Le previsioni della Commissione Europea e della Banca Mondiale prospettano per il 2016 un tasso di crescita a ritmi soddisfacenti per l’economia polacca, che da oltre vent’anni a questa parte vanta un andamento di crescita che non ha mai sofferto recessioni (neanche la crisi globale del 2009). L’economia polacca continuerà a crescere fino al 3,2% per tutto il 2015, e del 3,3%-3,4% per il 2016. Se le previsioni si materializzeranno, la crescita polacco rappresenterà la terza realtà europea in termini di crescita del PIL, assieme a Irlanda (3,5%) e Malta (3,4%).
Liberalizzazioni, fondi stranieri, e moneta vantaggiosa continuano ad essere il cavallo di battaglia, anche se appaiono segnali di cedimenti a causa della mancanza di riforme strutturali. Il mese di maggio e le elezioni presidenziali segneranno un importante risvolto anche dal punto di vista della crescita economica del paese.
Nell’ultimo anno, il settore dell’export è cresciuto a un tasso superiore al 20%, rendendo la Polonia sempre meno dipendente dall’andamento della congiuntura economica nell’Ue, e garantendole un ruolo, seppur indiscutibilmente legato alle vicende dell’euro e a quelle più recenti del conflitto russo-ucraino, sempre più funzionale nel dinamico contesto dell’Europa centrale.
La nazione che 25 anni fa sembrava abbandonata al proprio destino, con problemi strutturali di arretratezza e con un reddito pro capite pari a quasi un quarto di quello tedesco, può oggi vantare quello che esperti nel settore chiamano, probabilmente con eccesso di enfasi “la nuova stella Polonia” o ancor più, “L’età dell’oro della Polonia” (The Economist).
La chiave di lettura del miracolo economico polacco
Tra il 1989 e il 1991 il governo di Varsavia si impegnò a intraprendere misure orientate a lanciare l’economia polacca nell’orbita della crescita: il Ministro delle Finanze Leszek Balcerowicz contribuì notevolmente a cambiare il destino della Polonia attraverso riforme di revisione strutturali che coinvolgevano il settore pubblico; l’apertura dei mercati; la riduzione di barriere doganali su merci e servizi; gli investimenti dall’estero e naturalmente l’imprenditoria privata. Tra il 1992 e il 1994, dopo una breve fase di rodaggio del nuovo approccio di libero mercato, gli aggiustamenti hanno portato a una la crescita del PIL che da allora non si è ancora arrestata, grazie a un incremento medio annuo del PIL dal 1996 al 2014 di circa il 5%. L’adesione all’Unione europea nel 2004 ha confermato il successo degli sforzi di Polonia e ha indicato un percorso di sviluppo che stava conducendo verso il livello delle economie più avanzate d’Europa.
Passando agli anni più recenti è doveroso fare riferimento alla crisi della recessione globale divampata nel 2008, assorbita con successo dalla Polonia, il cosiddetto “effetto isola felice” , dove il deprezzamento della valuta e l’ingresso di nuovi fondi strutturali europei è stata una combinazione di fattori vincenti tali da attirare investimenti di capitali esteri.
Lo sviluppo economico ha coinvolto vari settori e continua a destare interesse e scommesse su nuovi settori dell’economia: energia; servizi finanziari e ricerca di alta formazione. Come dimostrano le cifre, una base sempre più ampia di investitori stranieri non cerca solo forza lavoro a buon mercato ma anche professionisti e consulenti con un’alta formazione: società come Samsung, General Electric, Siemens, Google e Ibm hanno infatti aperto centri di ricerca proprio in Polonia e possiamo aggiungere alla lista aziende italiane, da Benetton alla Ariston, dalla De Longhi alla Campari, le famose delocalizzazioni.
Il motore economico è in stallo?
Il cammino della Polonia ha rappresentato un impressionante modello di crescita. La domanda che affiora oggi è se sia pronta a diventare nel prossimo decennio un vero e proprio motore di crescita regionale per l’intera area centro orientale o se tali aspettative siamo disattese dalle contraddizioni interne al sistema stesso. Perchè, se da un lato Varsavia vanta un nuovo nuovo ritmo di crescita, dall’altro non bisogna trascurare gli aspetti lacunosi che necessitano riforme strutturali.
Il paese deve fare i conti con problemi che nei prossimi anni costituiranno una sfida sempre più grande. Primo fra questi riguarda l’elevato tasso di disoccupazione, che colpisce gran parte dei giovani in età lavorativa, rimasti tagliati fuori dalla dinamica di domanda e offerta. Il problema assume connotati preoccupanti nelle campagne, dal momento che la Polonia ha una percentuale di popolazione rurale molto elevata rispetto agli standard europei, e spesso il sistema del sostegno al reddito degli agricoltori risulta inefficiente.
Accanto al livello di disoccupazione resta all’ordine del giorno il problema del debito pubblico, anch’esso riscontrabile nel lungo periodo giacchè attualmente le politiche sociali attingono a risorse e a fondi strutturali dell’ E. Un altro nodo di difficile soluzione sembra essere il mancato incentivo alla ricerca: sia il settore pubblico che quello privato sembrano insensibili al fenomeno del brain drain; molti giovani preparati e con un buon background tecnico e scientifico alle spalle non trovano sbocchi interessanti all’ interno del paese,che rischia poco a poco di far precipitare la competitività nella corsa globale alle innovazioni. Non di minore rilievo è il problema derivante dal diffuso malcontento che serpeggia in gran parte di lavoratori e agricoltori, che nell’ ultimo anno ha toccato livelli di tensione particolarmente elevati.
L’elenco dei problemi di cui la Polonia difetta attualmente non saranno probabilmente tali da compromettere il cammino verso lo sviluppo economico, considerando che la situazione a fine anni ottanta non giovava a una situazione di prosperità.
Ad oggi lo scopo di mantenere Varsavia ai soddisfacenti livelli raggiunti, spetterà alla compagine politica che si aggiudicherà l’esito delle presidenziali di maggio, in cui Komorowski di Piattaforma Civica , Andrzej Duda di Diritto e Giustizia e la più improbabile candidata del partito socialista Ogorek si stanno confrontando.