Intervista confessione a Igort. Dalle Balalaike amorose ai Quaderni Ucraini

Igort,  fumettista e musicista, già 26 anni fa a Pier Vittorio Tondelli raccontava la propria fascinazione per l’Est Europa. Ora l’artista torna con una graphic novel, “Quaderni Ucraini, Memorie dai tempi dell’Urss” (Strade Blu, Mondadori), in cui racconta uno degli eventi più tragici del ‘900, l’Holodomor, il genocidio del popolo ucraino ad opera di Stalin del biennio ’32-’33.

“Quello che mi interessa è l’emotività, il lirismo delle culture dell’Est. Il mio tentativo è quello di coniugare l’estetica socialista, intesa come arte e retorica della dittatura, con il sentimentalismo del popolo sovietico. Zone e ambienti freddi per sentimenti caldi”. Con queste parole il fumettista e musicista Igort, nom de plume di Igor Tuveri, ventisei anni fa spiegava allo scrittore  Pier Vittorio Tondelli la sua fascinazione per l’Est Europa.  In quell’articolo intitolato “Punk, Falce e Martello”, uscito sulle pagine dell’Espresso nel novembre 1984, Tondelli si interrogava sul mal di Russia che stava contagiando il panorama culturale occidentale. Erano gli anni del punk filosovietico dei CCCP- Fedeli alla Linea di Giovanni Lindo Ferretti, di Gorky Park di Martin Cruz Smith e delle Balalaike amorose di Igort, fumetto disseminato “di simboli e bandiere delle repubbliche socialiste sovietiche fra deliri coloratissimi in odor di costruttivismo e statuari personaggi da realismo totalitario”.
Oggi, a più di due decadi di distanza da quel lavoro e dopo un soggiorno di diversi mesi tra Kyiv e Dnipropetrovsk, Igort torna con una graphic novel, “Quaderni Ucraini, Memorie dai tempi dell’Urss” (Strade Blu, Mondadori), destinata a far discutere. Soprattutto perché l’autore, dimostrando un’onestà intellettuale davvero rara, racconta attraverso testimonianze raccolte tra la gente comune uno degli eventi più tragici del ‘900, ossia l’Holodomor, il genocidio del popolo ucraino ad opera di Stalin del biennio 32’-’33.

igort - quaderni ucraini
La copertina

Igort, quando nasce in te questa passione per l’URSS?
La passione per l’Unione Sovietica è in realtà la passione per la Russia. A partire dal mio nome, mi chiamo Igor; mio padre era un compositore di musica e la mia famiglia era imbevuta di cultura russa. Sono cresciuto con i racconti sugli scrittori russi prima ancora che sui libri degli scrittori russi. Erano come gli eroi di una specie di Pantheon, semidivinità della scrittura, della fantasia. Cechov per me è una specie di zio, più che un nume tutelare. Poi la cultura russa ha dato vita alle avanguardie storiche, prima della rivoluzione, con lavori di una bellezza incredibile.  A metà anni ’80 io cercavo di riscoprire questa cultura. Per esempio mi interessava sottolineare la vicinanza che esisteva tra futuristi russi e futuristi italiani. Ma c’erano i vorticisti, i costruttivisti e via dicendo.
Di quell’epoca remota mi interessava il fatto che la cultura non fosse solo anglofona o filo-americana. C’erano traiettorie interessanti che migravano da Russia, Portogallo o Francia e si infrangevano nelle intelligenze di tutto il mondo.

In un’intervista dell’epoca parlavi del fascino grafico dell’alfabeto cirillico…
Probabilmente il cirillico è una delle prime cose che ti colpiscono di quella cultura. Poi una volta che impari la lingua russa l’alfabeto perde un po’ del suo fascino estetico. Comunque graficamente è molto bello, per esempio Rodchenko lo usava moltissimo nelle sue composizioni. L’amore per i caratteri tipografici, per la stampa elettrizzò le avanguardie storiche. Tutte le riviste futuriste, dadaiste, surrealiste usano moltissimo i caratteri tipografici e ovviamente i caratteri cirillici sono particolarmente adatti a questa amplificazione estetica.

