E’ un azzardo, certo. Ma è poi così inopportuno sostenere che l’Unione Europea sia- attualmente- il mezzo per una sorta di “de-politicizzazione” di alcuni settori dello Stato? Si prospetta un assottigliamento della democrazia reso possibile dai fondi provenienti dai programmi e i bandi della Commissione che riguardano l’ambiente, la cultura, le politiche giovanili e altro? Chi scrive vuole proporre un punto di vista insolito del triangolo Unione Europea – Stato – società civile. Più che una tesi, si offre uno spunto per un ragionamento che sarebbe utile divenisse collettivo.
Risulta utile fare delle premesse. La Commissione europea lavora sempre più attraverso bandi per singoli progetti, inquadrati all’interno di un programma, che con fondi strutturali destinati a determinate regioni. Attraverso i trasferimenti di denaro l’Ue non si sostituisce allo Stato ma arricchisce la società civile di una dimensione; inoltre i programmi sono un apporto nel complesso positivo in quanto frutto di una logica sovranazionale, epurata dal grosso degli interessi che di solito inquinano le politiche statali, nonché di uno sguardo d’insieme più attento a temi come quelli ambientali. Ma nella pratica, e cioè guardando dentro alla scatola della realtà in cui è il denaro -di fatto- a muovere le attività e le politiche, possiamo sviluppare alcune considerazioni.
L’Ue stanzia molti fondi attraverso i bandi. La crisi e la cattiva gestione della cosa pubblica hanno come effetto, dall’altra parte, i numerosi tagli statali su diversi settori. Di conseguenza, enti pubblici (come regioni e altri enti locali, o anche università) e privati (ad esempio, associazioni culturali e teatri) oggi possono contare quasi soltanto sui fondi europei.
Quali sono le conseguenze? Si schiudono degli aspetti importanti. Primo: i soldi arrivano a finanziare delle attività tramite bando di concorso e non attraverso una decisione politica. La differenza è sostanziale e non occorrono spiegazioni. Secondo: lo Stato può continuare a tagliare fondi. Come vediamo ogni giorno ciò non avviene senza ripercussioni, ma di certo questo processo può proseguire più fluidamente che non se lo Stato fosse l’unica fonte di denaro. A questo proposito ci risuona un dibattito quanto mai attuale e scottante, ricco di affinità con il discorso che stiamo facendo. Si tratta del lavoro delle organizzazioni internazionali e non governative nella cooperazione internazionale. I contesti sono diversi ma la logica è simile. Si dice: se le organizzazioni umanitarie forniscono servizi sociali per compensare le carenze dello Stato, lo stesso Stato può continuare nella propria deresponsabilizzazione, staccarsi dalla propria popolazione e magari accumulare denaro per altri scopi (vedi paesi in guerra). Il tutto accompagnato da proteste relativamente deboli, rese meno pressanti dal fatto che la popolazione riceve comunque i servizi di cui ha bisogno. La cooperazione decentrata è il pilastro della cooperazione internazionale oggi, ma purtroppo non riesce ad evitare le distorsioni e le perverse logiche statali come si sperava.
Ma ritorniamo al nostro contesto. Le attività sviluppate nel sociale, nelle politiche ambientali e negli altri settori interessati sono frutto di un concorso a cui partecipano enti pubblici e privati che saltano il passaggio dalle istituzioni statali a cui noi siamo abituati a riferirci. Se non altro perché sono quelle per cui ci risvegliamo in periodo di elezioni, ma soprattutto sono quelle a cui possiamo conferire o togliere fiducia in base alla nostra soddisfazione. Le attività nate dai progetti UE, invece, sono solo lontanamente collegabili a qualche entità politica. Molti enti pubblici utilizzano questi fondi, è vero, ma lo fanno anche tante associazioni no profit.
Tutto ciò ha due effetti fondamentali: la deresponsabilizzazione della politica e la depoliticizzazione degli affari pubblici. Sono questioni pregnanti, principalmente per un motivo. Ad essere intaccata è la democraticità dei processi e delle attività all’interno di uno Stato. Come già specificato, io –cittadino o cittadina- non ho alcun controllo su un’organizzazione che, ad esempio, grazie a dei fondi europei e al vuoto lasciato dalle istituzioni inizia a dirigere l’orchestra della vita artistica e culturale di una città. Ciò non vuol dire che non possa svolgere le attività nel modo migliore, ma questo non è scontato. Per quanto debole sia il mio potere, una giunta comunale posso influenzarla con il mio voto. Seppur piccolo è un potere importante perché è pressoché l’unico che abbiamo, fino a che non decidiamo di andare dall’altra parte e fare politica in prima persona.
