Il Consiglio Europeo ha aperto ai negoziati per l’entrata dell’Ucraina e della Moldavia nell’Unione Europea, ha promesso di fare lo stesso con la Bosnia-Erzegovina, ed ha riconosciuto lo status di Paese candidato alla Georgia. Le decisioni prese a Bruxelles fanno parlare di svolta storica e sembrano mettere -quasi- tutti d’accordo.
L’annuncio del presidente Charles Michel nel pomeriggio di giovedì 14 dicembre, a seguito della prima giornata di lavori dell’ultimo Consiglio Europeo dell’anno, ha posto le basi per un ulteriore allargamento a est della Comunità Europea, generando entusiasmo politico in quasi tutti i paesi del Vecchio continente. Come da programma, l’eccezione è rappresentata da Viktor Orban, il quale ha tenuto a specificare l’astensione dell’Ungheria dal voto del Consiglio e la sua completa contrarietà all’apertura dei negoziati con l’Ucraina. La posizione del Premier ungherese strizza l’occhio a quell’opinione pubblica nazionale, europea e globale, che vede nell’enlargement dell’UE un atto egemonico e di potenza. Ma a prescindere dalle posizioni politiche, e comunque le si guardi, le decisioni prese a Bruxelles rappresentano un punto di svolta nel processo di espansione dell’integrazione europea verso oriente.
Ucraina e Moldavia
“Questa è una vittoria per l’Ucraina e una vittoria per tutta l’Europa. Una vittoria che motiva, inspira e rafforza”, ha commentato Volodymyr Zelenskyy al termine del Consiglio chiamando in causa anche la collega moldava Maia Sandu, che a sua volta ha mostrato la propria soddisfazione tramite il suo profilo Twitter. L’inizio dei negoziati per entrare nell’Unione rappresenta in effetti un grande successo per i governi delle due ex-Repubbliche sovietiche che, per motivi simili, troverebbero nell’accesso all’UE il proprio apogeo politico.
Per l’Ucraina l’accesso alla Comunità Europea è infatti un tassello necessario alla stabilizzazione politica di oggi e alla rinascita di domani -che arriverà solo dopo la fine della guerra. Entrare in un sistema formato da stati nazionali fondato sul principio di auto terminazione dei popoli -come è l’Unione Europea- consacrerebbe l’indipendenza politica di Kiev riconoscendola capitale della nazione ucraina, e non più nella Piccola Russia (Malorossiya). Tuttavia, il percorso verso la completa partecipazione all’UE rimane colmo di ostacoli; a partire dall’attuale conflitto in corso -verso il quale gli stessi paesi europei non sembrano stare giocando un ruolo particolarmente significativo- e arrivando a quei problemi strutturali che esisteva anche prima dell’invasione russa di due anni fa.
Per la Moldavia quella europea sembra essere invece un’assicurazione sulla vita; un tassello che, unito alla potenziale garanzia atlantica, dovrebbe servire a evitare tutto ciò che è avvenuto -e sta avvenendo- oltre il fiume Dnestr (in Ucraina). Attraverso un allontanamento ideale dai confini della Federazione Russa si dovrebbe quindi garantire quell’integrità territoriale che negli ultimi due secoli è stata periodicamente violata dalle potenze egemoni dell’area. Anche in questo caso però, la strada da percorre è ancora lunga e Chişinău dovrà fare i conti con i propri scheletri nell’armadio -come la dilagante corruzione politica o le pretese indipendentiste nelle regioni della Gaugazia e della Transnistria.
Bosnia-Erzegovina e Georgia
Dopo anni di ripensamenti e trattative, il Consiglio Europeo ha concesso lo status di candidato alla Georgia, ex-Repubblica sovietica che vive una situazione per certi aspetti simile a quella di Ucraina e Moldavia. Ad esempio, le questioni riguardanti i territori de facto indipendenti di Abkhazia e Ossezia del Sud -al pari di ciò che rappresentavano le Repubbliche di Lugansk e Donetsk e di ciò che rappresenta la Repubblica di Transnistria- mettono seriamente in dubbio la soddisfazione dei parametri richiesti dall’EU per dare inizio ai negoziati e dovranno essere affrontati nel minor tempo possibile. In ogni caso un primo traguardo è stato raggiunto e la Presidente Salome Zourabichvili si è detta determinata a continuare su questa strada.
A differenza della Georgia, la Bosnia-Erzegovina aveva già ottenuto lo status di paese candidato nel dicembre 2022 e ufficialmente quindi non vede cambiare nulla. Il Consiglio però ha voluto lanciare un messaggio dal chiaro contenuto politico, dicendo che l’UE aprirà ad i negoziati “una volta che il paese avrà raggiunto il necessario grado di rispetto dei criteri imposti”, invitando la Commissione a “riferire entro la fine del prossimo marzo”. L’area sud-orientale in cui si trova il paese, complici le tragedie degli anni ’90, rappresenta uno degli ultimi “buchi” nella cartina politica giallo-blu, e fino ad oggi non sembrava poter riservare grandi spazi al processo di integrazione europea. La riscossa quindi potrebbe arrivare proprio da Sarajevo, laddove, più che altrove, negli ultimi anni si è compreso il costo della guerra e il valore della pace.
Insomma, per quanto le istituzioni europee sembrerebbero aver deciso di intervenire concretamente nelle questioni politiche di Ucraina, Moldavia, Georgia e Bosnia-Herzegovina, andando oltre agli attuali confini della Comunità, questa volta il processo di allargamento e integrazione europea appare particolarmente fitto di ostacoli. Un dato positivo arriva dall’entusiasmo con il quale queste decisioni sono state accolte nei paesi in questione, i quali, tuttavia, se dovessero vedere tradite le proprie aspettative, difficilmente torneranno a manifestarlo con questo vigore.
Fonte immagine: Sito Web della Commissione Europea