Uno studio pubblicato dalla RAND, think tank statunitense vicino al Dipartimento della Difesa e tra i principali promotori durante gli anni ’90 della strategia che avrebbe portato all’allargamento in Europa centro-orientale dell’Alleanza Atlantica, ha messo in luce uno scenario in cui le forze NATO subirebbero una pesantissima debacle ad opera dell’esercito della Federazione russa in un ipotetico fronte di guerra nord-orientale.
Secondo gli analisti David Shlapak e Michael Johnson, le tre Repubbliche baltiche cadrebbero sotto i colpi dell’invasione russa in un lasso di tempo particolarmente breve. In particolare la forza d’urto delle forze di terra del Cremlino porterebbe a sbarazzarsi delle forze euro-atlantiche e degli eserciti lettone ed estone, giungendo a occupare Tallinn e Riga in un lasso compreso tra le 36 e le 60 ore. In quel momento la strada per arrivare in Lituania sarebbe ancora più in discesa, considerando che Vilnius si trova vicino all’exclave russa sul Mar Baltico di Kaliningrad, quartier generale della flotta del Baltico, e alla Bielorussia di Lukashenko, probabile partner di Putin in una guerra aperta all’occidente.
Non è certo il primo report a pronosticare tempi durissimi per la NATO nel Baltico. Tutti i war game e gli studi presentati da numerose organizzazioni internazionali ed analisti vari nel corso del 2014-2015, subito dopo lo scoppio della guerra nel Donbass, hanno visto la netta prevalenza della Russia nel caso di un conflitto aperto contro i membri della coalizione euro-atlantica. Lettonia, Lituania ed Estonia sono sempre state indicate come il prossimo fronte caldo nel caso di escalation tra il Cremlino e la NATO. Le previsioni su un probabile vincitore in uno scontro armato sorriderebbero alla Russia per diversi motivi – in primis, un territorio piccolo e senza grosse difese naturali. Questo fattore significa per i tre Stati essere della facili prede per l’orso russo, dovuto anche alla piccola taglia dei rispettivi eserciti nazionali, i quali, nonostante un processo di modernizzazione avviato nell’ottica di legare le Forze Armate ai nuovi standard richiesti dalla NATO (come il destinare il 2% del PIL alle spese per la Difesa, obbiettivo al momento raggiunto solo dall’Estonia), hanno ancora compiuto passi troppo piccoli per modificare le loro strategie militari, mancando sia di armamenti, equipaggiamenti e di un sistema di difesa aerea in grado di rispondere ai pericoli urgenti, sia di coordinamento tra i singoli eserciti, i quali non sarebbero in grado di agire come unica forza militare in caso di aggressione da parte di un Paese straniero. Il nodo centrale però è rappresentato da una debolezza strutturale del sistema NATO: il processo lungo di decision-making (le decisioni devono essere prese all’unanimità da tutti i 28 Stati membri) determina conseguentemente una lentezza nella mobilitazione delle Forze di reazione rapida, avvantaggiando di conseguenza i russi che si troverebbero in un lasso minore di tempo in una situazione di schiacciante superiorità navale, aerea e terrestre.
Gli Stati Baltici, entrati nella NATO proprio per mettersi al riparo definitivamente da possibili rinascite imperialistiche della Russia post-sovietica, ancora una volta vengono dipinti in un quadro dove soccomberebbero con una semplicità disarmante. Nonostante le promesse dell’amministrazione americana e gli obiettivi prefissati dal comando militare statunitense in Europa circa lo sviluppo di una nuova strategia di deterrenza riguardo la Russia, gli USA e la NATO non hanno garantito il dispiegamento di quelle truppe permanenti richieste con insistenza da entrambi i governi. Al momento, nessuno dei due schieramenti però sembra davvero intenzionato a provocare un’escalation armata: le conseguenze potrebbero essere imprevedibili, con terribili costi in termini economici e di vite umane. Un rinnovato “equilibrio del terrore” stile Guerra Fredda dovuto alla minaccia nucleare sembra essere il pilastro fondamentale attorno al quale gli attori non vogliono compiere decisioni drastiche.