Con ciò non si vuole fare polemica, si vuole solo proporre una riflessione, un punto di domanda scevro da questioni morali per cui qualcosa è tutto buono o tutto cattivo. Si tenta solo di aprire una possibilità teorica da tenere in considerazione. Non ci piacciono le questioni morali anche perché al momento abbiamo qualcosa di più importante di cui preoccuparci. Il ragionamento appena proposto presenta una questione prettamente politica. Il potere di gestione e controllo della cosa pubblica da parte dei cittadini deriva dalla possibilità di controllare l’efficacia ed efficienza di un’attività ma anche la semplice presenza della stessa. Senza una proposta di progetto da parte di un ente o gruppo che prenda l’iniziativa, quel determinato settore rimane scoperto, sempre che lo Stato non decida di occuparsene. Si presenta così una prospettiva realistica di confusione di competenze, non un fantascientifico scenario catastrofico. Il concetto di base è semplice: si indebolisce sostanzialmente lo Stato mentre esso rimane –tuttora- il più importante attore sulla scena non solo europea, ma anche mondiale; esso è al momento l’unico attore veramente politico.
E’ evidente che siamo in una fase di transizione. L’erosione dello Stato per una maggiore gestione sovranazionale. Il processo potrà portare a più sereni lidi ma, per ora, è carico di contraddizioni.
C’è la necessità urgente di bilanciare l’effettiva importanza degli attori in scena (spesso: chi ha e chi dà i soldi) con la relativa politicizzazione di questi, in modo che rimangano collegati al controllo popolare.
Foto: Tnw
Siamo al dilemma cardine di qualunque politica di sinistra (ma non solo): sai cosa e’ giusto, agli altri non importa, in ottica democratica come cambi le cose? Imponendole apertamente? Imponendole ma negando sia un’imposizione? Purtroppo la logica democratica si basa sul consenso ma quando questo viene meno? Non sarebbe piu’ democratico lasciare affondare tutto se questo e’ cio’ che vuole la maggioranza delle persone? Tornando al tema: sono anni che personalmente dico ovunque mi capiti (compreso East-Journal) che e’ in corso una guerra tra politica ed economia, con i politici ormai figure tra i raccatta briciole ed i pupazzi. MA il sentimento popolare e’ antipolitico, non atieconomico. Il risultato e’ la ricerca di un uomo forte ma che visto i rapporti di forza sara’ o totalmente populista (in ottica antipartitica ed antipolitica) o espressione dei poteri economici, cosa che gia’ sta avvenendo con i meccanismi dittatoriali del FMI. MA all’economia manca la spettacolizzazione, in fondo sono dei tecnici. All'”uomo comune” e’ di fatto non sostituibile del tutto il consumatore. Il consumatore e’ dato che sopprime l’individualita’ naturale e l’uomo, seppur anche solo nei suoi istinti piu’ bestiali e’ un animale. Da qui la possibilita’ di non vittoria dei poteri economici, Il futuro e’ grigio, sicuramente autoritiario ma gli spiragli per uscirne ci sono, anche se bisogna assolutamente cambiare i propri valori culturali di riferimento, ed in questo momento io mi riferisco alla dicotomia destra/sinistra non piu’ funzionale. Ormai bisogna rileggere la realta’ in chiave economica, ossia sopra/sotto, per entrare nell’occhio del ciclone e riemergerne “ripuliti”, allora sara’ possibile una nuova visione politica delle cose, ma notevolmente diversa e aggiornata ai tempi. In fondo Marx era un’economista e la lettura “politica” dei suoi epigoni non mi hai mai del tutto convinto. Ho tralasciato l’analisi delle problematiche relative allo stato nazione (come la sua deresponsabilizzazione) in quanto esso appartiene, dal mio punto di vista, alla sfera politica della quale ho trattato. Mi scuso per la lunghezza dell’intervento ma sono temi che mi stanno a cuore.
L’articolo è molto interessante, e in buona parte fondato.
Se sulla cooperazione sono totalmente d’accordo con te (forse ce n’eravamo anche già accorte di persona), nell’analisi europea c’è però un aspetto che mi sembra omesso.
