Prima della caduta di Ceauşescu la Romania era la terra delle miniere di carbone. Centinaia di minatori romeni avevano trovato lavoro nella ricca valle dello Jiu, nella Romania sud-occidentale e lì si erano stabiliti con le loro famiglie; ora di quei tempi è rimasto soltanto lo spettro del ricordo ma le miniere continuano ad essere visitate ogni giorno da molti ex operai. Mani esperte che conoscono ogni centimetro delle lunghe gallerie fatiscenti, si appoggiano ai tunnel scavati nella montagna e vanno a prelevare il carbone di nascosto, quasi ogni giorno, per sopperire al freddo e alla disoccupazione che per molti ex minatori è un triste dato di fatto.
Molti di loro con mogli e figli a carico, non trovano altra via d’uscita e ogni giorno rischiano la vita per cercare carbone nelle miniere incustodite, carbone che serve loro per poter scaldare le proprie case. Lo stesso carbone che doveva alimentare ai tempi del regime le imponenti industrie metallurgiche, era quello che all’inizio degli anni 80 spinse decine di migliaia di romeni provenienti da tutta la regione a trasferirsi nella Valle dello Jiu, con la promessa di salari garantiti e molto alti rispetto allo standard del periodo.
Ma con la caduta del regime, e lo stato di confusione che seguì la fine di un’epoca per tanti molto contraddittoria, le miniere cominciarono ad essere abbandonate nonostante in un primo momento i successori di Ceausescu se ne fossero occupati. Dalla metà degli anni ’90 un esodo di massa ha pian piano interessato la Valle non lasciando indifferenti le migliaia di ex dipendenti delle miniere, in marcia di protesta verso Bucarest per chiedere tutela del loro lavoro. Scontri e tafferugli, resero la Romania un fuoco di manifestazioni e rivendicazioni di diritti, qualche proroga per i minatori e dopo qualche mese la chiusura a tappeto di tutte le miniere riprese senza sosta.
Di quella che fu forse la zona più ricca e rigogliosa ai tempi del regime, ora non resta altro che un immenso territorio abbandonato, interessato da un notevole numero di disoccupati, che ricevono un sussidio mensile di appena 50 euro. Sono rimaste solo sette miniere di carbone che occupano appena cinquemila persone (a fronte delle 50mila dei tempi di Ceausescu) ma, secondo un provvedimento del governo, entro il 2018 anche le ultime rimaste chiuderanno e i loro operai andranno ad aggiungersi alle centinaia che da anni continuano a vivere nella Valle senza più un lavoro.
Per loro a parte il sussidio statale, nessuna tutela nonostante la Romania come membro dell’Unione Europea riceva da Bruxelles svariati miliardi di euro per incrementare lo sviluppo regionale e favorire la rinascita delle zone depresse. Molti ex minatori si sono ritrovati affetti da diverse patologie e intossicazioni tra cui la più comune quella da monossido di carbonio: per loro nessuna tutela neanche in ambito sanitario e nessun reinserimento nel mondo del lavoro, nonostante le promesse delle istituzioni. La Romania tra gli stati dell’Unione è il Paese con più difficoltà a portare a termine le domande di finanziamento per i progetti europei, e un altro deterrente a suo sfavore è che dal 2015 non potrà più usufruire di tali finanziamenti.
La descrizione dello stato di abbandono e la crisi di povertà della zona mineraria della Romania, sembra esere la descrizione della fuga dalle campagne dei poveri contadini Italiani. Anche loro abbandonavano il lavoro durissimo dei campi eseguiti rigorosamente a mano con risultati scadenti per effetto della mezzadria imperante – Certo un territorio abbandonato a se stesso si autodegrada inesorabilmente e, nessuno ferma la fuga da una zona fortemente depressa.l’aspetto più miserevole è l’abbandono dei poveri lavoratori malati che non sanno a quale santo rivolgersi per avere le cure necessarie,mentre gli aiuti comunitari vengono sperperati.
Già il titolo è tutto un programma: “Da Ceausescu alla povertà”. Uno che capitasse qui per caso e non conoscesse la storia del XX secolo potrebbe pensare che ai tempi del comunismo la Romania fosse un paese benestante, mentre ora fa la fame. Curiosa interpretazione della realtà, per non dire altro. Straordinaria poi la definizione di quasi mezzo secolo di totalitarismo, incarnato da una delle satrapie più grottesche della storia contemporanea, come di un’epoca “contraddittoria”. Criminale no, mi raccomando, contraddittoria, che fa più fine. In generale tutto l’articolo è permeato dalla logica del “si stava meglio quando si stava peggio”. Nessuna contestualizzazione, un panorama quasi idillico dalla vita dei minatori sotto dittatura contrapposto al presunto inferno della Romania attuale (si presume per colpa del “liberismo selvaggio”, conoscendo un po’ certe logiche di certo giornalismo). Articolo peraltro in linea con la copertura che in questo blog si sta dando dei fatti romeni, sempre ammantata di un sentimento nostalgico di cui, francamente, non si sente il bisogno. Vi assicuro che i lettori riescono ad assumere che in democrazia vi possano essere sacche anche estese di malcontento popolare, senza per questo dover rimpiangere Ceausescu. Provateci anche voi, ogni tanto. Il contesto, il senso della misura, la cornice adeguata nelle descrizioni dei fatti, la prospettiva storica, sarebbero apprezzati. Almeno dal sottoscritto (che, lo so già, nessuno obbliga a leggervi).
Cordiali saluti e scusate l’intrusione.