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A metà anni ’80 ci fu anche un recupero dell’estetica sovietica in ottica musicale principalmente grazie ai CCCP di Giovanni Ferretti. Come vedi quel progetto oggi?
Negli anni ’80 io facevo parte degli Slava Trudu, che era l’altro gruppo “filosovietico”, oltre ai CCCP. Questi li trovavo interessanti, un po’ punk, mentre noi eravamo più affascinati dalle teorie dell’avanguardia, come l’invenzione di una lingua onomatopeica. Comunque stimo Giovanni Lindo Ferretti. Mi interessa la sua testa e il suo modo di guardare il mondo. Poi musicalmente alcune cose si datano, ma questo, come dire, è il gioco dei tempi.

Cosa cercavano di recuperare gli Slava Trudu dell’immaginario russo/sovietico?
Per esempio l’idea che si potesse fare musica con i rumori attraverso un’organizzazione sinfonica dei rumori stessi. Era l’epoca dei primi campionatori, se vuoi una forma molto evoluta degli intonarumori dei futuristi. L’idea era quella di ricomporre una musica semiseria, semiclassica, semimoderna.

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Quale influenza esercitava Berlino come punto di incontro tra Est e Ovest ?
Beh per esempio noi avevamo gli stessi produttori dei Depeche Mode e nell’87 registrammo nello stesso studio berlinese dove loro avevano lavorato a Black Celebration. In Inghilterra c’erano invece gli Art of Noise che portavano avanti un discorso simile. Era divertente perché tutti pescavano dalle teorie delle avanguardie storiche che per noi erano delle teorie di casa. Il recupero di Zang Tumb Tumb di Marinetti era una cosa assolutamente contemporanea, utile, importante. Però questa è una visione della Russia legata alla sua cultura. Poi, 25 anni più tardi, mi sono trovato ad affrontare le stesse cose andando ad abitare lì. Allora c’era un lavoro di esplorazione culturale, qualcosa di molto diverso dai Quaderni Ucraini. Per me era un rendere omaggio ad autori con i quali ero cresciuto da Cechov a Majakovskij.

Majakovskij era un’icona anche per Ferretti. A te cosa affascinava del poeta sovietico?
È un artista assoluto. Nelle avanguardie storiche il buon senso è bandito, ovvio. E Majakovskij aveva un modo di fare scriteriato, che era di grande modernità. Allora trovavo questo l’unico modo di verificare il reale. Oggi la mia esperienza è un’altra, i Quaderni Ucraini sono la testimonianza di quello che ho vissuto in questi ultimi anni, quando sono rimasto stordito dalla realtà, da ciò che ho incontrato nella realtà di tutti i giorni, in quelle terre.

“Al principio l’Ucraina era per me qualcosa di indistinto, una nuvola appartenente al firmamento sovietico…” Così scrivi nelle prime pagine di Quaderni Ucraini. Quando l’Ucraina è diventata qualcosa di più preciso e cosa ti ha spinto ad occuparti di questa terra?
L’Ucraina era una delle terre dell’impero sovietico che già evocavo all’epoca degli Slava Trudu. Molti anni più tardi ho avuto l’idea di raccontare Cechov attraverso le sue case, e dunque mi sono deciso, volevo visitare queste sue dimore, in Crimea per esempio. Ma quando sono arrivato a Kyiv, prima ancora di scendere a sud verso la Crimea, sono stato investito da una sensazione molto forte. Ho capito di essere di fronte a una realtà devastante, piena di dolore. Non era la terra dei sogni di Cechov, ma un universo che mi stordiva. Ho chiamato il mio editore e gli ho detto che dovevo fare un altro libro. Ho cambiato completamente rotta. E non solo metaforicamente, trovato un interprete anziché andare sud, in Crimea, mi sono diretto nella parte est, quella vicina alla Russia e sono andato a vedere con i miei occhi. Ho cominciato ad uscire, per portare il disegno, il racconto fuori dallo studio, sulla strada, “en plein air”, alla maniera degli impressionisti. Mi sono misurato con le storie della gente comune. Fermavo le persone per chiedere loro se mi raccontavano come era andata, come avevano vissuto. Poi, con questo materiale registrato, sbobinato e tradotto, ho cercato di capire se questo poteva essere la base di un racconto. Del racconto di quello che un tempo fu l’Unione Sovietica. Ma il mio non voleva essere un libro ideologico, volevo semplicemente capire, senza pregiudizi ideologici.

