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GRECIA: Ennesimo naufragio nel mar Egeo. E l’Europa fa la parte del sordo

“L’Egeo non sta trascinando via solo i bambini morti, ma la stessa civiltà europea”. Così Alexis Tsipras ha commentato quanto accaduto di fronte alle coste greche, al largo delle isole di Kalymnos e Rodi, lo scorso 29 ottobre. Due barconi provenienti dalla vicina Turchia si sono rovesciati, trascinando con sé quasi 170 persone; di queste, 144 – ha fatto sapere la polizia portuale – sono state tratte in salvo, mentre altri 22 migranti, quasi tutti donne e bambini, sono annegati tra le onde.

Una tragedia che si va ad aggiungere a quelle cui ormai assistiamo quotidianamente. Nel corso del 2015, a causa dei naufragi vi sono stati 70 morti e almeno 100 dispersi, mentre gli arrivi sono stati 545.000. Solo nel mese di ottobre, secondo le stime dell’Unhcr, in Grecia sono arrivati 72.000 migranti, all’incirca lo stesso numero di arrivi segnalati nel corso di tutto il 2014.

La situazione è disperata e il flusso di profughi non sembra destinato a cessare. Il vicepremier turco, Numan Kurtulmus, ha avvertito che le popolazioni in fuga dalla guerra in Siria potrebbero aumentare di oltre un milione a causa dei bombardamenti messi in atto dalla Russia, che colpiscono aree rimaste sino a questo momento immuni dal conflitto.

E l’Europa?

Per questo il Primo ministro greco, Alexis Tsipras, interpellato da Giorgos Koumoutsakos di Nuova Democrazia, ha alzato la voce, scagliandosi contro l’Europa, incapace – a suo dire – di trovare una soluzione al problema e sorda agli appelli lanciati dal suo paese. “Quando ho chiesto se avessi dovuto allontanare i profughi o accoglierli – ha detto -, non ho ricevuto risposta. Ma è nostro dovere aiutarli e soccorrerli. Come greci, sappiamo cosa significhi essere un rifugiato”.

E’ in effetti sotto gli occhi di tutti la scarsa comprensione del fenomeno, da parte dei governi europei, e la conseguente mancanza di scelta dei mezzi adeguati per affrontarlo. E’ fuori discussione l’estrema complessità dell’evento, ma ciò non giustifica la totale disarmonia nelle scelte da prendere: ciascuno stato agisce per conto suo. Chi non è toccato, almeno direttamente, dal fenomeno, tenta in ogni modo di scansare il problema, mentre gli altri agiscono autonomamente, mancando di un coordinamento con le istituzioni europee e rimarcando la totale assenza di una governance interna all’Unione.

Anche sulla politica di redistribuzione dei profughi nei vari paesi dell’Unione, poi, ci sarebbe molto da discutere. Una manovra che avrebbe dovuto alleviare l’onere dei paesi di confine si sta trasformando in una ennesima arma di ricatto per coloro che, come la Grecia, sono in eterno debito. E’ notizia di pochi giorni fa, infatti, la richiesta di allestire in Grecia un centro profughi per ospitare 50.000 persone. Un’enormità, se pensiamo all’esigua estensione del territorio – circa 132 mila km² di superficie – e al contenuto numero di abitanti, appena 11 milioni di persone. Per rendere meglio l’idea, l’Italia si estende per circa 300 km² e, ad oggi, ospita poco meno di 66 mila profughi, a fronte di una popolazione di circa 60 milioni di persone – mentre le proteste di chi grida all’“invasione” anche da noi restano comunque molto forti.

Il deputato Koumoutsakos, sempre nel corso del dibattito in Parlamento, ha chiesto conto di questa pretesa, domandando quale sia la contropartita che la Grecia ha ottenuto, non ricevendo però alcuna risposta. Ma non servono conferme per capire che non ci sono contropartite; la Grecia è un paese “usa-e-getta”. In un editoriale, il quotidiano greco “efimerida ton sintakton” ha scritto: “Per liberare se stessi dal problema profughi scaricano dove possono, facendo diventare un inferno la vita dei profughi e dei greci. Con la disoccupazione e la povertà alle stelle (…) cosa vogliono da noi? E che senso hanno i sacrifici del popolo greco quando vive senza speranza?”. Un’altra domanda a cui nessuno darà mai una risposta.

Chi è Flavio Boffi

27 anni, dottorando in Studi Politici a La Sapienza, laureato in Relazioni Internazionali all'Università degli Studi Roma Tre. Collaboro con East Journal da giugno 2014, dopo aver già scritto per The Post Internazionale e Limes.

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Un commento

  1. Gaetano Giovanni Castello

    Non ci sono parole esecrabili da attribuire a tutte le società civili,UE,USA;URS.ONU,Nato e chi ne ha più ne metta.Tutto è ritornato al medio evo,quando ciascuno guardava all’orticello suo e faceva guerra al vicino stato.
    Vergogna per tutto il mondo civile che per ipocrisia,falso buonismo,rispetto della sovranità di stati che non sono più tali,per paura di infrangere regole inesistenti,eccc…non si organizzano per andare ad occupare tutti quegli stati che oggi si sono ridotti in focolai di guerra perpetrando continuamente crimini contro l’umanità,la storia dell’umanità e contro il vivere del mondo civile.Oggi tutti siamo complici dei disastri socio economici generazionali che stiamo permettendo senza fare nulla per risolvere la problematica.
    Con tanta amarezza.
    Gaetano Giovanni Castello

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