Il confronto viene fatto tra una democrazia (ideale) e la realtà delle cose che deriva dai finanziamenti dell’UE.
Voglio dire, la democrazia reale ha raramente funzionato come si propone nell’articolo, con il popolo che ha un – seppur limitato – potere di decidere come vengano utilizzati i fondi pubblici. Qualche esempio? Tutte le opere infrastrutturali, ai diversi livelli: dalla tav (e qui so di non raccogliere troppi consensi), alla brebemi, alla piscina del mio paese.
Ma anche l’utilizzo stesso delle tasse.
La politica, almeno nel nostro paese, agisce generalmente in modo marcatamente paternalista. Al cittadino è data la scelta di un vago pacchetto di opzioni, ma quello che c’è dentro il pacchetto è molto di più di quello che si è potuto scegliere, tanto più che nei 5 anni della normale legislatura possono per esempio cambiare le condizioni economiche (e non solo) e far sì che i fatti siano molto lontani dalla realtà.
Del resto, non conosco esattamente le procedure dei finanziamenti della commissione, ma immagino che il Parlamento europeo giochi il suo ruolo nelle decisioni di bilancio, un parlamento comunque democraticamente eletto. Del resto, la Commissione stessa passa al vaglio del parlamento (un po’ come accade al governo al livello dello stato-nazione). I progetti quindi saranno finanziati secondo la loro corrispondenza con la proposta della Commissione (e vari altri criteri).
Tra uno Stato che decide al posto mio, e una UE che lo fa, non so davvero cosa sia meglio e cosa sia peggio.
Fossimo in Svizzera, dove la maggior parte delle decisioni passa al vaglio del cittadino, che può anche avere un ruolo propositivo, ti avrei dato ragione.
Probabilmente il mio sembra un discorso antipolitico e disfattista, quando non vorrebbe esserlo. Ma temo che la differenza nella realtà sia molto meno di quella che viene suggerita.
baci
Secondo me gli stati invece non sono più gli unici (o principali) attori sia a livello europeo che mondiale, e la crisi economica e finanziaria hanno infatti dimostrato di come lo stato non abbia il controllo su queste dinamiche. Inoltre credo che i bandi di concorso al contrario dimostrino un buon livello di democraticità, e anzi a livello europeo credo che questo sia il miglior seme da cui far germogliare una democrazia dal basso che sia transnazionale e slegata a politiche governative. Personalmente ho avuto la fortuna di usufruire di un programma europeo che mi ha fatto lavorare a titolo di volontariato in ambiti sociali e credo che ciò favorisca scambio e crescita nel triangolo culturale e politico di UE stati e società civile, come dici te all’inizio.
Comunque brava, buono spunto di riflessione.
Io dico solo una cosa sulla questione della de-responsabilizzazione politica. I soldi per i bandi all’Unione chi li dà? Gli stati che ne fanno parte. Quindi una forma di responsabilità c’è, anche se per delega. Ma non vedo così male la delega, non se ciò che vogliamo è un’Europa politica. Se si “depoliticizza” lo Stato a favore dell’Unione, male non mi sembra
Matteo
A Matteo: per come la vedo, c’è una bella differenza tra:
– soldi destinati ad una precisa attività o politica stabilita soppesando le opinioni di maggioranza e opposizione in merito e
-soldi dati a pacchetto chiuso all’ UE (cifra definita e senza destinazione) la quale poi li re-ditribuisce in parte secondo precise politiche in parte destinandoli ai famosi programmi di cui stiamo parlando i quali hanno una “destinazione” parecchio generica.
A Giorgio: sono d’accordo sulla crescita della società civile grazie ai programmi UE, penso però che ci andrebbe un maggior controllo (democratico? politico?) per sviluppare una maggiore coerenza ed evitare gli sprechi.
Rispondendo a Dani… è vero, ciò che davvero viviamo di “democratico” è gran poca cosa rispetto ai grandi ideali che stanno dietro alla parola stessa. Il fatto è che nell’articolo non parlo della differenza tra uno Stato che decide al posto mio e una UE che fa lo stesso. Lo Stato prende decisioni politiche. L’UE prende decisioni politiche anch’essa ma il denaro di cui parlo non viene traferito dall’UE ai territori/settori economici in base ad una decisione politica. Vengono stanziati dei fondi e ci sono delle linee guida dietro ai programmi, ma poi il meccanismo a bandi fa sì che possa essere una regione, come un ateneo, come un’associazione no profit a ricevere quei soldi per le attività più disparate. E, se è vero che per vincere il finanziamento si devono rispettare dei requisiti è vero anche che questo rimane molto lontano da un meccanismo che prevede: decisione politica-finanziamento per attuarla. Insomma i tecnici o palamentari UE non si trovano per deliberare su come gestire le attività culturali in piemonte. Però queste stesse attività culturali spesso dipendono dai soldi UE e per questo partecipano ai bandi.