Come giudichi il fatto che ancora oggi a sinistra ci sia una certa ritrosia ad affrontare questi argomenti?
Sono un uomo di sinistra ma ti confesso che per me è un mistero come ci si possa definire  stalinisti, oggi. È talmente tale l’ondata di morte, crimine e terrore che Stalin ha portato… Gli storici, grazie all’apertura di molti archivi, sono oramai concordi nel definire l’Holodomor una delle più grandi tragedie del ‘900.  Ho cercato di illustrare parte di questi rapporti, i rapporti della polizia segreta del tempo, e questi, nel mio libro,  fanno da contraltare, alle testimonianze delle persone che intervistato.  Mi interessano le storie piccole, e credo che la memoria non vada esercitata a senso unico. Occorre essere onesti intellettualmente e non si può glissare su milioni di morti solamente perché riguardano una parte che ci è ideologicamente più affine.

Non pensi che una riflessione sull’Holodomor debba portare con se una rilettura del ‘900?
Sono d’accordo. Io credo che il ‘900 vada ancora compreso, analizzato. Poi ovviamente Stalin è uno dei tre vincitori della Seconda Guerra Mondiale, e la storia, è perfino banale dirlo, la scrivono i vincitori.  Tornando al mio libro, devi dire che ho ricevuto una quantità di mail da parte di amici che mi esortavano a desistere, o quantomeno a riflettere bene: “ma perché vuoi fare un libro sull’Ucraina? Perché mai dobbiamo raccontare queste cose!!” Io non  credevo ai miei occhi  quando leggevo queste mail. Certo, era la paura che potessi essere strumentalizzato, o peggio, il rischio di passare per “revisionista”. Eppure a me sembrava importante analizzare questo che anche in Ucraina è stato, per tanto tempo, un argomento proibito. Ne ha parlato per la prima volta ufficialmente l’ex presidente Yushchenko ma io stesso sono stato attaccato da due professori dell’Università di Mosca come se stessi facendo un attentato alla cultura russa. D’altronde perché stupirsi se secondo le statistiche più recenti, Stalin è ancora la terza figura più popolare in Russia.

Come sei venuto a conoscenza della tragedia dell’Holodomor visto che, specie in Italia, non ne parla nessuno?
Avevo letto qualcosa prima di partire, sapevo. Ma, poi, man mano, mentre le interviste scorrevano, mi sono reso conto che l’Holodomor era il filo rosso che univa la maggior parte di queste testimonianze. Avevo raccolto le testimonianze, in molti casi, di sopravvissuti a un olocausto sovietico che ha decimato in due anni un quarto della popolazione ucraina. Un’immane tragedia, coperta dal silenzio.

pubblicato su Affari Italiani

Chi è Massimiliano Di Pasquale

laurea alla Bocconi in Economia Aziendale, ha lavorato a Londra come consulente di marketing, per imprese americane e inglesi, nel settore tecnologico. Tornato in Italia si dedica alla cultura, lavorando come consulente e scrittore freelance. E' è membro dell’AISU, Associazione Italiana di Studi Ucraini e scrive di politica internazionale sulle pagine di diversi quotidiani nazionali. Nel giugno 2007, con un’intervista all’allora Presidente ucraino Viktor Yushchenko, inizia la sua collaborazione con East, bimestrale di geopolitica sull’est dell’Europa e del mondo. Ha pubblicato il libro fotografico "In Ucraina, immagini per un diario" (2010) e "Ucraina, terra di confine" (2013).

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3 commenti

  1. Complimenti per l’intervista, molto interessante!!

  2. Ho finito di leggere il libro ieri sera e devo dire che è stato un colpo al cuore. Certo, ero informata del genocidio dei Kulaki, ne ero informata da molti anni, ma vederlo raffigurato così “ferocemente” è stato terribile. La occupazione proditoria da parte dei comunisti della immensa isola chiamata Soviet ha fatto si che una immensità di esseri umani fosse sterminata per ordine e conto di una belva umana chiamata Josif Stalin! Mi domando, come si possa fare ancor oggi a seguire questa idea diabolica, avendo carte alla mano i risultati delle mattanze. Mattanze che anche noi abbiamo approvato in tempi abbastanza recenti, vedi Dalmazia, Istria, Giulia, e immediatamente dopo Cecoslovaccia e Ungheria!!!!

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