La Turchia di Erdogan Il mulino

“La Turchia di Erdoğan” di Valentina Rita Scotti

Il 2023 è sempre più vicino, un anno cruciale per la Turchia che si prepara a nuove elezioni e qualche ricorrenza importante, dal decennale di Gezi park al centenario della nascita della Repubblica. Avvenimenti che, per essere compresi, hanno bisogno di una certa conoscenza pregressa del Paese. Ed è qui che entra in gioco “La Turchia di Erdoğan” scritto dalla professoressa Valentina Rita Scotti e pubblicato dalla Società editrice Il Mulino per la collana Universale Paperbacks.

Un Bignami sulla storia politica della Turchia moderna

Valentina Rita Scotti, che insegna Diritto Pubblico Comparato in Grecia dopo anni di esperienza alla  Koç University di Istanbul, è riuscita in una missione praticamente impossibile: riassumere gli ultimi decenni della Turchia in 150 pagine. Il suo è un Bignami della storia politica della Turchia moderna adatto tanto agli addetti ai lavori quanto ai meri curiosi, grazie alla lettura di semplice comprensione nonostante la complessità delle dinamiche. Inoltre, “La Turchia di Erdoğan” non si limita a riassumere gli eventi in ordine cronologico, ma ci rivela connessioni con il passato offrendo spunti di riflessione nient’affatto scontati.

Il primo capitolo, ad esempio, si sofferma su quanto nulla di ciò che vediamo accadere nella gestione del potere “Erdoğaniano” sia effettivamente nuovo per le abitudini del Paese, visto che l’approccio dell’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo) si inserisce in un solco già tracciato della tradizione costituzionale. «Noi oggi guardiamo alla Turchia di Erdoğan come a una democrazia ibrida per il suo approccio discutibile alla tutela dei diritti, ma, per la sua storia, quello odierno non è un vero e proprio passo indietro», ci spiega la stessa autrice. «Pensiamo, ad esempio, alla libertà di espressione degli accademici: sì, il fallito golpe l’ha duramente colpita, ma questo tipo di epurazioni si registrano sin dall’entrata in vigore della Costituzione del 1961, così come l’espulsione di docenti universitari “dissidenti” e il divieto di iscrizione a partiti e sindacati. Forse, ad oggi, il nostro occhio è semplicemente più attento ad alcuni fattori ormai superati, in particolare il paternalismo, ma il punto è proprio questo: sin dai tempi di Mustafa Kemal, la Turchia ha sempre avuto una visione autoritaria del potere incentrato sulla figura di un leader carismatico incarnando in quest’ultimo lo spirito della nazione.»

Una chiave per comprendere il futuro del paese

Infatti, Recep Tayyip Erdoğan è in carica dal lontano 2003 e, come spesso risulta incomprensibile osservando la Turchia dall’esterno, che piaccia o meno lo è perché ampiamente votato dalla popolazione. Per dirla con una frase in chiave mussoliniana, Erdoğan “ha fatto anche cose buone”, ma ad un prezzo altissimo per quelli che sono i diritti fondamentali. «Nella sua prima fase, in qualità di sindaco di Istanbul (carica che ha ricoperto dal 1994 al 1998, ndr) le politiche di Erdoğan hanno aiutato molto sia la città che la sua ascesa politica», conferma Scotti. «Il suo potere non aveva ancora un impatto nazionale, ma ha attirato l’attenzione su di sé grazie ai piani di rilancio per una megalopoli più efficiente, specie per ciò che concerne i trasporti. Il rovescio della medaglia, certo, è l’impatto ambientale enorme di opere infrastrutturali che hanno poi rivoluzionato la conformazione di Istanbul, sebbene lui fosse già Primo Ministro».

Per questi e altri motivi legati in primis alla gestione della profonda crisi monetaria ora diventata anche economica, il consenso verso l’attuale leader è altrettanto in bilico e manca perfino da alcune fasce interne al partito dell’AKP. Nel libro, Scotti definisce le elezioni presidenziali del 2023 “una buona prova per la maturità dell’intero sistema istituzionale e politico della Turchia futura”, tuttavia ritiene anche che, con ogni probabilità, sarà di nuovo Erdoğan a portare a casa la partita. «La gestione del momento elettorale da parte dell’AKP continua ad essere vincente e dura da battere per un’opposizione che, in maniera del tutto simile a quanto accade in Italia, costruisce la sua strategia su base difensiva e non propositiva» dice. «In ogni caso, un dettaglio a cui nessuno pensa è che, se anche Erdoğan vincesse le prossime elezioni, questa sarebbe davvero l’ultima volta. Chi lo sostituirebbe poi? Per adesso non c’è una personalità altrettanto forte, né a destra né a sinistra».

Ecco, il secondo capitolo intitolato “Le evoluzioni dello Stato”, e in particolare il sesto paragrafo dedicato proprio ai partiti all’opposizione, è fondamentale per inquadrare il contesto elettorale che presto ci porterà ad assistere alla campagna che, più che mai deciderà le sorti del Paese. Un Paese, perciò, “alla ricerca di una nuova identità” scrive Scotti nelle conclusioni. Un’identità che, come spiegano gli ultimi due capitoli del libro dedicati alle minoranze e alla politica estera turca, non può più raccontarsi come etnicamente e religiosamente omogenea se vuole calarsi nella contemporaneità e continuare a giocare un ruolo di spicco a livello internazionale.

in foto: la copertina del libro

Chi è Eleonora Masi

Classe 1990, una laurea in Relazioni Internazionali ed esperienze in Norvegia, Germania, ma soprattutto Turchia, di cui si occupa dal 2015. Oltre a coordinare la redazione dell'area del Vicino Oriente per East Journal svolge il ruolo di desk per The Bottom Up mag. Ha ideato e prodotto il podcast "Cose Turche" che racconta gli ultimi 10 anni della Turchia dal punto di vista dei millennial che li hanno vissuti sulla loro pelle.

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