Inoltre credo che il voto sia in gran parte un illusione di potere ma dall’altra parte è un’arma di ricatto (brutta espressione ma vera!) per le amministrazioni…
Forse ho fatto un discorso poco fluido, in tal caso perdonatemi…
Sull’arma di ricatto purtroppo non ci credo molto…diciamo che alla fine la politica è dominata dai gruppi maggioritari, e in mezzo a quello il voto si perde. Anzi, purtroppo a volte è il cittadino stesso che si sente ricattato (quanto è frequente la frase “voto il male minore”?).
Certo, tu parli di decisioni a livello più locale dello stato nazionale in realtà.
Non so. Il tuo discorso mi convince in parte a livello teorico, ma quando scendo nel pratico ne diffido, soprattutto per com’è la politica italiana. Quali sono i fattori che determinano le scelte? davvero pensiamo che ci sia un saggio governante che fa delle decisioni politiche il miglior strumento nelle sue mani? Se si è fortunati può essere così, ma altrimenti…
Tanto più che la politica è dominata dalla maggioranza, mentre i progetti eurofinanziati potrebbero non esserlo. Faccio un esempio, pensiamo ai rom. Sarebbe bello che esistessero dei gruppi politici che si facessero portatori azioni positive, inclusive nei loro confronti, ma tendenzialmente stanno scomodi a tutti.
Il punto a cui voglio arrivare è che se gli va di sfiga, e i rom o chi per loro sono un gruppo che non se lo caga nessun partito politico maggioritario, ma solo quello al 2.5%, rimarranno un problema non risolto. Magari con l’UE manca un chiaro fil rouge politico (?) (che cmq con le amministrazioni che cambiano ogni 5 anni o meno salta alla svelta), ma magari è più democratico così…tutta la società ha potenzialmente l’accesso a quei fondi, non solo la maggioranza.
E ho scelto i rom solo come esempio estremo, ma questo può valere dal finanziamento dell’insegnamento della lingua piemontese all’università della 3a età.
E poi forse forse, ma qui sono io che mi perdo nell’ideale, l’UE può decidere l’allocazione di quei fondi in base a scelte più a lungo termine, che rientrano nei suoi “valori”, di quanto non lo faccia un partito politico che ha bisogno di essere rieletto (cultura, integrazione, …).
Scusa, la mia risposta è davvero poco fluida e lunghissima.
Baci
Silvia gentilmente posso chiedere lumi sulla tua idea di controllo e sui termini posti tra parentesi (ossia le differenze tra un controllo democratico ed un controllo politico)? Giusto per capire come le critiche giuste e gli spunti interessanti che hai proposto possano concretizzarsi…
Ho scritto “democratico? politico?” per sottolineare la diversità -purtroppo- dei due termini. Ciò che penso è che in ogni attività pubblica dovrebbe esserci il controllo democratico. In un funzionamento ideale delle cose il controllo democratico avverrebbe attraverso la politica. Ho lasciato in sospeso i termini perchè, come concordiamo tutti in questi commenti, purtroppo la politica non implica necessariamente la reale pratica democratica.
Scusa Silvia ma la tua ultima risposta e’ un po’ contradditoria, In parte sono d’accordo con il tuo articolo ma la tua contrapposizione tra democratico e politico continuo a non capirla. Mi sembra un po’ troppo vicina a certe posizioni quando va bene idealiste (e quando va male populiste) di cui l’informazione odierna e’ purtroppo piena. Il tuo discorso filerebbe liscio se stessi parlando di soviet o di comuni anarchiche, il che non mi scandalizzerebbe ma in questo contesto e’ decisamente poco chiaro.
Nessuna tendenza populista o sovietica, giuro.. 😉 Semplicemente è un discorso così complesso e sottile da richiedere una bella discussione faccia a faccia per capirsi (forse) fino in fondo.
Accetto. L’invito di una donna e’ come la rivoluzione: imperdibile! 😀
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.