgrado e si trovi un qualche accordo.

Quel Rojava che non piace a nessuno

Una prospettiva abbastanza improbabile viste le mire dei curdi. Vogliono collegare Kobane con Efrin, il terzo e più occidentale dei cantoni. Sulla zona si affacciano da dicembre, quando hanno preso all’Isis la diga di Tishrin. E di recente hanno formato un coordinamento militare, il Manbij Military Council, che prepara l’offensiva.

Se vincono, ottengono una striscia di territorio lungo tutto il confine tra Siria e Turchia. Vista da Damasco, questa ipotesi non piace per niente. Piace ancor meno ad Ankara. E non piacerà troppo neppure a Washington, che i curdi li vuole pronti per conquistare Raqqa all’Isis.

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Chi è Lorenzo Marinone

Giornalista, è stato analista Medio Oriente e Nord Africa al Centro Studi Internazionali. Master in Peacekeeping and Security Studies a RomaTre. Per East Journal scrive di movimenti politici di estrema destra.

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