Enzo Reale
Gent. Enzo
davvero questa volta non la seguo, e trovo nella sua osservazione una certa gratuità, come se a muoverci fosse cattiva volontà, se non prezzolate intenzioni. Certe logiche di certo giornalismo saranno di casa altrove, qui abbiamo anzitutto l’onestà intellettuale di non salire in cattedra,cosa che forse per lei non conta visto che riesce a guardare solo al difetto che, certo, ci appartiene poiché la perfezione, neanche quella, è di casa qui né la si pretende.
Non ci si sogna nemmeno di indicare nel regime di Ceausescu un qualsiasi miglior stato di cose rispetto al presente, né siamo animati da nostalgie. Credo lei legga con evidente pregiudizio quanto pubblichiamo sulla Romania, e nemmeno il pregiudizio qui è di casa. Infine, se a muoverci fosse un qualche sentimento nostalgico verso i regimi comunisti, allora se ne dovrebbero trovare tracce altrove ma non mi pare ce ne sia, sempre se lei legge anche altri articoli prima di giudicare in modo così tranchant il nostro lavoro.
L’autrice ha scritto “contraddittoria”, vero. Per filo-ceausismo? Mi sembra incredibile anche solo pensare che a una ragazza di ventinove anni, attenta alla poesia contemporanea, che di lavoro fa la mediatrice culturale, che si impegna accanto a un’associazione di donne iraniane per far conoscere la barbarie del regime di Teheran (lei, così attento, avrà letto chi siamo, no?) possa essere animata da filo-ceausismo. E pure con sottile doppiezza, al punto di pesare le parole e scrivere “contraddittoria” per far passare l’implicito messaggio che in fondo il regime di Ceausescu non era così male.
Ma va là.
Eppure lei ha dovuto vedercela questa doppiezza. Credo non abbia proprio idea di dove si trovi, di cosa animi questo progetto. Mi scusi per i toni accesi ma l’impegno con cui si spendono i collaboratori di questo sito è cosa che difenderò sempre.
Per quanto mi riguarda, certo che Ceausescu era un criminale.
Saluti
Matteo Zola
Grazie per la sua replica. Mi fa piacere constatare che mi ero sbagliato. Nonostante il suo tono nei miei confronti sia decisamente fuori luogo (lei non mi conosce né io conosco lei, ma almeno io conosco quello che leggo sul vs. sito e sono grande abbastanza per farmene una opinione), preferisco rimanere con la parte positiva del suo intervento e con la sua conclusione. Non dubito delle vostre intenzioni, ma a volte si scivola e ai propositi non seguono i fatti (in questo caso le parole). Ho riletto l’articolo e rimango della mia opinione. Ma le credo, e forse è solo un problema giornalistico dovuto alla giovane età e all’inesperienza di alcuni vs. collaboratori. Me ne rallegro e spero di cambiare idea continuando a leggere. Saluti.
Enzo Reale
Gent. Enzo
molte cose le abbiamo imparate dai lettori, dalle critiche ricevute. Abbiamo sbagliato, detto scemenze colossali. E lo faremo forse ancora. La differenza tra noi e “certo giornalismo” è che ci scusiamo, rettifichiamo, ma non possiamo dare credito alle molteplici accuse che riceviamo: per gli albanesi siamo filo-serbi, per i serbi invece filoalbanesi. I lettori croati ci insultano quando diciamo che Sanader è un mafioso. Poi c’è chi dice che siamo giudoplutomassoni, oppure fascisti, oppure “comunisti”, moralisti, atlantisti, laicisti, etc etc… Mi perdoni la battuta (e i toni accesi di prima) ma filo-ceausisti ci mancava, capisce.
A me non può che fare piacere avere con i lettori degli scambi, ma lasciamo perdere “certo giornalismo”. Il titolo, come tutti i titoli, l’ho fatto io. Valentina non ha colpe. E’ venuto male, è vero. S’intendeva dire che l’articolo racconta delle miniere dal periodo di Ceausescu alla povertà di oggi. Benché brutto, non ci avevo visto la possibilità che venisse inteso diversamente.
Alla prossima
Matteo
Mi spiace aver usato l’espressione “certo giornalismo”. Non era necessaria nel caso specifico. Saluti.
Caro Enzo, non avevo visto il suo commento. Oltre a ribadire quanto detto da Matteo e dalla redazione, le dico che ho usato il termine “contraddittorio” proprio per il motivo contrario a quello che lei indica, ovvero per non mettermi in cattedra a descrivere tout court in 3 parole, un regime ventennale.
Sono giovane e ho tanta strada da fare per migliorare. Nel contempo però mi impegnerò a conservare la capacità che tuttora ho, di non interpretare troppo frettolosamente le cose.
Saluti
Buongiorno Valentina. Non ho capito il senso esatto del suo commento, ma la ringrazio lo stesso per la precisazione, interpretandola in linea con le osservazioni di Matteo Zola.
Personalmente credo che uno dei pregi di un giornalista sia proprio quello di chiamare le cose con il proprio nome, e non ritengo in nessun modo che questo significhi “mettersi in cattedra”. Anzi aiuta ad evitare equivoci, come in questo caso.
Comunque, visto che ha fatto riferimento all’età, sono felice per lei che certe incoerenze o decontestualizzazioni derivino dalla gioventù e non da scarsa informazione o eccesso di ideologia (come succede invece con “certo giornalismo”).
Quanto alla fretta, le assicuro che ho letto il suo articolo con attenzione, come faccio sempre prima di esprimere un’opinione.
Saluti e buon lavoro.
Enzo Reale