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POLONIA: Ritrovati reperti della rivolta del ghetto di Varsavia

Il 26 gennaio la stampa israeliana ha annunciato il ritrovamento, a Varsavia, di 10 tefillin (‘filatteri’, oggetti rituali usati nella preghiera ebraica) risalenti alla Seconda Guerra Mondiale.

La scoperta

Durante i lavori di demolizione di un edificio nel quartiere del ghetto, è stato scoperto un bunker segreto costruito per la rivolta del ghetto di Varsavia. All’interno della struttura sono stati rinvenuti i tefillin, nascosti dietro libri ed altri oggetti, tra cui alcune armi.

Il numero dei filatteri, corrispondente al quorum ebraico per la preghiera pubblica, suggerisce che il nascondiglio venisse utilizzato non solo come rifugio ma anche come luogo abituale di vita e preghiera comunitaria. “Si tratta di una scoperta di grande valore, perché le testimonianze sulla vita religiosa nel ghetto sono molto rare”, ha affermato Barbara Engelking dell’Istituto polacco per la Ricerca sull’Olocausto.

Un crimine internazionale

L’annuncio della scoperta è stato dato da Shem Olam, un centro israeliano di ricerca sulla Shoah, in occasione di una conferenza sulla Giornata della Memoria. Come dichiarato dall’istituto, alcuni contatti locali di Shem Olam avrebbero negoziato in via del tutto autonoma con gli scopritori per acquistare e portare i tefillin in Israele, tenendo completamente all’oscuro le autorità polacche.

Il POLIN Museum e l’Istituto polacco di storia ebraica il hanno espresso indignazione per quanto accaduto, che per il diritto polacco è furto di beni archeologici. Sulla vicenda, che per certi aspetti appare anche poco plausibile, sta indagando il ministero della Cultura per accertare l’accaduto e, eventualmente, aprire una controversia internazionale per chiedere la restituzione dei beni.

Letture contrapposte

Non è la prima volta che oggetti di grande valore storico-artistico, risalenti alla Seconda Guerra Mondiale, vengono portati in Israele attraverso sotterfugi.

Nel 2001, emissari dello Yad Vashem (Museo della Shoah) si recarono a Drohobycz, nell’attuale Ucraina, per portare via alcuni affreschi di Bruno Schulz. Eminente pittore e scrittore ebreo polacco, Schulz morì fucilato dalle SS nel 1942. Il trasferimento a Gerusalemme dei murales, avvenuto senza il consenso degli studiosi polacchi che avevano rinvenuto gli affreschi, fece scoppiare un vero e proprio caso diplomatico con l’Ucraina. La disputa si chiuse solo diversi anni dopo, con il riconoscimento da parte del Yad Vashem della loro appartenenza al patrimonio culturale ucraino e la garanzia da Kiev di un prestito di lunga durata a beneficio del Museo della Shoah.

La paternità dei beni storici ebraici è un tema delicato, che risente di chiavi di lettura diverse e – per certi aspetti – contraddittorie sugli avvenimenti del secolo scorso. La domanda su chi sia il proprietario di questi reperti del ghetto di Varsavia si interseca con la più ampia questione di a chi appartenga un pezzo di storia che, dal punto di vista di Israele, si lega in modo indissolubile e quasi ineluttabile al passato del popolo ebraico, ma che per la Polonia rappresenta – prima di tutto e più di qualsiasi altra cosa – una tragedia nazionale.

 

Immagine: Israel HaYom

Chi è Maria Savigni

Nata a Lucca nel 1994, si è laureata in Giurisprudenza presso l'Università di Pisa. Durante un soggiorno studio in Polonia si è perdutamente innamorata della Mitteleuropa e della sua storia. Si interessa in particolare di diritti, questioni di genere e cultura ebraica.

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