di Andrea Monti
da Balcanews

La Serbia fa un passo avanti. Il Kosovo ne fa uno indietro. Non si sblocca il conflitto diplomatico tra Belgrado e Pristina, che pareva in via di miglioramento dopo l’apertura operata dal governo di Boris Tadic. A inizio settembre il ministro degli Esteri Vuk Jeremic ha presentato all’Onu una risoluzione in cui i serbi si dicono disposti a dialogare con la provincia ribelle: ora, però, le mosse politiche delle autorità kosovare sembrano voler rallentare un eventuale riavvicinamento.
In primo luogo ci sono le dimissioni, inaspettate e clamorose, del presidente Fatmir Sejdiu. Il capo dello Stato ha lasciato l’incarico dopo una sentenza della Corte costituzionale, secondo cui il suo ruolo istituzionale sarebbe stato incompatibile con quello di leader del suo partito, la Lega democratica del Kosovo. “Rispetto la decisione dei giudici”, ha detto semplicemente Sejdiu. Più interessanti le valutazioni di Jakup Krasniqi, già portavoce dell’Esercito di liberazione del Kosovo, ora presidente ad interim: “Per i colloqui con la Serbia è meglio attendere l’insediamento delle nuove istituzioni”. Dichiarazioni che accrescono il sospetto, nutrito da alcuni, di dimissioni motivate proprio dalla necessità di prendere tempo, di fronte all’inattesa svolta diplomatica di Belgrado.
C’è un altro fatto a sostenere questa teoria. Pochi giorni fa è ripresa la “guerra dei telefoni” tra Kosovo e Serbia. Domenica 26 settembre gli uomini delle poste e della polizia di Pristina hanno cominciato a distruggere i ripetitori e le centraline della telefonia fissa e mobile della Telekom Srbija su tutto il territorio del Paese a maggioranza serba. E’ la seconda fase di un’operazione iniziata ad aprile, quando la rimozione di 14 impianti aveva suscitato la reazione infuriata di Belgrado. “Vogliono isolarci”, aveva protestato il primo ministro Mirko Cvetkovic. Parole simili a quelle dette oggi da Goran Bogdanovic, ministro serbo per il Kosovo: “Pristina ha dimostrato di non voler rinunciare alla violenza in un momento in cui attendiamo negoziati”.
La violenza di cui parla Bogdanovic c’è, eccome: a Mitrovica, città divisa in due tra serbi e albanesi, una bambina di tre anni è rimasta ferita in un’esplosione che avrebbe dovuto abbattere un ripetitore serbo. Per molti mesi la comunità internazionale ha rimproverato Belgrado per l’eccessiva rigidità di posizioni nei confronti del Kosovo. Adesso, però, è proprio da Pristina che ci si aspetterebbe un po’ di diplomazia in più, per non vanificare lo sforzo fatto dalla Serbia alle Nazioni Unite.