Nei piani dell’Akp il 2015 doveva chiudersi con due risultati importanti. Da un lato il trionfo alle elezioni di giugno e la strada spianata per la riforma della costituzione in senso presidenziale. Dall’altro l’inaugurazione della diga di Ilısu, tassello fondamentale tanto per la strategia di sviluppo del sud-est anatolico quanto per affossare definitivamente la guerriglia del Pkk. Alla vigilia delle elezioni suppletive del 1 novembre i lavori della diga sono fermi, gli scontri con i militanti curdi sono ripresi ai livelli degli anni ’90 e i sondaggi indicano che l’Akp non riuscirà a formare un governo monocolore neppure questa volta.
La diga di Ilısu, fra GAP e Pkk
Se c’è un luogo dove economia e lotta armata si intrecciano, questo è proprio la diga di Ilısu. Una volta completata darà vita al secondo più grande bacino artificiale della Turchia, un tentacolare specchio d’acqua che cambierà la geografia di molte province del sud-est. Aree montagnose che proseguono fino al confine con l’Iraq e oltre: per decenni sono state una sorta di “autostrada” del Pkk. Così, mentre molte associazioni lamentano la perdita del patrimonio archeologico (come per Hasankeyf), i guerriglieri curdi temono anche – e giustamente – che il progetto serva per compromettere la loro presenza sul territorio.
Nel cantiere di Ilısu gli scontri tra esercito e Pkk non si sono mai fermati, neppure quando il cessate il fuoco era ancora in piedi. Vero segno che la posta in gioco lì è altissima. Anche per l’economia turca, d’altronde. L’opera, insieme ad altre 21 dighe, fa parte del GAP (Progetto per l’Anatolia sudorientale), un piano da oltre 12 miliardi di euro che ha l’obiettivo di rilanciare lo sviluppo della regione per quanto riguarda energia, agricoltura, industria, trasporti, turismo. Gran parte dei finanziamenti dovrebbe arrivare dall’estero, ma negli ultimi anni molti investitori si sono chiamati fuori. Che garanzia per i loro soldi se neppure i negoziati tra stato e Pkk bloccano gli scontri?
I numeri di un’economia in affanno
Il risultato è che i soldi li ha dovuti tirar fuori il governo. Il problema è che in questo modo la situazione diventa insostenibile. Lo stesso discorso vale infatti anche per altre grandi opere (‘progetti folli’, li definì a suo tempo Erdoğan), una su tutte il terzo ponte sul Bosforo. Ma gli investimenti esteri servivano per controbilanciare una spesa pubblica già elevata, e ora destinata ad aumentare ancora di più. Intanto la crescita rallenta. Circa +3% quest’anno, dicono le previsioni più aggiornate, ma il governo ha basato il bilancio 2015 su una crescita del 4%. Nessun segno di ripresa in vista: solo a luglio le esportazioni sono calate del 13%, mentre le banche faticano a ripagare i loro debiti a breve termine.
Tutta colpa dell’instabilità nelle regioni curde? Certamente no. Il problema fondamentale resta l’assenza di un governo che possa durare: in questo senso le prospettive per i mesi futuri sono fosche, a meno di larghe alleanze (tutto sommato, non impossibili a priori). Tuttavia è un aspetto da non sottovalutare, soprattutto quando la questione curda tocca – come oggi – una politica più che polarizzata e un’economia in crescente affanno. Per rendere l’idea, qualcuno ha quantificato in 55 miliardi di dollari il danno economico dovuto alla ripresa del conflitto dal 20 luglio ad oggi. Altre stime riguardano le tempistiche per la ‘nuova Turchia’ sognata da Erdoğan per il 2023, centenario della repubblica kemalista: anche in questo caso fra ritardi, costi lievitati e intoppi le prospettive non sono buone.
Promesse elettorali
Per recuperare terreno in politica, l’Akp ha scelto sacrificare il pragmatismo economico. È evidente se si scorre il programma elettorale e lo si confronta con quello dello scorso giugno. Le novità principali sono due: 100 lire turche in più ai pensionati e aumento di oltre 300 per i salari minimi. Ovviamente pensionati e lavoratori con salario minimo sono due bacini elettorali notevoli, visto che pesano rispettivamente 11 e 5 milioni di voti. Non è solo l’Akp a corteggiare i cittadini più in difficoltà. Anche Chp e Mhp sono della partita, per non parlare dell’Hdp: il suo leader Demirtas promette di portare entrambi gli assegni a 1800 lire turche, ben di più dell’Akp.